Grandi speranze dalle Onde Gravitazionali di Einstein per svelare il lato oscuro dell’Universo nella finissima tessitura dello spaziotempo

L’Aquila / . Pubblicato il catalogo degli 11 eventi confermati presenti nei dati dei primi due esperimenti degli Osservatori Ligo e Virgo per Onde Gravitazionali. Ai 7 eventi di fusione già noti se ne aggiungono altri 4, per un totale di 11 detonazioni OGE. Dei quattro nuovi, uno è stato registrato anche dal Telescopio Virgo, l’interferometro italiano costruito nella campagna toscana di Pisa. Ora si fa sul serio. D’ora in poi, dal 1° Aprile dell’Anno Domini 2019, Ligo e Virgo lavoreranno d’amore e d’accordo. Le osservazioni più dettagliate del materiale in orbita vicino al Buco Nero centrale della Via Lattea, giungono dal sensore Gravity dell’Osservatorio Australe Europeo. Le Onde Gravitazionali di Einstein rivelano i segreti cosmologici fondamentali per la comprensione dell’infinitamente piccolo e grande. E ben presto infrangeranno la “barriera” delle dieci rivelazioni, ossia il computo dei primi undici eventi energetici OGE finora confermati. Un risultato tutt’altro che scontato, quello delle Onde Gravitazionali di Einstein che consacrano definitivamente la sua Relatività che non è più una Teoria Generale! GW170817 è un getto relativistico che buca il materiale espulso nell’atto della fusione delle due stelle di Neutroni. Eventi che formano gli elementi chimici pesanti, come Oro e Platino. Nell’illustrazione degli scienziati O.S. Salafia e G. Ghirlanda, si osserva il flusso che attraversa il materiale lanciato nello spazio dallo scontro delle due stelle di Neutroni. È lanciato dal Buco Nero, circondato da un disco di materia calda, che si è formato dopo lo scontro. Grandi speranze dalle Onde Gravitazionali per la navigazione interstellare.

(di Nicola Facciolini)

“Il Signore Dio li condusse all’uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l’uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome” (Genesi 1,19). Ora si fa sul serio. D’ora in poi Ligo e Virgo lavoreranno d’amore e d’accordo. Grandi speranze delle Onde Gravitazionali di Einstein per svelare il lato oscuro dell’Universo nella finissima tessitura dello spaziotempo ove si celano i segreti cosmologici fondamentali per la comprensione dell’infinitamente piccolo e grande. Le Onde Gravitazionali ben presto infrangeranno la “barriera” delle dieci rivelazioni, ossia il computo dei primi undici eventi energetici OGE finora assicurati. La conferma giunge dagli scienziati della collaborazione Ligo-Virgo che pubblicano i risultati delle analisi approfondite condotte sui primi due esperimenti (run), le due originali campagne osservative realizzate dal team del fisico californiano di Kip Thorne, l’ideatore del Buco Nero “gentile” Gargantua nel colossal Interstellar, scienziato insignito del Premio Nobel. Un vero e proprio Catalogo di “detonazioni” spaziotemporali OGE letteralmente risonanti in tutto l’Universo locale, messo online dai ricercatori, a sancire il passaggio dall’eccezionalità dell’Astronomia Gravitazionale alla buona routine scientifica. D’ora in avanti, a meno che non si presentino scenari sempre possibili che ancora mancano all’appello, come la fusione fra un Buco Nero e una stella di Neutroni, e le “stringhe di energia” (Buchi Bianchi e Neri inanellati come i grani in una corona di rosario!) forieri di altri Nobel, l’eccitazione per fenomeni cosmici mai osservati prima lascerà sempre più spazio alla statistica, ai dettagli, all’affinamento tecnologico e teorico. All’Astronomia Gravitazionale vera e propria, grazie alla quale avremo una visione totalmente nuova del Cosmo in cui viviamo e un giorno navigheremo di persona a bordo di vere astronavi interstellari. Con Mappe OGE sempre più aggiornate e dettagliate dell’Universo. Giusto per non sbattere contro una Supernova o un Buco Nero/Bianco! Un po’ com’è accaduto nel corso degli ultimi vent’anni con la scoperta degli esopianeti alieni, prima del 1995 confinati al reame della fantascienza, che ormai si contano a migliaia. “Il primo catalogo degli eventi di onde gravitazionali – conferma Giovanni Prodi, coordinatore dei gruppi di analisi dati di Virgo – è fondamentale