IL DISASTRO DI MONONGAH – 6 Dicembre 1907 – molti i minatori abruzzesi morti

Il disastro di Monongah, avvenuto il 6 dicembre 1907 nella miniera di Monongah, nella Virginia Occidentale, è il più grave disastro minerario della storia degli Stati Uniti. L’incidente rappresenta anche la più grave sciagura mineraria dell’emigrazione italiana: morì circa un terzo dei tremila abitanti di Monongah.

Alle ore 10.30 del mattino di venerdì 6 dicembre 1907 nella miniera di carbone della Fairmont Coal Company, di proprietà della Consolidated Coal Mine of Baltimore, si verificò una terrificante esplosione. L’incidente coinvolse le gallerie numero 6 e 8 della miniera.

La galleria 8 si trovava sulla sponda occidentale del fiume West Fork, la 6 sulla sponda opposta. Le due gallerie erano collegate da un tunnel sotterraneo e, in superficie, da un ponte e da un impianto di scarico del minerale. La vena di carbone Pittsburgh giaceva a meno di 70 metri dalla cima della collina su cui si apriva l’entrata principale della miniera e a circa 10 metri sotto il livello del fiume.

Il boato e le vibrazioni del terreno furono avvertite a 30 km di distanza. Gli effetti più devastanti si ebbero nella galleria 8: qui un frammento di oltre 50 kg del tetto in cemento del locale motori fu scagliato sulla riva opposta del West Fork, a oltre 150 metri di distanza. Stessa sorte toccò ad una grossa parte dell’aeratore, che venne scaraventata sulla sponda orientale del fiume, piantandosi nel fango. Testimoni oculari riferirono che la vampata proveniente dal sottosuolo raggiunse i trenta metri d’altezza. L’intera collina su cui si apriva l’entrata della miniera fu violentemente scossa e dal West Fork si sollevò una gigantesca ondata che raggiunse la linea ferroviaria che correva lungo il corso d’acqua.

Nei pressi della galleria 8 tutti gli edifici furono completamente distrutti e i suoi tre ingressi furono ostruiti dai detriti. L’enorme ventilatore situato vicino all’entrata della miniera fu strappato e al posto del locale di aerazione non rimase altro che un cumulo di mattoni e metallo accartocciato. Un’ampia e densa nube di fumo acre e polvere fuoriuscì dalla miniera e ricoprì con una spessa coltre le acque del fiume.

I primi a precipitarsi verso il luogo della sciagura furono i parenti dei minatori, che abitavano nelle tipiche casette in legno situate sulla riva opposta del West Fork, e i minatori dell’altro turno di lavoro. La notizia del disastro si diffuse rapidamente e in meno di un’ora alcuni funzionari della compagnia mineraria giunsero da Fairmont. I lavoratori delle miniere vicine, per solidarietà, si fermarono e affluirono per prestare il loro aiuto.

Fu diramato un allarme generale per i medici e presto dottori, alcuni giornalisti e altri ufficiali si trovarono sul punto della sciagura. Ai soccorritori fu subito evidente che sarebbero occorse diverse ore di lavoro solo per poter rendere praticabile l’entrata della galleria. Furono create due unità di soccorso, ciascuna di trenta elementi. I soccorritori non poterono resistere all’interno della miniera per più di 15 minuti consecutivi a causa della mancanza di adeguati respiratori. Tre di essi perirono durante il loro intervento e i loro nomi furono iscritti nell’elenco delle vittime del disastro. Dalla vicina Shinnston fu portato un ventilatore che venne collocato all’ingresso principale. Il ventilatore serviva a immettere aria all’interno della miniera per gli eventuali sopravvissuti. Alle nove di sera le squadre di soccorso erano riuscite ad avanzare di soli 200 m all’interno della galleria. Contemporaneamente, a circa tre km dall’ingresso principale della galleria, si tentava di aprire un tunnel di aerazione. L’ingresso della galleria 6 rimase inaccessibile per molte ore dopo la deflagrazione. Le carcasse di oltre 600 carrelli bloccarono il passaggio a 100 metri dall’ingresso. Una dozzina di medici sostarono all’entrata della miniera, ma – tranne poche eccezioni – il loro intervento sfortunatamente non fu necessario.

Nel primo pomeriggio parecchi cadaveri furono ritrovati a diverse centinaia di metri dagli ingressi ma non fu possibile riportarli in superficie fino alle prime ore del mattino successivo. La maggior parte dei corpi delle vittime era carbonizzata e orribilmente straziata. Per diversi giorni madri, mogli, fidanzate e sorelle restarono in angosciosa attesa dinanzi all’ingresso dell’impianto, osservando, strillando e piangendo. «Alcune pregavano, altre cantavano e altre ancora – nella disperazione – ridevano istericamente».

All’epoca della tragedia di Monongah la legislazione sulla sicurezza nelle miniere degli Stati Uniti era assai carente, e tale rimase per lungo tempo. Per comprendere quanto fossero arretrate le misure di sicurezza nelle miniere è sufficiente pensare che, sino a pochi anni prima della strage del 1907, l’unico dispositivo adottato dai minatori per rilevare le spesso letali sacche di gas consisteva nel condurre con sé nei pozzi alcuni canarini, animali sensibili al gas grisù: ai primi sintomi di soffocamento di tali animali, i lavoratori intuivano l’imminente pericolo.

Per i minatori era assai difficile migliorare le tremende condizioni in cui erano costretti a lavorare: tre italiani che nel 1879 a Eureka, in Nevada, avevano promosso uno sciopero per cambiarle, furono barbaramente linciati. Sostanzialmente i provvedimenti legislativi in materia di sicurezza venivano adottati solo successivamente (e in conseguenza) al clamore suscitato nell’opinione pubblica dagli incidenti minerari più gravi ed eclatanti. Così avvenne anche nel caso dell’ecatombe di Monongah.

