L’Alimentazione dell’antica Roma

Seneca nel criticare la sregolatezza dei costumi dei suoi contemporanei attribuiva la crisi delle antiche doti morali alla perdita dell’antica frugalità, a quella parsimonia veterum che in effetti si riscontra nelle abitudini alimentari primitive quando i latini si nutrivano di polente (puls) in parte sostituite nel II secolo a.C. dal pane.Nei tempi arcaici il piatto nazionale romano erano le crocchette rapprese di polenta di miglio cotta nel latte (puls fitilla), poi la vera e propria polenta (era chiamata così in latino la farinata di orzo) e infine, arrivati a una certa agiatezza, soprattutto di puls farrata o farratum, una più saporita e nutriente (molto più ricca di proteine) polenta  di farro (Triticum nonococcum o farro piccolo, e T. dicoccum o farro medio) cotta in acqua e sale, con i più diversi contorno di legumi, verdure, mandorle, pesciolini salati (gerres o maenae), frutta, formaggi e, raramente, di carne.

Un’alimentazione quella antica fatta soprattutto di vegetali, com’era nell’uso dei vicini etruschi da cui nei periodi di carestia  provenivano a Roma lungo il Tevere i rifornimenti di grano («ex Tuscis frumentum Tiberi uenit») che permisero dal II SECOLO a.C. la produzione del pane  di cui esistevano tre qualità: quello candidus, fatto di farina bianca finissima, secundarius sempre bianco ma con farina miscelata ed infine quello plebeius o rusticus una specie di pane integrale. Dagli stessi etruschi più ricchi ai quali «le possibilità economiche e le necessità del decoro gentilizio lo consentivano» giunse a Roma l’abitudine di nutrirsi di un cibo più variato e ricco di proteine costituito sia da selvaggina che da animali di allevamento. Quando poi Roma entrò in contatto in età ellenistica  con i Greci della Magna Grecia da loro imparò ad apprezzare i frutti dell’olivo e della vite che aveva usato fino a quel momento soprattutto per i riti religiosi. A partire dall’età di Augusto, con la conquista dell’Oriente e gli intensi rapporti commerciali con l’Asia arrivò a Roma «tutto quanto la terra produce di bello e di buono». e l’alimentazione romana si raffinò: al cibo inteso come puro sostentamento cominciò in epoca imperiale a sostituirsi, anche con l’uso delle spezie  e dei profumi, il gusto e la cultura del cibo, passando dalla pura alimentazione ai sapori. Raramente i romani dedicavano molta attenzione ai primi due pasti che non erano mai molto nutrienti e il più delle volte abolivano uno dei primi due. Alcuni anziani seguivano l’ordine dei tre pasti perché così avevano loro consigliato i medici come a Plinio il vecchio, sempre molto frugale, e a Galeno che consumava lo ientaculum verso l’ora quarta. I soldati si accontentavano di un prandium verso mezzogiorno. Marziale ci descrive il suo ientaculum costituito da pane e formaggio, mentre il prandium consisteva in carne fredda, verdura, frutta e un bicchiere di vino miscelato con acqua.Ancora più limitato lo ientaculum di Plinio il Vecchio (cibum levem et facilem) a cui seguiva una merenda per prandium (deinde gustabat) il tutto senza apparecchiare (sine mensa) e senza doversi lavare le mani (post quod non sunt lavandae manus).Per la maggioranza dei romani la colazione consumata prima di recarsi al lavoro era semplicissima: un bicchiere d’acqua o qualcosa rimasto dalla cena della sera prima. Per quanto invece riguarda il prandium, i poveri e la plebe certo non tornavano in casa per desinare, ma il più delle volte mangiavano nelle tabernae dove si consumava del pane con companatici semplici come uova sode, formaggio, legumi e si beveva vino mescolato con acqua calda d’inverno o fredda d’estate. Per la maggioranza dei romani la colazione consumata prima di recarsi al lavoro era semplicissima: un bicchiere d’acqua o qualcosa rimasto dalla cena della sera prima. Per quanto invece riguarda il prandium, i poveri e la plebe certo non tornavano in casa per desinare, ma il più delle volte mangiavano nelle tabernae dove si consumava del pane con companatici semplici come uova sode, formaggio, legumi e si beveva vino mescolato con acqua calda d’inverno o fredda d’estate.Per tutti il pasto principale era quindi la cena.Alla cena, nella casa dei più ricchi era riservata una stanza particolare: il triclinium, di solito lunga il doppio della sua larghezza, che prendeva il nome dai letti a tre posti (triclinia) dove si stendevano i commensali. Nei tempi passati le donne erano destinate a sedere ai piedi del marito ma in età imperiale le matrone romane hanno acquisito il diritto al triclinio mentre ai ragazzi erano destinati degli sgabelli di fronte al letto dei genitori. Gli schiavi solo nei giorni di festa potevano essere autorizzati dal padrone all’uso del triclinio che quindi era collegato non solo alla comodità, piuttosto relativa per le nostre abitudini, ma che soprattutto veniva considerato un segno di benessere e distinzione sociale.  

( a cura di Cicchetti Ivan)

 

Redazione - Il Faro 24

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