Lavoro in solitario: si può morire per una puntura di vespa?

Generalmente le notizie che riguardano gli infortuni mortali in ambito lavorativo conquistano gli onori della cronaca, sulle versioni cartacee e online dei principali mezzi d’informazione e di divulgazione, quando gli incidenti sono particolarmente gravi o hanno caratteristiche inusuali o particolari. E nel secondo caso queste notizie possono essere un utile fonte di riflessioni per comprendere se tali supposte “caratteristiche inusuali” potevano essere comunque previste e valutate.

 

Ed è proprio questa operazione di approfondimento che ci accingiamo a fare con riferimento al caso relativo ad un’incidente mortale avvenuto a Brozolo, in un paese vicino a Chivasso (TO) circa tre anni fa e arrivato ora a processo.

 

Un lavoratore di 44 anni, impegnato in lavori di manutenzione e riparazione agli impianti di illuminazione, durante l’attività, viene improvvisamente punto dietro un orecchio da una vespa. Ricordandosi un’analoga situazione in cui aveva manifestato problemi respiratori, il lavoratore si preoccupa di essere allergico alla puntura dell’insetto e si dirige con il furgone verso la prima farmacia disponibile. Ma non ci arriverà mai: lo shock anafilattico risulta letale.

 

È evidente che le domande da porsi, e se le è poste la procura di Ivrea che ha ottenuto il rinvio a giudizio dell’amministratore unico dell’azienda per cui operava il lavoratore, sono tante.

Il lavoro riguardava dei lampioni: era stata prevista in questo caso un’attrezzatura idonea a evitare punture di insetti come le vespe? Il lavoratore era formato e addestrato ad affrontare questo tipo di situazioni? L’area di lavoro era stata monitorata per verificare l’eventuale necessità di bonifiche? L’attività poteva necessitare la presenza di un collega?

 

Riguardo a tutte queste domande, noi ci soffermiamo oggi in particolare sul tema dell’attività svolta dal lavoratore in solitudine.

 

Quali sono le caratteristiche specifiche di questa tipologia di lavoro, sempre più diffusa? Quali possono essere i rischi da valutare, le misure da mettere in atto e i requisiti necessari per lavorare da soli?

 

Per rispondere facciamo riferimento ad alcuni contributi e buone prassi raccolte dal nostro giornale in questi anni.

 

Ad esempio abbiamo pubblicato l’articolo “Lavoro in solitudine: il rischio del luogo di lavoro e dello stress” che racconta come il lavoro in solitudine sia sempre più presente all’interno di molteplici attività inserite in diversi comparti lavorativi. Basti pensare, tra l’altro, anche a quanto permesso oggi dall’utilizzo dalla rete, dalla diffusione del  telelavoro o del cosiddetto “lavoro agile” o “ smart working”.

 

Nell’articolo si indica che “una persona è ‘sola’ al lavoro quando non può essere vista o sentita da un’altra persona; e quando non può aspettarsi una visita da un altro lavoratore”. E il lavorare in solitudine “può essere affrontato in base a due possibili ricadute sulla salute di chi lo compie: da un alto il rischio vero e proprio derivante dalla mancata possibilità di venire soccorsi (sia in caso di infortunio sul lavoro, sia in caso di malore o evento accidentale) e, dall’altro, le conseguenze, meno dirette ma comunque da non trascurare, che hanno a che vedere con gli aspetti psicologici e sociali che possono avere delle ripercussioni sullo stato di benessere del lavoratore”.

 

 

Riguardo al primo aspetto, quello relativo alla sicurezza e che a noi interessa in relazione all’incidente mortale descritto, si indica che “l’interesse del mondo della tecnica e della ricerca si è esplicitato con la produzione di apparecchiature e/o sistemi di teletrasmissione (GPS, applicazioni per cellulari – APP – … ) che forniscono una parziale risposta al problema. Parziale, in quanto non sempre la tecnologia è ‘comoda’ ed efficiente e le reti di trasmissione del segnale non sono disponibili ovunque sul territorio o in tutti i luoghi di lavoro”.

E comunque “entra in gioco” il tema dell’organizzazione del lavoro, anche con riferimento alle procedure di pronto soccorso e alla formazione. Formazione che deve riguardare anche le misure di protezione “da attuare in caso di emergenza, le misure di prevenzione atte ad evitare il disagio di una condizione di lavoro” che pone il lavoratore per tutto l’orario o larga parte di esso “in assenza di contatti con altri esseri umani”.