per il passaggio allo studio sistematico delle sorgenti di onde gravitazionali. A pochi anni dalle prime rivelazioni, abbiamo così iniziato a svelare le caratteristiche dei buchi neri di massa stellare che popolano l’Universo”. Un catalogo da sfogliare, oggi con ancora un numero di pagine sufficientemente contenuto, tale però da permettere di soffermarsi un istante su ogni singolo evento OGE, come forse non avverrà mai più, come per gli esomondi. Almeno fino alla scoperta ufficiale degli Alieni Extraterrestri! “Abbiamo rivelato con certezza dieci segnali di onde gravitazionali – osserva Viviana Fafone, responsabile nazionale dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn) per la collaborazione Virgo – emessi dalla fusione di coppie di buchi neri di massa stellare, e un segnale prodotto dalla coalescenza di un sistema binario di stelle di neutroni. Questo significa che dall’approfondita analisi del complesso dei dati raccolti nel corso dei primi due periodi di osservazione sono emersi altri quattro eventi, rispetto a quelli precedentemente annunciati”. I quattro nuovi eventi, chiamati in base alla data in cui sono stati registrati GW170729, GW170809, GW170818 e GW170823 (GW sta per Gravitational Wave, onda gravitazionale in inglese, e le sei cifre che seguono indicano l’anno, il mese e il giorno) sono stati tutti generati dalla fusione di Buchi Neri (stelle collassate) binari. Due meritano una menzione particolare. Il primo è GW170729. Si tratta, a oggi, della “sorgente di onde gravitazionali più massiccia e distante finora osservata”, rivelano gli scienziati. Nella coalescenza, avvenuta circa 5 miliardi di anni fa dal punto di vista terrestre, un’energia equivalente a quasi cinque masse solari è stata convertita istantaneamente in radiazione gravitazionale e neutrini. L’altro è GW170818, rivelato dunque il giorno successivo al celebre GW170817, l’unico degli 11 eventi a oggi noti, provocato dalla fusione non di due Buchi Neri bensì di due stelle di Neutroni. GW170818 è l’unico fra i quattro nuovi eventi ad essere stato registrato anche dal Telescopio gravitazionale italiano Virgo, perché “purtroppo durante i primi due eventi non eravamo ancora in acquisizione dati e, durante l’ultimo, il rumore del detector era troppo alto”, spiega Valerio Boschi di Virgo-Ego. In compenso, quella di Virgo è una rilevazione di ottima qualità, paragonabile a quella di uno dei due interferometri “Nobel” americani. “Il rapporto segnale rumore è 4.2 per Virgo, 4.1 per Ligo Hanford e 9.7 per Ligo Livingston – rileva Boschi – e il cosiddetto false alarm rate, cioè la probabilità che l’evento sia spurio, è di appena 1/24000 anni. È infatti l’evento meglio localizzato di tutto il catalogo, dopo la binaria di stelle di neutroni”. Localizzazione che si può facilmente desumere dall’immagine pubblicata dai ricercatori: la posizione del sistema binario all’origine di GW170818, situato a 3,3 miliardi di anni luce dalla Terra, è stata individuata nel cielo con una precisione di 39 gradi quadrati. La ripartenza, il “run O3”, è in calendario per la Primavera 2019, precisamente il 1° Aprile (www.ligo.caltech.edu/WA/news/ligo20190326). “Ci auguriamo di riuscire a rivelare onde gravitazionali da sorgenti ancora mai osservate – dichiara Alessio Rocchi, ricercatore dell’Infn, coordinatore del commissioning di Virgo – come pulsar, sistemi binari composti da un buco nero e una stella di neutroni, o addirittura supernovae, perché questo consentirebbe di aggiungere un nuovo messaggero: oltre alle onde gravitazionali ed elettromagnetiche, anche i neutrini, una prospettiva emozionante per la nuova astronomia multimessaggera” (https://arxiv.org/abs/1811.12907). “Il catalogo Ligo-Virgo è una bellissima ricompensa per l’enorme sforzo scientifico e tecnologico delle collaborazioni, e una grande soddisfazione per tutti coloro che per oltre trent’anni hanno creduto e investito lavoro e risorse in questo progetto, in particolare un pensiero va ad Adalberto Giazotto, uno dei padri, assieme ad Alain Brillet, del nostro interferometro Virgo”, ricorda Fernando Ferroni, Presidente dell’Infn. Durante il primo “run” di osservazione (O1) dal 12 Settembre 2015 al 19 Gennaio 2016, sono