STOP ALLE ASSUNZIONI FUORI DAI PIANI GIÀ APPROVATI SE L’ENTE NON HA AGGIORNATO IL FABBISOGNO

È scattato da lunedì 24 settembre il divieto di disporre nuove assunzioni non previste nella programmazione del fabbisogno 2018, fino a quando le amministrazioni non adegueranno il piano alle linee guida della funzione pubblica, approvate con il decreto 8 maggio 2018. Qual è tuttavia la portata di questo divieto? Come si devono comportare gli enti che hanno avviato procedure per la copertura dei posti?

La nuova programmazione del fabbisogno di personale

L’articolo 4 del Dlgs 75/2017 (di modifica dell’articolo 6 del Dlgs 165/2001) ha demandato ad apposite linee guida della Funzione pubblica la definizione dei criteri e dei principi ai quali devono attenersi le amministrazioni pubbliche nella programmazione del fabbisogno di personale. Queste linee guida sono state approvate con il Dm 8 maggio 2018 e pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale n. 173/2018. L’adeguamento alle novità introdotte dal decreto non è di certo agevole in quanto esso discende da un procedimento complesso che coinvolge la dirigenza e l’amministrazione volto a:

  1. a) una verifica delle professionalità esistenti all’interno dell’ente e di eventuali situazioni di esubero del personale;
  2. b) la ricognizione dei vincoli finanziari sottesi alla gestione del personale contenuti nell’articolo 1, commi 557 e 562 della legge 296/2006 e dell’articolo 9, comma 28, del Dl 78/2010 per quanto riguarda le forme flessibili di lavoro e dei margini di manovra disponibili, tenuto conto anche delle capacità di bilancio;
  3. c) l’analisi dei fabbisogni e l’individuazione dei profili professionali necessari, sia sotto il profilo qualitativo che quantitativo, tenuto conto dell’evoluzione nell’organizzazione del lavoro e degli obiettivi strategici dell’amministrazione da perseguire nell’arco del mandato.

Il tutto è finalizzato a superare il concetto di dotazione organica come contenitore statico dal quale partire per la definizione del fabbisogno di personale, costituito da posti disponibili e figure professionali “datate” a favore di «un paradigma flessibile e finalizzato a rilevare realmente le effettive esigenze», quale il piano triennale del fabbisogno di personale. Unico parametro “vincolante” per le amministrazioni è costituito dalla spesa potenziale massima per il personale, entro il quale il piano dovrà assestarsi per definire la consistenza di personale e individuare i posti da ricoprire, in coerenza con la propria capacità assunzionale. A tale proposito sono evidenti le difficoltà di coordinare una grandezza finanziaria (quale il limite di spesa di personale determinato secondo i commi 557 e 562 della legge 296/2006) con le risorse destinate all’attuazione del piano triennale del fabbisogno di personale. Queste ultime infatti costituiscono una parte del più ampio complesso delle spese di personale, in cui confluiscono anche le spese per lo straordinario, il fondo per le risorse decentrate, le spese per la formazione e le missioni, i buoni pasto, gli assegni al nucleo familiare o l’equo indennizzo, solo per citarne alcune. Senza considerare poi che una parte di queste spese vengono escluse dai limiti imposti dal legislatore, come ad esempio le categorie protette incluse nelle quote d’obbligo. Per far quadrare i conti gli uffici personale e ragioneria dovranno mettere mano a conteggi tutt’altro che agevoli e predisporre prospetti di riconciliazione nei quali dovrà essere data evidenza:

  1. a) come aggregato della spesa di personale:
  • delle risorse per l’attuazione del piano triennale del fabbisogno di personale;
  • delle ulteriori spese di personale non incluse nel piano triennale del fabbisogno di personale;
  1. b) come aggregato di spese escluse:
  • le risorse per l’attuazione del piano triennale del fabbisogno di personale che non gravano sui limiti di spesa (come ad esempio le assunzioni di personale a tempo determinato a carico di finanziamenti comunitari o privati o quelle afferenti alle categorie protette);
  • le ulteriori spese di personale escluse dai limiti.

 

I tempi per l’adeguamento e le sanzioni in caso di mancata approvazione

Il piano triennale del fabbisogno di personale rappresenta un atto di programmazione settoriale che gli enti locali sono chiamati a inserire nel documento unico di programmazione, alla luce anche delle modifiche apportate al principio contabile allegato 4/1 dal Dm 29 agosto 2018, non prevedendo l’ordinamento un autonomo termine di approvazione del piano triennale del fabbisogno di personale (si veda in proposito il Quotidiano degli enti locali e della Pa dell’11 settembre). Sono tuttavia numerose le amministrazioni locali che hanno preferito, per diversi motivi, rinviare alla nota di aggiornamento al Dup e alla predisposizione del bilancio 2019-2021 l’adeguamento del fabbisogno di personale. Questi enti dovranno quindi tenere in debita considerazione la portata applicativa della sanzione prevista dall’articolo 6, comma 6, il quale fa divieto di nuove assunzioni fino a quando non si provvede a porre in essere tutti gli adempimenti, divieto che (secondo l’articolo 22, comma 1, del Dlgs 75/2017) scatta decorsi 60 giorni dalla pubblicazione delle suddette linee di indirizzo (e quindi dal 24 settembre). Il blocco – tuttavia – non è totale e, secondo quanto espressamente previsto dal punto 2.3 delle linee guida, fa salve le assunzioni previste nel piano occupazionale 2018 inserite nella programmazione triennale 2018-2020 precedentemente approvata, siano esse già avviate o da avviare entro la fine dell’anno. Al contrario non potranno procedere, sino all’approvazione del nuovo Ptfp, le amministrazioni che si trovano in una delle seguenti condizioni:

  1. a) non hanno approvato il programma triennale del fabbisogno di personale 2018-2020 e lavorano su quello 2017-2019;
  2. b) hanno necessità di modificare il piano occupazionale 2018 inserendo nuove assunzioni;
  3. c) non sono in regola con tutti gli adempimenti previsti dalla legge per le assunzioni.

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