Ed è indubbio, dunque, che “accanto alle procedure e alle misure di protezione, la formazione dei lavoratori abbia un ruolo determinante per la tutela della loro salute e sicurezza”. E se la valutazione dei rischi rimane l’elemento fondamentale di prevenzione, anche per comprendere le specificità del luogo di lavoro e le esigenze per la sicurezza degli operatori, è poi necessario “prevedere nei corsi di formazione specifica previsti dall’Accordo Stato-Regioni espliciti riferimenti al lavoro in solitario ed ai rischi ad esso correlati”.

 

 

Ad affrontare il tema del lavoro in solitudine è anche l’articolo ” Sicurezza nel lavoro in solitudine” che ricorda come il lavoro in solitudine si riscontri in molteplici comparti – “dalle aziende produttive (impianti caratterizzati da elevata automazione, magazzini), all’agricoltura, fino al terziario (tecnici controllo impianti, addetti a servizi di vigilanza, ad attività di pulizie notturne) – e sottolinea tre caratteristiche rilevanti per la salute e la sicurezza del lavoratore, ma anche per la sicurezza generale nell’azienda.

Il lavoro in solitudine:

– “in primo luogo espone alla possibilità di non essere soccorsi in caso di malore o in caso di infortunio;

– in secondo luogo mette il lavoratore in condizione di affrontare da solo situazioni che richiedono una consapevolezza della situazione e una presa di decisione, a fronte di eventi più o meno anomali legati al processo lavorativo e alla sua sicurezza;

– la terza criticità è collegata ad aspetti di natura psicologica e sociale che possono avere importanti ripercussioni sullo stato di benessere del lavoratore: ed è il tema dello stress legato alla specifica condizione del sentirsi da solo”.

 

Concludiamo questo approfondimento sulla sicurezza delle persone che lavorano da sole con alcune indicazioni tratte da un’utile scheda informativa presentata nell’articolo ” Lavorare da soli in sicurezza”.

In “Lavorare da soli può essere pericoloso. Guida per i datori di lavoro e gli addetti alla sicurezza”, ci si sofferma con maggiore dettaglio sui pericoli specifici dei posti di lavoro occupati da una sola persona:

– sforzo eccessivo della persona tenuta a lavorare da sola: “la mancanza di contatto con i colleghi può aumentare considerevolmente il rischio di infortunio. Questa solitudine può a sua volta causare uno stress psichico (sensazione di isolamento, paura). Di fronte a eventi eccezionali le persone che lavorano da sole possono sentirsi sotto pressione a livello fisico, intellettuale o psichico (mancanza di assistenza, confusione mentale). In queste situazioni di stress aumentano le probabilità per la persona tenuta a lavorare da sola di prendere decisioni sbagliate, commettere errori o cominciare a comportarsi in modo pericoloso”;

– mancanza di aiuto in caso d’infortunio o di situazione critica: se in tutti i lavori che comportano pericoli per la salute e sicurezza “si presuppone tacitamente la possibilità di prestare soccorsi immediati in caso di infortunio o di fronte a una situazione critica”, per chi lavora da solo “questo aiuto tempestivo non è più garantito”. E in mancanza di un aiuto tempestivo, “le conseguenze di un infortunio o di una situazione critica possono peggiorare notevolmente”.

 

E riguardo ai requisiti relativi alle persone tenute a lavorare da sole il documento di Suva indica che, ad esempio, non sono idonee o lo sono solo a determinate condizioni le persone che:

– “sono insicure nei lavori di gruppo;

– hanno paura in posti di lavoro in cui devono lavorare da sole;

– soffrono di disturbi psichici o malattie mentali;

– presentano disturbi della concentrazione;

– sono soggette a capogiri, svenimento, crisi epilettiche, paralisi, dispnea, asma, ecc;

– sono affette da malattie dell’apparato circolatorio o metaboliche (malattie cardiache, ipertensione, diabete);

– hanno una dipendenza patologica da alcool, farmaci, droghe;

– sono sotto l’effetto di farmaci sedativi o stimolanti;

– soffrono di determinate allergie (ad es. alle punture di insetti)”.

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