stati rivelati tre segnali di Onde Gravitazionali dalla fusione di buchi neri. Il secondo “run” di osservazione (O2), dal 30 Novembre 2016 al 25 Agosto 2017, ha registrato Onde Gravitazionali emesse dalla fusione di un sistema binario di stelle di neutroni e un totale di sette segnali dalla fusione di Buchi Neri. Sono stati così riportati quattro nuovi eventi scoperti in O2 e tutti sono stati generati dalla fusione di buchi neri binari: GW170729, GW170809, GW170818 e GW170823. GW170729 sembra essere la sorgente di onde gravitazionali più massiccia e distante finora osservata. L’interferometro Advanced Virgo si è unito ai due rilevatori Advanced LIGO il 1° Agosto 2017. Nonostante il network Ligo-Virgo a tre rilevatori avanzati sia stato operativo per sole tre settimane e mezza, in questo periodo sono stati osservati ben cinque eventi. GW170814 è stata la prima fusione binaria di Buchi Neri misurata dalla collaborazione scientifica a tre rivelatori e ha consentito i primi test di polarizzazione delle Onde Gravitazionali per la individuazione della sorgente astrofisica. Tre giorni dopo è stato rivelato l’evento GW170817. Le prime Onde Gravitazionali mai osservate provenienti dalla fusione di un sistema binario di stelle di Neutroni. Evento che è stato osservato sia in OGE sia in radiazione elettromagnetica, dando così inizio all’era dell’Astronomia Multimessaggera. I nuovi eventi includono GW170818, misurato sempre grazie al network globale formato dagli osservatori Ligo situati negli Stati Uniti d’America a Livingston in Louisiana e Hanford nello Stato di Washington, e l’interferometro Virgo in Italia, a Cascina (Pisa) in Toscana (Italia). La posizione del sistema binario, situato a 3,3 miliardi di anni luce dalla Terra, è stata individuata nel cielo con una precisione di 39 gradi quadrati: la migliore localizzazione di una sorgente di onde gravitazionali, dopo la fusione di stelle di neutroni GW170817. “Questo successo è stato possibile grazie alla capacità di puntamento del network a tre interferometri – spiega Stavros Katsanevas, direttore dello European Gravitational Observatory (EGO) che ospita l’interferometro Virgo – sfruttando i ritardi di tempo di arrivo del segnale nei diversi siti e i cosiddetti pattern di antenna degli interferometri”. Un totale di undici rivelazioni di onde gravitazionali sono, dunque, state ricavate con tre analisi indipendenti dei dati di O1 e O2. E, grazie a una più avanzata elaborazione dei dati e alla migliore calibrazione degli strumenti, l’accuratezza della misura dei parametri astrofisici degli eventi già annunciati è migliorata considerevolmente. La pubblicazione di questo lavoro riepiloga le scoperte finora fatte in attesa della ripartenza del network Ligo-Virgo, alla conclusione di lavori di potenziamento dei tre interferometri, che aumenteranno così la loro capacità di osservazione del cielo e quindi il loro potenziale di scoperta. La loro nuova stagione di presa dati, questa volta durerà un intero anno. Il rivelatore italiano Virgo-EGO dello “European Gravitational Observatory”, e i rivelatori gemelli Ligo, si metteranno nuovamente in ascolto dell’Universo, stavolta operando congiuntamente come un Osservatorio Gravitazionale Planetario, il più sensibile di sempre. Dall’Agosto 2017, quando si è concluso il secondo periodo di osservazione, le collaborazioni hanno lavorato intensamente sui tre interferometri per migliorarne la sensibilità e l’affidabilità. Gli scienziati hanno anche migliorato i loro sistemi di analisi dati “offline” e “online”, sviluppando le procedure di rilascio degli “Open Public Alerts”, per informare in tempi ancora più rapidi le comunità dei fisici, degli astrofisici e degli astronomi quando un potenziale evento di Onda Gravitazionale viene registrato dagli interferometri. La sensibilità di un interferometro per Onde di Einstein è comunemente espressa in termini di distanza alla quale può osservare la fusione di un sistema binario di stelle di Neutroni. “Durante O2 Advanced, Virgo poteva osservare eventi di fusione di stelle di neutroni fino a una distanza di 88 milioni di anni luce – spiega Alessio Rocchi – entrambe le collaborazioni Ligo e Virgo hanno lavorato