PARCO NAZIONALE DELLA MAJELLA, I LUPI E LA RESISTENZA AGLI ANTIBIOTICI

I lupi della Majella ci ricordano che un uso non prudente degli antibiotici, sia in medicina umana che veterinaria, fa aumentare l’incidenza e la diffusione dell’antibiotico-resistenza e i rischi per la salute umana e per l’ambiente.

È stato di recente pubblicato sulla rivista “Journal of Global Antimicrobial Resistance” uno dei pochi contributi scientifici attualmente disponibili sulla contaminazione ambientale legata all’utilizzo di antibiotici e, soprattutto, in modo forse insolito, come protagonista uno degli attori principali sul nostro territorio: il lupo.

Questo studio è stato realizzato dal Wildlife Research Center del Parco Nazionale della Majella e dall’Unità di Malattie Infettive dell’Università degli Studi di Teramo coordinata dalla Prof.ssa Di Francesco nell’ambito del  Progetto Demetra, finanziato dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Lo studio, ancora in fase preliminare, ha rivelato come i lupi ci possano rilevare, frequentando ambienti differenti e diverse aree del nostro territorio, indici diversi di contaminazione ambientale. Grazie ai dati ottenuti dai radiocollari satellitari applicati a due femmine di due distinti branchi, lo studio ha dimostrato come nel branco che vive nel cuore del Parco, prevalentemente in ambiente “wild” non si siano rilevati geni dell’antibiotico resistenza, cosa che è avvenuta invece in un branco periferico, il cui territorio include numerosi centri abitati e, appena fuori parco, strutture zootecniche anche a carattere intensivo.

Il lupo, dunque, all’apice della piramide alimentare, si conferma essere un ottimo indicatore dello stato di salute del nostro ambiente perché, in fondo, è un animale fortemente adattabile e “sa raccontare” l’ecosistema, anche con i suoi punti critici, spesso, ovviamente, provocati dall’uomo.

Un motivo in più, per il Parco, di proseguire nella sua missione di custode del territorio, attraverso il Wildlife Research Center e con l’approccio della Conservation Medicine, quanto mai oggi portato all’attenzione della pubblica opinione, anche per le criticità ecologiche e sanitarie che sono alla base della diffusione della pandemia da COVID-19.

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