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di Alina Di Mattia
La violenza non è sempre visibile e non avviene soltanto tra le mura domestiche. Esiste una violenza psichica molto più insidiosa di quella fisica, non facilmente identificabile e ancor più difficile da dimostrare: una sorta di stalking, bullismo e mobbing in un unico e crudele meccanismo di sopraffazione, che non lascia lividi sulla pelle ma conduce alla malattia e spesso alla morte.
Le parole sbagliate, le offese, le critiche, le accuse, l’assenza di parole come scusa e grazie, la mancanza di rispetto, la svalutazione in forma ironica, la pressione sessuale, il silenzio, l’indifferenza, la menzogna, le minacce e i ricatti affettivi, l’oppressione e il controllo della libertà personale, il tradimento della fiducia riposta, la diffamazione, la calunnia, il pettegolezzo, sono soltanto alcune forme con le quali si manifesta uno degli abusi mentali più subdoli e devastanti per un essere umano, la violenza psicologica. Il tutto nascosto sotto atteggiamenti finanche affettuosi che confondono la vittima fino ad annullarne completamente la personalità.
Tecniche di abuso comuni nei rapporti interpersonali malati, nelle relazioni conflittuali tra partner, nelle famiglie disturbate, nelle persone narcisiste, nei soggetti che per combattere la propria inferiorità hanno bisogno di avere accanto persone fragili da dominare, ma anche negli ancor più gravi casi di sindrome di alienazione parentale, ovverosia quando uno dei genitori separati condiziona e controlla il figlio per allontanarlo dall’ex coniuge.
Tale manipolazione può avvenire indifferentemente nelle relazioni coniugali, tra fratelli e sorelle, tra genitori e figli, tra amici o colleghi di lavoro, tra conoscenti in una piccola comunità di provincia, e persino nelle interazioni virtuali sui social network. È la quotidianità del rapporto a esporre la vittima a un prolungato stress emotivo, provocandole un sovraccarico allostatico che degenera in malattie della pelle, problemi cardiovascolari e respiratori, disturbi comportamentali e anche cancro.
In questo contesto si inserisce il gaslighting, un fenomeno poco conosciuto e ancora troppo sottovalutato, basato sulla destabilizzazione della vittima attraverso la negazione di fatti realmente accaduti. Il nome deriva da Gas Light, un’opera teatrale del 1938, il cui tema fu ripreso nel film italiano Angoscia di George Cukor. Nello specifico di una relazione sentimentale, si tratta di sottili maltrattamenti ricorrenti, che comprendono denigrazioni e frasi offensive pronunciate anche in presenza di altre persone: “Scusatela, mia moglie è una deficiente”, “Senza di me non sei nessuno”, “Sei scemo come tuo padre”, “Non capisci niente”, per citarne alcune, atte a minare l’autostima della vittima, la quale perderà qualsiasi capacità decisionale e farà di tutto per assecondare l’aguzzino pur di non generare malcontenti.
Il gaslighter, dal canto suo, alternerà momenti di affetto a esplosioni di rabbia, tenderà al vittimismo, accuserà la persona manipolata di essere la causa della sua infelicità e dei suoi insuccessi lavorativi, confondendola. Inizialmente, la vittima tenterà di difendersi, di far valere le sue ragioni. Successivamente, eviterà qualsiasi discussione e annullerà la sua capacità di giudizio. A questo alternarsi di presenze e mancanze in una relazione affettiva seguono spesso minacce di abbandono, maltrattamenti di animali domestici, privazioni economiche, allontanamento dai figli o dal nucleo familiare, isolamento da amicizie e familiari, perdita di uno status e, nel caso di un rapporto di lavoro, licenziamento. Tutto con il preciso scopo di mantenere il controllo della persona manipolata, che a sua volta cercherà il riconoscimento del suo carnefice, diventando sempre più dipendente e pronta a idealizzarlo, che sia il capo d’ufficio, il genitore, il fratello o l’amica.
Una sorta di plagio, o meglio, di svuotamento mentale, che azzera giorno dopo giorno l’identità della persona manipolata fino all’isolamento sociale. La vittima si chiuderà in casa e si allontanerà dai suoi affetti e dalle amicizie diventando più vulnerabile, profondamente insicura e dipendente dal carnefice del quale giustificherà ogni atteggiamento.
È stato dimostrato scientificamente che una persona posta in un ambiente privo di interferenze che possano ricondurla alla sua identità e al suo vissuto sia facilmente suggestionabile. Non a caso, i detenuti nei campi di prigionia vengono chiamati con un numero e non con il nome.
Sono numerose le persone che a causa di ripetuti traumi psicologici sviluppano la cosiddetta “sindrome del cuore infranto, una patologia del miocardio che si manifesta con dolore improvviso al peto, tipico dell’infarto, che nella maggior parte dei casi non è letale ma che interferisce profondamente con la qualità della vita.
Nel video seguente un interessante intervento a cura della dott. ssa Cinzia Mammoliti, esperta in violenza psicologica e manipolazione mentale, responsabile del progetto “La violenza psicologica uccide. Fermiamola ora‘.
Ad oggi non esiste una legislazione specifica che si occupi di reato di violenza psicologica, perché è difficile da individuare, perché mancano le denunce, perché la vittima stessa è incapace di riconoscere la manipolazione che sta subendo, ma il nostro ordinamento punisce con la reclusione «chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa». (Art. 610 del Codice penale, al quale si aggiunge l’Art. 612 bis volto alla tutela della tranquillità psichica dell’individuo).
È comprovato, tuttavia, che dopo gli abusi psicologici, quando la volontà della vittima è ormai esautorata e la sua sicurezza finalmente demolita, arrivano le “botte“. Pertanto, quando si hanno le prime avvisaglie di manipolazione psicologica, la prima cosa da fare è quella di rivolgersi a un centro antiviolenza.
Qualcuno disse: “Nessuno può obbligarti a sentirti inferiore senza il tuo consenso”. Non dimenticatelo mai, neppure un secondo.
Immagine di copertina di Global Humanitaria Italia Onlus, organizzazione non lucrativa e di utilità sociale, con sede a Milano, che si occupa di sostegno alle vittime di violenza psicologica e con la quale collabora la dott.ssa Cinzia Mammoliti. Per contattare Global Humanitaria invia un’email a: info@globalhumanitariaitalia.org oppure chiama il numero 848.808.838.
Chiedi aiuto. Il numero 1522 è attivo 24 ore su 24 ed è accessibile gratuitamente su tutto il territorio italiano. Il servizio è disponibile in italiano, inglese, francese, spagnolo e arabo e fornisce informazioni di prima utilità.