per migliorare la sensibilità dei rivelatori grazie agli aggiornamenti apportati agli interferometri: rispetto a O2, la sensibilità di Virgo è migliorata di circa un fattore 2, il che significa che il volume di Universo osservabile è aumentato di un fattore di 8”. Da Agosto 2017 sia Ligo sia Virgo sono stati aggiornati e testati. In particolare, Virgo ha completamente sostituito i fili di acciaio che erano stati utilizzati in O2 per tenere sospesi gli specchi principali dell’interferometro. Gli specchi sono ora sospesi a sottili fibre di silice fusa (vetro), una procedura che ha permesso di aumentare la sensibilità nella regione di bassa-media frequenza e ha un grande impatto sulle capacità di rivelare fusioni di sistemi binari compatti. Un secondo importante aggiornamento è l’installazione di una sorgente laser più potente, che migliora la sensibilità alle alte frequenze. Sono state adottate tecniche, sviluppate in collaborazione con l’Albert Einstein Institute di Hannover in Germania, che sfruttano la natura quantistica della luce per migliorare la sensibilità alle alte frequenze. Si prevede che i risultati scientifici di O3 saranno significativi e inediti: gli scienziati si aspettano rivelazioni di segnali OGE provenienti da nuove sorgenti, come la fusione di sistemi binari misti costituiti da buchi neri e stelle di neutroni. Inoltre la O3 punterà anche alla rivelazione di segnali di Onde Gravitazionali di lunga durata, prodotti ad esempio dalla rotazione di stelle di Neutroni in modo non simmetrico rispetto al loro asse. I segnali da fusione di sistemi binari di Buchi Neri, come GW150914, il primo evento OGE di sempre, dovrebbero diventare abbastanza ordinari. Si potrebbe arrivare a registrarne fino a uno ogni settimana, a riprova del fatto che il tessuto spaziotemporale è in continua “creazione”! E gli scienziati si aspettano anche di osservare diverse fusioni di stelle di Neutroni, come GW170817 che ha aperto l’era dell’Astronomia Multimessengera e ha fornito spunti di approfondimento per la fisica nucleare, la cosmologia e la fisica fondamentale. La O3 prevede un’altra importante novità: nell’ultimo periodo di presa dati, si dovrebbe unire anche il rivelatore gravitazionale giapponese Kagra, estendendo le capacità di rivelazione e puntamento della Rete Terrestre. Nel frattempo, il Laboratorio KEK di Tsukuba in Giappone, il 25 Marzo 2019 alle 11.44 (ora italiana) con l’esperimento Belle II ha osservato le sue prime collisioni elettrone-positrone, tra materia e antimateria. Si inaugura così la Fase 3 del progetto, cui partecipa anche l’Infn, dopo il potenziamento del rivelatore Belle II e  lavori di upgrade dell’acceleratore. “Questo rappresenta un passo fondamentale per la riuscita dell’esperimento – rivela Ezio Torassa della Sezione Infn di Padova, rappresentante italiano nel comitato esecutivo di Belle II – adesso ci aspettiamo di raccogliere entro il prossimo Giugno almeno 5 milioni di eventi, questo ci permetterà di capire a fondo il funzionamento del rivelatore e dell’acceleratore. Siamo ansiosi di analizzare i molti dati di cui presto disporremo e contiamo di effettuare misure sempre più precise con il progressivo aumento della statistica”. L’acceleratore SuperKEKB prevede di raggiungere una luminosità 40 volte maggiore del suo predecessore KEKB, che ha funzionato fino al 2010, e che detiene attualmente il record mondiale di luminosità per un collisore di elettroni-positroni. Belle II ha invece l’ambizioso obiettivo di accumulare 50 volte più dati rispetto al suo predecessore Belle, per scovare segnali di Nuova Fisica che potrebbero nascondersi nei decadimenti dei “mesoni B” e fare così luce sui misteri dell’Universo primordiale. L’esperimento Belle II, frutto del lavoro di una collaborazione internazionale formata da circa 800 fisici di 23 nazioni sulla Terra, è ora pronto a diventare assieme a SuperKEKB la più potente “Super B factory” del mondo, in grado di produrre in abbondanza e studiare con grande accuratezza i decadimenti dei mesoni B, particelle che contengono un “quark beauty” (b). “Il contributo Italiano è stato importante sia per aver proposto lo schema di collisione nano-beam, che ha permesso un notevole