La sindrome di Treacher Collins e quel mondo che giudica troppo dall’apparenza

di Alina Di Mattia

Se esiste qualcosa in grado di salvare questo nostro mondo di sicuro è la gentilezza. E se è vero che “un battito d’ali di farfalla sia in grado di provocare un uragano dall’altra parte del pianeta”, forse è arrivato il momento di dispensare azioni gentili soprattutto nei confronti di chi soffre.

“Sono brutta. Dicono che non sono degna di esistere, che inquino l’aria, che appesto l’ambiente. Sono un rifiuto della società, la sorella da nascondere agli amici, la figlia da proteggere dallo sguardo dei curiosi, la moglie che nessuno vorrà mai. Avrei preferito essere invisibile, quanto meno nessuno si sarebbe accorto della mia mostruosità ed io sarei stata libera di camminare per strada a testa alta, di farmi spettinare i capelli dal vento, di lasciarmi baciare dai raggi del sole con spudoratezza, come nessuno ha mai fatto, come nessuno farà mai. Se fossi stata invisibile mi sarei fermata a respirare l’odore dei fiori immersa tra le meraviglie della natura, senza sembrare, io, un errore della stessa natura, senza quella sensazione angosciante di essere osservata con disprezzo, senza sentirmi ripetere alle spalle quanto sia orribile, benché non abbia mai chiesto di essere bella per qualcuno… 

Mia madre dice che la gente è cattiva con le persone speciali, ma forse la gente è cattiva con quelli come me perché deturpano la bellezza della vita; dice anche di passare oltre, ma sono troppo stanca per passare sopra a tutto, perché quel tutto è passato sopra di me frantumandomi. Ci sono momenti in cui il mio cuore sembra esplodere in mille pezzi per il troppo dolore. Mi manca il respiro, mi manca l’aria, mi manco io. Vorrei solo che le persone fossero più gentili, soltanto un po’ più gentili…”. 

Già, la gentilezza. Eppure un gesto garbato, un sorriso, un atto di cortesia, sono i primi passi per costruire una società migliore. Purtroppo, l’’evoluzione’ dei rapporti relazionali dell’epoca moderna e, in particolar modo, le interazioni sulle piattaforme di social media in cui tutto sembra essere lecito, hanno cancellato dalla nostra memoria quella che i nostri nonni chiamavano ‘buona creanza’. Ci indigniamo virtualmente e quotidianamente per le ingiustizie del mondo, ma siamo onesti: cosa facciamo realmente affinché queste non avvengano nel nostro raggio d’azione? Cosa facciamo quando ci troviamo dinnanzi alla possibilità di migliorare la vita di qualcuno, o forse soltanto la sua giornata? Ve lo dico io: nel 98% dei casi, niente! Ma abbiamo un restante 2% e ci si può lavorare.

Quando ti viene data la possibilità di scegliere se avere ragione o essere gentile, scegli di essere gentile”, recita uno dei precetti di Mr.  Browne, giovane insegnante della Beecher Prep School frequentata dal piccolo  August Pullman nel film “Wonder”. Poco importa se la citazione è stata coniata dallo psicologo statunitense Wayne Walter Dyer.  Il messaggio che arriva in quel preciso istante è una doccia fredda; va oltre il comune senso di indifferenza che ci domina da qualche decennio.

Mentre il regista Stephen Chbosky inquadra gli occhi malinconici di ‘Auggie’, un bambino di dieci anni che aspetta il giorno di Halloween per nascondersi dietro una maschera e camminare tra la gente senza essere guardato con disgusto, lo spettatore più attento vive una sorta di collasso emozionale. Tristezza, rabbia, impotenza prima di ogni cosa, e poi quel senso di colpa pungente per non aver saputo difendere Auggie e tutti gli Auggie del mondo dalla mancanza di tatto, di garbo, di civiltà. O, semplicemente, per non aver saputo guardare oltre il proprio naso.

