6 APRILE 2009. TRENTA SECONDI DI PAURA, DIECI ANNI DI SPERANZA

La vita di ogni essere umano è un bene prezioso e, coltivando i sentimenti per i propri cari e creando progetti di vita, familiari e professionali, si trova la spinta per vivere e per finalizzare i propri obiettivi. Tutto ciò potrebbe essere riassumibile con una parola sola: “speranza”. La speranza è il carburante della vita di ciascuno di noi ed è la spinta che ci fa superare i momenti più bui. Tra questi, per noi aquilani, c’è naturalmente il terremoto dell’Aquila del 2009.
Sono passati 10 anni, eppure il ricordo è indelebile. Ero un giovane che aveva da poco concluso il suo ciclo di studi universitari ed era alla ricerca di un lavoro soddisfacente. Ero per l’appunto pieno di speranze e di sogni. Il terremoto è arrivato preannunciandosi a più riprese nei mesi precedenti, fino a giungere all’apice della sua potenza e della sua crudeltà alle 3:32 del 6 aprile. Il sisma ha strappato via alla comunità aquilana l’affetto di 309 cari. Quella notte, per chi è riuscito a scampare alla furia della natura, una nuova vita è ricominciata da zero.
La mattina del 6 aprile il sole era alto, scaldava la città gravemente ferita e gli aquilani si sono ritrovati ad essere tutti uguali. Le differenze sociali erano sparite: niente più ricchi/poveri, proprietari di casa/nullatenenti, occupati/disoccupati. Eravamo uguali, sfollati, senza una casa e con i propri progetti in frantumi. Personalmente quella notte ho avuto la fortuna di non subire lutti, tuttavia il terremoto mi ha cambiato lo stesso la vita e stravolto le certezze.
Durante la scossa sono rimasto pietrificato nel letto, in attesa che finisse. Una volta finita mi sono vestito celermente e sono uscito dall’appartamento dove mi trovavo nei pressi del casello autostradale di L’Aquila ovest. Il palazzo aveva retto e ricordo che pensai “Se ha retto questo, avranno retto anche gli altri.” Che ingenuo! Non avevo la benché minima idea delle dimensioni del dramma che in realtà la mia città stava vivendo in quel momento.
Salgo in macchina e raggiungo casa dei miei genitori, nel tragitto vedo i primi danni impressionanti in città e il traffico impazzito. Arrivo a casa mia, che è rimasta in piedi per miracolo, con i miei cari che fortunatamente stanno tutti bene, tranne uno dei miei fratelli ferito ad un braccio. Il 7 aprile 2009 decidiamo di raggiungere la casa al mare e lì abbiamo dato il là alla nostra seconda vita. Il giorno dei funerali alla Scuola della Guardia di Finanza, ricordo mia madre in piedi davanti al televisore che scoppia in lacrime. In generale mia madre è sempre stata una donna forte, per cui quell’immagine di lei che singhiozzava, mi è rimasto impresse, perché rappresentava il senso della nostra impotenza rispetto alla natura, e all’incertezza del nostro futuro.
Oggi siamo nel 2019. In questi dieci anni ognuno di noi, così come i miei concittadini, siamo andati avanti grazie alla speranza che inconsapevolmente ed inesorabilmente ha iniziato ad alimentarsi dentro di noi sin da subito. Nella mia vita post sisma fino ad oggi, ho avuto modo di fare il Servizio Civile a Trento, di trovare un lavoro, di curare alcune mie passioni, di veder ricostruita la casa dei miei genitori, di conoscere la mia compagna di vita, ma ho vissuto anche momenti difficili, tra questi l’addio a mia madre. Eppure ogni momento, specie quelli difficili e tristi, la speranza c’è e mi fa guardare al futuro con l’ottica del miglioramento. La speranza alimenta la vita. Anche la dolorosa perdita di un genitore è stata utile per farmi apprezzare ancora di più la vita.
Siamo a dieci anni dal drammatico evento. Dal terremoto in poi ho capito che sia dovere mio e dei miei concittadini ricordare le 309 vittime del 6 aprile ed i propri cari volati in cielo fino ad oggi, per continuare a coltivare la speranza di vivere e far crescere i propri progetti, le nostre famiglie e la nostra città nel modo migliore.
In questi 3650 giorni ho visto L’Aquila avanzare in un percorso di ricostruzione lungo e tortuoso a piccoli passi. La distanza percorsa è ancora troppo poca, ma piano piano si comincia ad immaginare una via d’uscita. Il centro comincia a restituire alcuni palazzi storici alla sua bellezza. I negozi, a fatica, cercano di tornare in centro, pur con il bastone tra le ruote che la politica mette ai commercianti, dando il via libera a progetti per altri centri commerciali. Il centro sta provando a ripartire, ma mancano ancora gli aquilani che possano godere della rinascita dell’Aquila. Resta tanto da fare, tuttavia per fortuna esiste la speranza anche per questo. Per coltivarla occorre innanzi tutto crederci, ci vuole tanta forza e soprattutto tanta pazienza.

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