incremento di luminosità, sia per avere contribuito alla progettazione, costruzione e assemblaggio del rivelatore Belle II”, spiega Paolo Branchini della Sezione Infn di Roma Tre, coordinatore nazionale della comunità italiana che lavora al progetto. La collaborazione dell’Italia consiste di più di 60 scienziati provenienti dai Laboratori e dalle Sezioni dell’Infn delle Università di Napoli, Padova, Perugia, Pisa, Torino, Trieste, Roma Sapienza, Roma Tre, e dai Laboratori Nazionali di Frascati ed Enea Casaccia. I gruppi italiani hanno contribuito alla costruzione e sono impegnati nella messa in funzione di quattro elementi chiave dell’esperimento: il rivelatore di vertice (SVD), il sistema di identificazione di particelle (TOP), il calorimetro elettromagnetico (ECL), e il rivelatore esterno (KLM) dedicato alla misura dei mesoni KL e dei muoni. Si svela un altro po’ il velo calato sul mistero dell’asimmetria tra materia e antimateria. Un’asimmetria minuscola ma sufficiente a far sì che il “nostro” Universo esista con tutti noi e sia fatto esclusivamente di “materia”. È stata, infatti, scoperta nei decadimenti delle particelle “charm” (contengono un “quark c” che ha carica elettrica +2/3 rispetto a quella dell’elettrone) un’asimmetria di comportamento rispetto alle loro antiparticelle, chiamata violazione di CP, cioè di carica e di parità. In particolare, la violazione di CP è stata osservata nei “mesoni D0”. La misura è stata ottenuta dall’esperimento LHCb, uno dei quattro enormi rivelatori dislocati lungo l’anello magnetico sotterraneo di 27 km del supercollisore Lhc del Cern di Ginevra, ed è stata coordinata dal gruppo Infn di Bologna che fa parte della collaborazione scientifica LHCb. “L’osservazione di questo fenomeno, previsto dalla teoria ma sfuggito fino ad oggi alla conferma sperimentale, rappresenta per la fisica delle particelle il raggiungimento di una nuova pietra miliare – rivela Vincenzo Vagnoni, responsabile del gruppo LHCb della Sezione Infn di Bologna – si tratta di una misura complessa: per realizzarla è stato necessario progettare e costruire strumenti di indagine potenti come l’acceleratore Lhc e il nostro rivelatore LHCb, e ci sono voluti quasi dieci anni di lavoro da parte del nostro gruppo di ricerca”. Il risultato, che ha una significatività statistica di 5.3 sigma (deviazioni standard) superiore quindi alla soglia di 5 sigma convenzionalmente adottata dai fisici delle particelle per affermare in maniera inequivocabile una scoperta, è stato presentato il 21 Marzo 2019 alla conferenza Rencontres de Moriond EW e in un seminario al Cern dai ricercatori italiani Federico Betti e Angelo Carbone, entrambi della Sezione Infn dell’Università di Bologna. “Aver contribuito alla realizzazione di questa misura – racconta Federico Betti – è stata per me un’esperienza entusiasmante. Ho lavorato ininterrottamente all’analisi dei dati durante gli ultimi due anni e mezzo, inserendomi in un lavoro quasi decennale portato avanti dal nostro gruppo di ricerca”. Angelo Carbone spiega di aver “realizzato una misura di altissima precisione che ha richiesto un lunghissimo lavoro. La differenza di comportamento tra le particelle D0 e le corrispondenti antiparticelle è, infatti, molto piccola e abbiamo avuto bisogno di produrre e ricostruire decine di milioni di loro decadimenti per poterla osservare e misurare con precisione”. I quark possono essere suddivisi in due categorie: quelli di “tipo up” con carica +2/3 denominati quark up (u), charm (c) e top (t), e quelli di “tipo down” con carica -1/3, i quark down (d), strange (s) e beauty (b). Differenze di proprietà tra materia e antimateria derivanti dal cosiddetto fenomeno della violazione della simmetria CP, erano state osservate in passato solo nei decadimenti di particelle strange e beauty, cioè particelle che contengono quark s oppure quark b. La violazione di CP non era mai stata misurata prima d’ora nei decadimenti di particelle che contengono quark con carica di +2/3. “Questa scoperta – spiega Giovanni Passaleva dell’Infn di Firenze, a capo della collaborazione internazionale LHCb – apre ora un nuovo campo di studi per la fisica delle particelle: la comprensione degli effetti