Siate gentili”, invece, è la frase conclusiva che il ventiseienne Raffaele Capperi sceglie per salutare un pubblico in standing ovation durante la partecipazione al programma televisivo “Tu si que vales”, in cui racconta con naturalezza e senza mezzi termini gli episodi di becero bullismo dei quali è stato vittima a causa della sua condizione, nonché la lotta quotidiana per essere accettato socialmente rimanendo se stesso. Una lezione di vita che arriva come una sferzata in pieno viso. Un toccante messaggio d’amore universale che supera tutte le distanze e si posa sui cuori con incredibile leggerezza.

Raffaele Capperi
Raffaele Capperi

Tu si que vales 2020: Raffaele Capperi e Maria De Filippi | Video Mediaset (superguidatv.it)

Il personaggio di August e Raffaele hanno in comune quella che in gergo viene chiamata “disostosi mandibolo facciale”, conosciuta appunto come sindrome di Treacher Collins (TCS) o anche sindrome di Franceschetti-Zwahlen-Klein, una condizione genetica caratterizzata da deformazione cranio facciale che colpisce 1 bambino su 50.000. [Gorlin R.J. et al.]

Auggie dal grande schermo, Raffaele dal piccolo, entrano nella nostra comoda e ipocrita normalità. Ci raccontano il disagio e la sofferenza celati dietro un’esistenza trascorsa a difendersi dall’ignoranza, dalla cattiveria, ma anche il coraggio e la forza necessari per non sentirsi inadeguati. Per non soccombere alla crudeltà umana o, peggio, all’indifferenza planetaria.

Vessazioni quotidiane, mortificazioni, violenze psicologiche pericolose per lo sviluppo della personalità del bambino che lasciano solchi profondi e precludono loro il futuro cui hanno giustamente diritto. Ma ogni medaglia ha fortunatamente il suo rovescio, e la bella notizia è che sono sempre di più i portatori di malattie rare che si trasformano in vincenti come August, come Raffaele.

Qualche nozione sulla TCS

La sindrome di Treacher Collins è una malattia genetica rara e può essere trasmessa da un genitore o acquisita de novo, ovverossia in modo spontaneo durante lo sviluppo embrionale.

A causare la patologia è una mutazione del gene TCOF1 (80% dei casi) e dei geni POLR1C e POLR1D (8% dei casi),  che giocano un ruolo fondamentale nello sviluppo dei tessuti ossei e dei tessuti molli che costituiscono il volto umano.  E difatti un portatore di tale condizione deve affrontare, sin dai primi mesi di vita, numerosi  e delicati interventi di chirurgia maxillofacciale essenziali  alle funzioni vitali, e finalizzati al rimodellamento del viso e alla correzione di anomalie che possono compromettere gravemente  la sua salute. La TCS è caratterizzata da una ipoplasia o aplasia degli archi zigomatici e della mandibola dovuta ad una convessità facciale che, a livello dell’orofaringe – il tratto intermedio della faringe preposto al passaggio di aria e cibo –  provoca  la riduzione dello spazio delle vie aeree superiori. La respirazione viene alterata anche dalle ossa nasali, e non raramente bisogna intervenire tramite Tracheostomia affinché lo stato di salute del paziente non venga gravemente compromesso.

Peraltro, in  presenza di grave occlusione dentale con relativi problemi di masticazione, il cibo deve essere somministrato direttamente nello  stomaco tramite PEG.

Nel 50% dei casi la sindrome si associa a un deficit dei padiglioni auricolari dovuto ad anomalie e stenosi dei canali uditivi esterni e malformazioni degli ossicini, deficit che richiede tempestivo intervento con chirurgia otorinolaringoiatrica per la ricostruzione dei condotti, e talvolta il supporto di protesi nonché di un logopedista per garantire un corretto sviluppo del linguaggio. Meno comuni, ma non rari, sono i casi di palatoschisi che vengono comunque trattati e con successo con la chirurgia ricostruttiva.

Poiché non esiste attualmente una terapia in grado di curare le conseguenze della mutazione genetica,  il trattamento è su base sintomatica, focalizzato quindi ad alleviare i sintomi e a prevenire l’insorgenza di complicanze.  Un iter sanitario tanto difficoltoso e doloroso si affianca spesso a un percorso di psicoterapia per superare problematiche di  natura psicologica come depressione e fobia sociale.  I portatori della sindrome  vivono talvolta in situazioni di emarginazione, esclusi  dalle attività dei loro coetanei, sottoposti a una pressione sociale che ne intacca la crescita e impedisce loro un corretto inserimento nella comunità, passaggio essenziale per lo sviluppo cognitivo e relazionale del bambino che la  TCS, di per sé,  non condiziona.

