LE ELEZIONI NELL’ANTICA ROMA

Gli elettori nell’Antica Roma erano composti da cittadini maschi (le donne ovviamente non avevano diritto al voto), i quali senza distinzione di occupazione e di censo (ricchezza) godevano del diritto di voto. Si trattava di un vero privilegio, in quanto accordare la propria preferenza a qualcuno, in genere, comportava un cambio di favori: do ut das, ti do affinché tu mi dia. Al tempo degli antichi romani la campagna elettorale (chiamata ambitus che significa andare intorno) era una gran faticaccia, in quanto bisognava fare in prima persona un giro elettorale, volto alla sollecitazione diretta dei cittadini, che erano fieri della loro prerogativa: concedevano cioè il proprio assenso come un beneficio, in ricompensa degli eventuali servizi già resi dal candidato o nella speranza e nell’attesa di averne dopo l’ elezione del personaggio. Inoltre la sollecitazione diretta e personale doveva essere assidua, così come scriveva il fratello Quinto a Cicerone “…rivolgersi spesso alle stesse persone e non rischiare che qualcuno possa dire di non essere mai da te contattato e pregato molto e con insistenza”. I candidati si recavano al Foro, con gran codazzo di sostenitori e sempre come scrive Quinto:”…l’avere ogni giorno un numeroso accompagnamento procura grande reputazione e decoro”. Si cercava di conquistare il posto migliore, mandando all’alba i propri uomini di fiducia per occupare la postazione e c’era chi prendeva in affitto un’abitazione vicina al Foro per sé e i propri sostenitori, per tutto il periodo della campagna elettorale, per evitare di perdere tempo con gli spostamenti. Nel Foro si andava incontro ad ogni elettore (rituale che prendeva il nome di prensatio, che significa “stretta di mano”), lo si supplicava ricordandogli le proprie benemerenze, o promettendo prossimi favori, e preferibilmente lo si chiamava per nome, grazie al suggerimento di un conoscitore di cittadini, che si appellava nomenclator. La campagna si svolgeva senza esclusione di colpi, tutto era lecito ed ammesso, perfino l’insinuazione e la denigrazione: “…appena t’è possibile, fai in modo che sorga nei confronti dei tuoi avversari un sospetto di colpa o di lussuria o di sperpero, purché sia compatibile con il loro modo di essere”. I politici dovevano credere che non si metteva in discussione il loro potere, i ricchi dovevano aver fiducia che si sarebbero tutelati i loro interessi, i poveri  e i nullatenenti dovevano essere blanditi dimostrandosi generosi, largheggiando in banchetti e promesse, anche sapendo che non si potevano mantenere.Le leggi de ambitu, cioè sulla campagna elettorale e le sue degenerazioni, furono frequenti nei periodi di più intensa lotta politica, di corruzione, di comprare voti, di brogli elettorali (schede preparate in anticipo o contrassegnate). Proibivano di distribuire denaro (ovviamente ad elezioni concluse) fare regali, di organizzare combattimenti di gladiatori o di offrire posti riservati nel circo, di imbandire banchetti per più di nove persone, perfino in occasione dei funerali, come si faceva normalmente. Quindi chi intendeva darsi alla vita politica, doveva agire per tempo, salvo ricordare ai propri elettori sotto campagna elettorale, le proprie benemerenze.
Si colpì l’”accordo elettorale” o coitio (l’andare insieme di due candidati, soprattutto per quelle cariche che bisognava eleggere solo due persone), intesa che si era trasformata in una sorta di complotto.
Diffusa e lecita era la pratica del “voto di scambio”inteso sia come promessa di favori fatta dal candidato nei confronti dell’elettore, sia dell’appoggio tra candidati per la stessa carica o per cariche diverse. Con il tempo alla campagna fatta in proprio, cominciò ad affiancarsi e poi a sostituirsi quella condotta dai rispettivi sostenitori, gente facoltosa, che in tal modo si assicurava un ritorno economico, nel caso di insediamento del proprio favorito. Negli ultimi tempi della repubblica, la lotta divenne sempre più accesa e spietata, arrivando in caso di votazioni sgradite alla distruzione delle urne (il voto da orale divenne scritto), alle intimidazioni, alle violenze da parte di bande armate; tutto ciò finì con lo stravolgere l’essenza stessa del regime repubblicano, fondato sulla libera competizione dei cittadini che possedevano la cittadinanza romana….si apriranno così le porte  al nuovo Regime Imperiale, il governo di un solo uomo, più o meno affiancato dal Senato, a seconda dei periodi storici. Alla propaganda orale sempre di più andò accompagnandosi quella scritta, ogni muro della città diventava preda degli scriptores, anche se ovviamente i manifesti si dipingevano lungo le vie più importanti, nei luoghi più frequentati, senza troppo rispetto per monumenti, immagini sacre, botteghe e perfino venivano poste sui sepolcri, che trovandosi allineati sulle vie di accesso (o di uscita) dalla città, potevano essere letti da un gran numero di persone. Ovviamente a Roma non è rimasto niente di tutto ciò e quello che sappiano lo dobbiamo ai rinvenimenti nella cittadina di Pompei, che distrutta dall’eruzione vulcanica, rimase intatta nel lungo sonno di morte, protetta dalla lava.
I manifesti erano scritti a grandi lettere in colore rosso o nero, su un fondo bianco ottenuto con la scialbatura di calce diluita. Enunciavano il nome del candidato, la carica da lui ambita e la richiesta di voto, espressa con una sigla: OVF , oro vos faciatis, che significa: vi prego di fare, cioè di votare. Sui manifesti figurano anche le donne, che non avendo diritto al voto, in tal modo esternavano pareri e desideri. I mass media di allora? I divulgatori migliori erano i bagnini, considerando l’affluenza quotidiana dei cittadini che andavano alle terme; poi gli osti, che frequentavano un gran numero di gente, che si fermava anche per i pasti veloci, fuori casa, che tanto andavano di moda allora; infine i carrettieri, che percorrendo il territorio che circondava la città, per lavoro, potevano prestarsi ad una propaganda capillare tra gli elettori residenti in campagna.

 

 

( Cicchetti Ivan )

 

 

 

 

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