DEPORTAZIONE – LA TESTIMONIANZA DI REINHARD FLORIAN

Reinhard Florian nasce il 24 Febbraio 1923 a Matheninken, in Germania. I genitori dono di etnia sinti e commercianti di cavalli. Per causa delle restrizioni contro i zingari Reinhard viene separato dai genitori e successivamente arrestato e internato in diversi campi di concentramento.

Nel 1937, ai genitori di Reinhard non è più consentito di svolgere il loro lavoro regolare, per cui suo padre inizia a lavorare come fabbricante di mattoni. A Reinhard non è permesso di apprendere un mestiere, così anche lui trova lavoro come bracciante agricolo in una fattoria lontana da casa. A causa delle misure anti rom e sinti promulgate dai nazisti, non avrà più la possibilità di rivedere la sua famiglia.

«Nel 1937», dice Reinhard, «terminai la scuola, fu l’anno in cui iniziò la nostra persecuzione. Proibirono a mio padre e mia madre di svolgere il loro mestiere. Mio padre dovette andare a lavorare in una fabbrica di mattoni e mia madre fu costretta a rimanere a casa. I miei fratelli lavoravano già la terra. Dato che ci era proibito imparare un mestiere, mandarono anche me a fare il contadino. Ci diedero una carta di identità speciale con le seguenti restrizioni: non si poteva lasciare la nostra località, ne partecipare ad alcun evento, dopo le 10 di sera era proibito uscire di casa. Queste regole ci separavano già dalla nostra famiglia. Intendo separati per sempre».

«Non ho mai più visto i miei genitori o i miei fratelli», aggiunge. «Io lavoravo la terra, allora avevo 14 anni, ed ero ancora debole. Il lavoro era molto duro, ma dovevo lavorare come un adulto. Quando non riuscivo venivo punito: niente cena, schiaffi sul viso, non potevo avere alcun contatto con i miei genitori. Il mio datore di lavoro censurava le mie lettere che così cadevano nell’oblio. Non potevi scrivere la verità ma solo ciò che era permesso. I miei genitori erano analfabeti, per scrivere dovevamo chiedere a qualcuno di farlo per noi, cioè ai tedeschi, quindi non osavamo scrivere tutto. Se mi scrivevano qualcosa che non dovevo sapere la lettera veniva confiscata. Dovevamo osservare la carta delle restrizioni. Non ero solo uno zingaro, ero uno zingaro marchiato dalla pelle scura. Lo sapevano tutti che ero uno zingaro e mi obbligavano a seguire le restrizioni alla lettera».

Nel febbraio del 1941, Reinhard è arrestato dalla Gestapo e deportato al campo di concentramento di Mauthausen, dove è costretto a lavorare nella cava. «Nel novembre 1941», racconta Reinhard, «arrivammo al campo di sterminio. Nel nostro convoglio lunghissimo c’erano 4.000 uomini. I primi erano già giunti al campo, gli ultimi erano ancora alla stazione. Non sapevamo cosa succedesse al campo e cosa ci aspettasse. Mi sono detto: “Anche qui fanno il pane”. Ero ingegnoso, robusto, agile, atletico, bravo e sano. Mi sono detto che per quanto potesse essere dura io ce l’avrei fatta. Eravamo davanti ai cancelli chiusi di Mauthausen, non vedevamo niente. Tutto era immobile, in un silenzio di tomba, paura, curiosità, forse una premonizione».

«Si aprirono i cancelli. Un uomo gridò “avanti in marcia”», continua il racconto del sopravvissuto. «Camminavamo in fretta nel campo, ma a sinistra e destra c’erano i picchiatori con le mazze: le SS e i kapò. Ognuno era armato di mazza. Una scena inimmaginabile. Ci picchiavano e chi cadeva a terra non riusciva più ad alzarsi. Più di 4.000 uomini calpestati, travolti. Chi riceveva una mazzata diretta moriva all’istante. Ci radunarono per mezz’ora. Tutte le persone a terra erano morte perché uccise dai colpi. È inimmaginabile, ma l’abbiamo visto con i nostri occhi. Eravamo ingenui e non avevamo nessuna idea di cosa stesse succedendo. Questo fu il nostro benvenuto».

Nel 1942 viene trasferito al campo di Gusen e nel giugno 1943 ad Auschwitz, poi a Melk. Prima dell’arrivo delle truppe statunitensi tutti i prigionieri vennero trasferite nel campo di Ebensee, dal quale Reinhard è stato liberato il 6 maggio 1945 dalle forze armate americane.

 

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