È pur vero che negli ultimi decenni, grazie a massicce e mirate campagne di sensibilizzazione, la percezione sociale della diversità si è radicalmente trasformata. Si sono modificati quelli che sono  i parametri predefiniti – predefiniti da chi e da che cosa? –  di ciò che nell’accezione comune viene definita “bellezza”.  Una perfezione che di fatto non esiste ma che viene sistematicamente imposta dai media o dagli influencer di turno seminando chimere ovunque. Oggi, si tende sempre più sovente a puntare su una nuova e innovativa armonia estetica che sottolinea la centralità dell’individuo, resa ancor più preziosa da una pluralità di espressioni che celebrano la persona nella sua  unicità.

Da parte sua, la sindrome di Treacher Collins, se tempestivamente diagnosticata e supportata da una corretta informazione, può essere associata ad una buona aspettativa e qualità  di vita, e storie come quelle di Auggie e Raffaele possono di fatto contribuire a rendere la società più inclusiva e meno esclusiva.

In un mondo che giudica dall’apparenza, l’occhio va abituato alle diversità e i cuori al rispetto delle differenze.

Una società che ragiona attraverso stereotipi

All’epoca delle riprese di “Wonder” il protagonista, interpretato magistralmente dal giovanissimo Jacob Tremblay,  aveva soltanto nove anni. Tre, invece, ne aveva il figlio della scrittrice americana Raquel Jaramillo Palacio, autrice del libro da cui è stata tratta la pellicola. L’incontro mal gestito con una bambina portatrice di TCS all’interno di una gelateria, il pianto del figlio seguito da una sorta di imbarazzante fuga per allontanarlo dalla piccola che involontariamente lo stava spaventando, spinge Raquel a spalancare una finestra su una condizione a dir poco sconosciuta ai più. La sua opera diventa un bestseller, la trasposizione cinematografica incassa oltre 305 milioni di dollari, portando nelle nostre case e nelle nostre esistenze, apparentemente perfette,  la consapevolezza che viviamo in un mondo che non sa come guardare la diversità e non sa interfacciarsi con la sofferenza. 

Nel film, infatti, si racconta la storia di ‘Auggie’, un bambino nato con “disostosi mandibolo-facciale”, che ogni giorno deve combattere non soltanto contro le conseguenze gravissime della patologia da cui è affetto e che lo costringe, sin dalla nascita, a sottoporsi a dozzine di interventi chirurgici che gli permettano di respirare, vedere e sentire, ma anche contro una società che percepisce la sua diversità con orrore e a cui egli risponde con una gentilezza disarmante. 

La pellicola  vince l’Humanitarian Satellite Award e il Saturn Award per aver trattato in maniera  critica il tema della diversità, e ottiene la candidatura agli Oscar. A sipario chiuso però, ciò che sopravvive alle emozioni contrastanti del bambino e alla determinazione della famiglia, la cui lotta per proteggerlo dall’insensibilità umana è presente  in ogni scena, è un messaggio di speranza che apre un varco nelle coscienze, una luce che sovrasta il buio, quasi a significare che non tutto è perduto; anche un percorso ostico e difficile attraverso una sindrome come quella di Treacher Collins può trasformarsi in una grande occasione, persino in una magnifica vittoria contro ogni tentativo di carità.

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Combattere l’ignoranza è impossibile, ma si può provare a gestirla.

Perché, sapete, se esiste qualcosa  in grado di salvare questo nostro mondo di sicuro è la gentilezza. E se è vero che “un battito d’ali di farfalla sia in grado di provocare un uragano dall’altra parte del pianeta”, forse è arrivato il momento di dispensare azioni gentili soprattutto nei confronti di chi soffre. Hai visto mai…

E poi, per usare le parole di Auggie, “tutti meritiamo una standing ovation almeno una volta nella vita”.

L’articolo è stato pubblicato dallo stesso autore su “La Voce di New York”

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