della violazione di CP anche nella categoria di quark di tipo up. La violazione di CP è uno dei processi chiave per comprendere fino in fondo e spiegare perché l’Universo di oggi sia composto solo di particelle di materia, e non vi sia presenza di antimateria residua”. Il fenomeno della violazione di CP fu osservato per la prima volta nel 1964 nel decadimento dei mesoni K neutri, e i due fisici che fecero la scoperta, James Cronin e Val Fitch, furono insigniti del premio Nobel per la fisica nel 1980. A quel tempo, la scoperta rappresentò una grande sorpresa per la comunità dei fisici delle particelle, allora fermamente convinta che la simmetria CP non potesse essere violata. Si poneva, quindi, il problema di come inserirla nella descrizione matematica della teoria. Un primo contributo teorico, successivamente rivelatosi fondamentale per lo sviluppo di una descrizione completa del fenomeno, era già stato fornito in un celebre articolo del 1963 dal professore Nicola Cabibbo, il quale aveva capito che l’interazione debole “interpreta” le particelle composte da quark come il risultato del mescolamento dei loro vari tipi. Partendo dalle fondamenta gettate da Cabibbo, i giapponesi Makoto Kobayashi e Toshihide Maskawa realizzarono all’inizio degli Anni ’70 che la violazione di CP poteva essere inclusa nel quadro teorico che oggi conosciamo come Modello Standard della fisica delle particelle elementari, a condizione che esistessero in Natura almeno sei diversi tipi di quark. Alla matrice che descrive il mescolamento dei quark fu dato poi il nome di matrice CKM, dalle iniziali dei cognomi tre fisici teorici. L’idea fu confermata definitivamente tre decenni dopo con la scoperta della violazione di CP nei decadimenti delle particelle beauty da parte degli esperimenti BaBar negli Stati Uniti e Belle in Giappone, risultato che condusse al riconoscimento del premio Nobel per la fisica nel 2008 a Kobayashi e Maskawa. “Questa teoria spiega tutti gli effetti di violazione di CP finora noti nella fisica delle particelle ed è stata ulteriormente confermata da altre misure, molte ottenute dall’esperimento LHCb – osserva Matteo Palutan, ricercatore dei Laboratori Nazionali Infn di Frascati e rappresentante nazionale della collaborazione LHCb – la stessa teoria prevede anche la minuscola violazione di CP nei decadimenti delle particelle charm che finalmente siamo riusciti a provare sperimentalmente con questa misura”. L’entità della violazione di CP osservata finora nelle interazioni del Modello Standard è, tuttavia, troppo piccola per spiegare l’asimmetria materia-antimateria che osserviamo in Natura nel nostro Universo locale, suggerendo l’esistenza di ulteriori processi ancora sconosciuti che violino più fortemente la simmetria CP. Questa misura stimolerà un rinnovato lavoro teorico per valutarne l’impatto sulla descrizione fornita dalla matrice CKM nel contesto del Modello Standard, e aprirà la strada alla ricerca di possibili nuovi processi di violazione di CP nelle particelle charm, grazie anche ai nuovi esperimenti nel Laboratorio Nazionale del Gran Sasso dell’Infn, in Abruzzo (Italia). La ricerca prosegue dunque nel suo intento di scovare effetti che evidenzino l’incompletezza del Modello Standard nella descrizione della realtà fisica, per aprire nuovi orizzonti alla conoscenza dei meccanismi di funzionamento del “nostro” Universo. E si comincia dalle scuole medie e superiori con la sperimentazione nelle classi del “Gran Sasso Videogame”, il giuoco istruttivo “educational” dedicato alla fisica delle particelle e ambientato ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso (le sale sotterranee sono installate sotto il Monte Aquila, in Provincia di Teramo). La sperimentazione parte dall’Abruzzo per poi successivamente coinvolgere studenti del Lazio e della Campania. Oltre 350 ragazzi di età compresa tra i 14 e i 19 anni e 15 insegnanti delle province di L’Aquila, Teramo e Pescara, sono i protagonisti della valutazione del videogioco. Grazie ai risultati raccolti sul campo dal team dei fisici e ai materiali didattici che lo accompagnano, verranno finalizzati e rilasciati ulteriori dati utili nella versione definitiva in italiano e in inglese