LA COSTA DELLA MORTE ULTIMA TAPPA DEL CAMMINO DI SANTIAGO: MISTERI E SEGRETI ILLUSTRATI DAL VALENTINO PISEGNA, DIVULGATORE E PRIMO COMMENDATORE PER L’ITALIA DELL’ ORDINE DI SANTIAGO

La Costa della Morte, Costa de la Muerte in spagnolo e Costa da Morte in galiziano, è una zona costiera della Galizia che si estende da Malpica a Cabo Fisterra. Il fascino di questi luoghi, il cui toponimo deriva dall’antica credenza che qui finisse la Terra, sta nella sua asprezza e nei profondi contrasti della natura: il vento forte e onde gigantesche che si infrangono minacciose sugli scogli trasmettono un indomabile turbamento a chi si avventura in queste acque, racconta il Cav. OMRI dott. Valentino PISEGNA, che nel 1997 visitò per la prima volta questa Regione: “Sotto la superficie del mare giace un cimitero di navi affondate dalle implacabili tempeste, disorientate nella nebbia imperscrutabile che le portò a schiantarsi sulle scogliere.  Lungo la Costa, infatti, si alternano croci, chiese e santuari fin sulla riva del mare, innalzate in ogni angolo a protezione delle barche e della vita dei pescatori. Nei pressi del Faro di Cabo Vilàn che segnala uno dei tratti più pericolosi della Costa da Morte, si trova un vecchio cimitero inglese, a ricordo di una tragedia del mare avvenuta il 10 novembre 1890 in cui perirono 172 marinai della nave scuola inglese Serpent diretta a Freetown. Questo Faro si trova a 125 metri di altitudine e dal suo mirador si gode un impareggiabile panorama. Paesaggi selvaggi e spiagge impressionanti, luoghi considerati magici, dove molte persone vengono ad aspettare il tramonto ascoltando la musica dell’Oceano e quella della Gaita, continua Pisegna, la malinconica cornamusa del folklore gallego”. E aggiunge: “in compagnia della gente del posto si possono apprendere le leggende di questa Regione, storie di streghe e lupi mannari che testimoniano le origini celtiche della cultura popolare gallega”.

Molti pellegrini, illustra Valentino, “dopo essere arrivati a Santiago di Compostela, terminano il loro Cammino seduti sulle rocce di Capo Finisterre, bruciano simbolicamente i vestiti indossati nel lungo viaggio e proseguono poi verso uno dei luoghi più suggestivi che si trova a Muxìa: il santuario della Vigen da Barca (Madonna della barca). Nella scogliera di fronte, i pellegrini hanno voluto notare la forma della barca di pietra su cui la Madonna sbarcò per infondere coraggio all’ Apostolo Giacomo – Santiago, che secondo la leggenda cercava di evangelizzare le genti locali, con scarso successo.  A pochi metri dalla Chiesa si trova il monumento A Ferida, in ricordo dell’affondamento della petroliera Prestige carica di 77.000 tonnellate di greggio che il 19 novembre 2002 causò uno dei peggiori disastri ambientali europei. Oltre duemila chilometri di costa atlantica spagnola vennero devastati dalla marea nera che colpì gravemente questi bellissimi luoghi, compromettendone irreparabilmente l’economia e l’ecosistema. Oltre aMuxìa, commenta Pisegna, altre località costiere come LAXE e CAMELLE vennero sommerse da una spessa ondata di greggio che raggiunse il nord del Portogallo e persino i Paesi Baschi e la Francia. Numerosi volontari accorsero da tutta la Spagna e anche da altri paesi d’Europa, e lavorarono per settimane raccogliendo tonnellate di sabbia mista a petrolio. Insieme a loro c’era il tedesco Manfred Gnädinger, l’anacoreta che viveva sulla scogliera prospiciente il porto di Camelle (Concello de Camariñas), autore del Jardin – Museo popolato da centinaia di sculture antropomorfe realizzate con sassi e materiale fornito dall’Atlantico.  Manfred El Alemàn, che tutti chiamavano semplicemente MAN, è l’unica vittima mai dichiarata di quella catastrofe, conclude il Commendatore (uno dei pochi connazionali ad averlo incontrato) che ama definirlo in questo modo:“ MAN era uno scultore visionario, filosofo e ambientalista di grande talento, ricco di virtù, con una vita protesa alla ricerca di un equilibrio spirituale, di ideali di dignità e di libertà, che nobilitò con l’esilio nella piccola e modesta baracca nei pressi del Porto”.

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