Il rapporto della commissione d’inchiesta sull’incidente, sottolineando la persistenza di problemi irrisolti riguardanti le esplosioni nelle miniere di carbone, raccomandava esplicitamente al Congresso la creazione di un ufficio di indagini. Nel 1910, sulla spinta del dramma di Monongah, il Congresso statunitense istituì il Bureau of Mines (Ufficio delle Miniere), ente del Department of the Interior (Ministero dell’Interno), allo scopo di condurre ricerche per ridurre il numero degli incidenti. Il Bureau of Mines fu investito dal Congresso di poteri assai limitati e si dovette attendere il 1941 e una lunga serie di incidenti affinché gli fossero riconosciute autorità ispettive oltre che di ricerca.

Per indagare sulla sciagura la contea di Marion istituì una commissione d’inchiesta, le cui conclusioni furono rese pubbliche nel pomeriggio del 16 gennaio 1908. Nella loro relazione il medico legale E. S. Amos e i suoi collaboratori confermarono le ipotesi in precedenza espresse sia nel rapporto degli ispettori minerari dello Stato dell’Ohio, sia dal capo ispettore minerario James W. Paul, di Charleston, Virginia Occidentale: il disastro era da attribuire ad un’esplosione, la cui origine rimaneva ignota e controversa, verificatasi nella galleria 8. In sostanza il rapporto non individuava alcun colpevole.

Alcuni addossarono la colpa dell’esplosione ad un’imprudenza commessa da uno dei numerosi “raccoglitori d’ardesia” o “ragazzi dell’interruttore”. Questi erano giovanissimi aiutanti anche di dieci-quattordici anni che, grazie al buddy system, non erano registrati in alcun elenco, sebbene lavorassero regolarmente assieme ai minatori. In altre ricerche si ritiene che la deflagrazione sarebbe stata innescata dalle scintille provenienti da un cavo elettrico tranciato da un carrello andato fuori controllo.

Secondo un’altra ipotesi il disastro sarebbe stato provocato dall’esplosione del gas accumulatosi nelle galleria nei due giorni precedenti, durante i quali le miniere rimasero chiuse e la compagnia mineraria, per risparmiare energia, tenne spento l’impianto di ventilazione. Mercoledì 4 e giovedì 5 dicembre si erano celebrati rispettivamente santa Barbara, patrona dei minatori, e san Nicola, assai venerato in Italia meridionale come pure negli Stati Uniti (è il famoso santa Claus) e in Europa orientale e settentrionale. San Nicola cade in effetti il giorno 6, ma la ricorrenza venne anticipata al giorno precedente. La maggior parte dei minatori provenivano dall’Europa dell’est, dall’Italia del sud e molti erano pure i neri americani. Quest’ipotesi spiegherebbe il rapido oblio che seguì l’incidente.

Se la responsabilità del disastro fosse stata attribuita alla Fairmont Coal Company, la potente e influente compagnia mineraria avrebbe dovuto far fronte a numerosissimi e considerevoli indennizzi ai parenti delle vittime, con pesantissimi risvolti economici a suo carico. Quindi la compagnia avrebbe avuto ogni interesse ad insabbiare l’incidente il più rapidamente possibile. Come previsto dalla Commissione del coroner Amos, l’assenza di sopravvissuti rese estremamente difficile – se non pressoché impossibile – la ricostruzione dell’esatta dinamica della catastrofe. Le cause dell’incidente rimangono tuttora sconosciute.

L’estrema violenza della deflagrazione fa propendere per l’ipotesi secondo cui la sciagura sarebbe stata provocata da un’esplosione di grisu’, il pericoloso “gas delle miniere”. Lo scoppio di tale gas è infatti caratterizzato dalla rapidissima liberazione di notevoli quantità di energia ed ha spesso gravi conseguenze. La pericolosità delle polveri di carbone nelle miniere deriva da una delle proprietà dei solidi coinvolti nelle reazioni chimiche. Nei solidi solo le molecole e gli atomi che si trovano in superficie sono esposti all’ambiente di reazione. Quanto più le particelle solide sono piccole, tanto maggiore è la loro superficie esposta; e quanto quest’ultima è maggiore tanto più è veloce la reazione. Ciò spiega il motivo per cui le polveri sottili di carbone possono portare a una vera e propria esplosione allo scoccare di una scintilla. Infatti, la reazione del carbonio con l’ossigeno dell’aria provoca lo sviluppo di calore: C (solido) + O2 (gas) → CO2 (gas) + calore. Se il carbonio (solido) è presente nelle miniere sotto forma di polvere, la sua reazione con l’ossigeno contenuto nell’aria può essere assai veloce: in tal caso lo sviluppo di calore può essere estremamente rapido, tanto da provocare un’esplosione. È questo il motivo per cui un ceppo di legno brucia assai più lentamente di tanti piccoli ramoscelli e la combustione di polvere di legno è ancora più rapida.Le 171 vittime “ufficiali” italiane erano emigrati da località molisane (un centinaio), calabresi (una quarantina) e abruzzesi (una trentina). È bene ricordare che a quel tempo gli Statunitensi consideravano gli Italiani – e in particolare i meridionali – più simili ai neri che ai bianchi. Ciò è comprensibile se si considera che l’emigrazione di lavoratori italiani verso gli Stati Uniti iniziò sostanzialmente con l’abolizione dello schiavismo negli Stati Uniti (stabilita a livello federale nel 1865 con il XIII Emendamento della Costituzione  e il conseguente rifiuto dei neri di sopportare condizioni di lavoro – economiche, ambientali – che furono invece accettate dagli Italiani.     

( a cura di Cicchetti Ivan)

 

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