sul sito (www.gransassovideogame.it). È il primo videogioco ambientato nei Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare ed è uno strumento nato per far conoscere la realtà dei Laboratori, avvicinare gli studenti alle frontiere della fisica e alle possibilità offerte dalle carriere scientifiche, com’è nei desiderata del Museo della Fisica nel capoluogo aprutino. Il progetto videoludico scientifico nasce dalla collaborazione tra i Laboratori Nazionali del Gran Sasso, l’agenzia di comunicazione scientifica Formicablu srl con il contributo di INDIRE (Istituto Nazionale Documentazione Innovazione Ricerca Educativa) per la fase di sperimentazione nelle scuole. La realizzazione del videogioco è stata affidata alla casa di produzione IVproduction di Ivan Venturi, pioniere dell’industria videoludica italiana. Gran Sasso Videogame è il risultato del progetto PILA (Physics In Ludic Adventure) finanziato dal MIUR nell’ambito della legge 6/2000 per la diffusione della cultura scientifica. Prima ancora di aver raggiunto la sua versione definitiva, il Gran Sasso Videogame pare abbia già ottenuto il titolo di progetto più significativo nella categoria “Capitale Umano” al Premio “PA sostenibile 100 progetti per raggiungere gli obiettivi dell’Agenda 2030”. La versione beta del videogioco è stata resa pubblica il 27 Maggio 2018 e ad oggi è stato giocato da migliaia di persone. A seguito di ulteriori aggiornamenti, a partire dal 26 Marzo 2019, il videogioco Lngs-Infn viene promosso e proposto per la prima volta agli studenti delle scuole superiori: il percorso di valutazione si effettua in circa 15 classi appartenenti a 6 scuole delle Province di L’Aquila, Teramo e Pescara che si sono rese disponibili a testare il programma. La versione definitiva del videogioco in italiano e in inglese pare venga rilasciata entro Maggio 2019. La fase di sperimentazione serve a finalizzare il videogioco tenendo conto delle osservazioni e delle esigenze degli studenti e insegnanti. Solo realizzando uno strumento davvero utile alla didattica, il team, che ha partecipato alla realizzazione di Gran Sasso Videogame, potrà sostenere di aver vinto la sua partita. Sono quasi 3500 gli studenti delle scuole superiori di tutta Italia che, in contemporanea con i loro coetanei di tutto il mondo, in questi giorni possono fare esperienza diretta di come funzionano le ricerche dei fisici che lavorano al Cern, grazie all’iniziativa Masterclass, coordinata in Italia dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare. I ragazzi visitano le università dove vengono accompagnati dai ricercatori in un viaggio alla scoperta delle proprietà delle particelle ed esplorano i segreti della grande macchina Large Hadron Collider del Cern, grazie alla quale nel Luglio dell’Anno Domini 2012 è stato scoperto l’ormai celebre Bosone di Higgs, la “Particella di Dio” che dona la massa a tutte le altre nelle brevi distanze. Come fa del resto la “debole” forza di Gravità plasmando il continuum dello spaziotempo, agendo a distanza infinita, con la sua particella, il gravitone, un “fotone speciale” non ancora riprodotto al Cern. Ogni università organizza una giornata di lezioni e seminari sugli argomenti fondamentali della fisica delle particelle, seguite da esercitazioni al computer su uno degli esperimenti del collisore (non “acceleratore”!) di particelle Lhc (ATLAS, CMS, ALICE o LHCb) dove nel tunnel di 27 km, a 100 metri di profondità, sotto la campagna fuori Ginevra le particelle si scontrano quasi alla velocità della luce. I ragazzi possono usare i veri dati provenienti da Lhc per simulare negli esercizi l’epocale scoperta del Bosone di Higgs, ma anche quella dei bosoni W e Z. Proprio quelli che nel 1984 valsero il premio Nobel al fisico italiano Carlo Rubbia che ha spostato il suo esperimento neutrinico al Fermilab. E di alcune particelle dotate di una proprietà di nome “stranezza”. Possono anche esplorare la vita e le caratteristiche della particella “D0”. Alla fine della giornata, proprio come in una vera collaborazione di ricerca internazionale, gli studenti si collegano in videoconferenza con i coetanei di tutto il mondo che hanno svolto gli stessi esercizi in altre università, per discutere insieme i risultati emersi dalle esercitazioni. Un po’ come dovrebbe funzionare l’insegnamento delle scienze nella scuola superiore in Italia. L’iniziativa, giunta alla 15ma edizione, fa parte delle “Masterclass” internazionali organizzate dall’International Particle Physics Outreach Group. Le Masterclass si svolgono contemporaneamente in 52 diverse nazioni, coinvolgono oltre 200 tra i più prestigiosi enti di ricerca e università del mondo e più di 13.000 studenti delle scuole superiori. Per l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare sono presenti le sezioni di Bari, Bologna, Cagliari, Cosenza, Ferrara, Firenze, Genova, Lecce, Milano Bicocca, Milano, Napoli, Padova, Pavia, Perugia, Pisa, Salerno, Sapienza Università di Roma, Roma Tor Vergata, Roma Tre, Torino, Trieste e Udine, i Laboratori Nazionali di Frascati, il TIFPA di Trento e l’Università di Modena e Reggio Emilia. Un risultato tutt’altro che scontato, quello delle Onde Gravitazionali di Einstein che consacrano definitivamente la sua Relatività Generale che non è più solo una Teoria! Ci sono voluti trentatré radiotelescopi distribuiti in cinque continenti, dall’Australia agli Stati Uniti passando per Asia, Europa e Sud-Africa, e trentasei astronomi di undici nazioni per misurare le dimensioni di GW170817, la prima sorgente di Onde Gravitazionali rivelate dagli interferometri Ligo e Virgo, osservata anche nella sua componente elettromagnetica da decine di telescopi, a più di un anno dalla sua scoperta. I risultati dello studio di un team internazionale coordinato da Giancarlo Ghirlanda, primo ricercatore dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, e che ha visto la partecipazione di colleghi ricercatori dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, Università di Milano-Bicocca, Gran Sasso Science Institute e Agenzia Spaziale Italiana, sono pubblicati sulla rivista Science. Lo studio mostra come dallo scontro di due stelle di Neutroni (un grammo della cui massa relativistica spazzerebbe via la Terra in un istante!) abbia avuto origine un getto di energia e materia lanciato nello spazio interstellare a una velocità prossima a quella della luce. Le due stelle di Neutroni, nell’atto di fondersi, hanno rilasciato nello spazio circostante materiale ricco di Neutroni, che ha formato metalli pesanti. Il getto ha dovuto farsi strada attraverso questa “super” materia. Se non fosse riuscito ad emergere avrebbe depositato al suo interno la propria energia, provocando un’esplosione quasi sferica. È ben presto apparso chiaro che studiare il cambiamento della luminosità della sorgente nel tempo, non sarebbe bastato per capire se il getto ce l’avesse fatta o meno a bucare la coltre di materiale circostante. Per scoprirlo, i ricercatori hanno deciso di misurare quanto fosse grande la sorgente. “Dopo diversi mesi un’esplosione sferica, a una distanza come quella di GW170817, sarebbe apparsa come una bolla luminosa delle dimensioni apparenti di circa un milionesimo di grado – rivela Ghirlanda, primo autore dell’articolo scientifico che illustra lo studio – come una moneta da un euro vista da 1000 chilometri di distanza, mentre un getto sarebbe apparso significativamente più piccolo, non più grande della metà”. Dimensioni così piccole sono misurabili solamente con la tecnica chiamata “Very Long Baseline Interferometry” che combina le osservazioni dei più grandi radio telescopi sulla Terra: maggiore è la distanza fra le antenne utilizzate e più piccoli sono i dettagli delle sorgenti celesti che è possibile distinguere. L’osservazione ha visto impegnati 33 radio telescopi, che tra il 12 e il 13 Marzo del 2018, sfruttando la rotazione della Terra, hanno iniziato ad osservare la lontana galassia in cui è avvenuta la fusione delle due stelle di Neutroni, partendo dagli strumenti operativi in Australia per terminare con quelli puntati dalle Hawaii. A questa osservazione hanno preso parte moltissime antenne europee che fanno parte dello “European VLBI Network”, fra cui le due antenne italiane dell’Inaf situate a Medicina (Bologna) e Noto (in Sicilia), entrambe del diametro di 32 metri. I dati sono stati raccolti e analizzati nel centro JIVE (Olanda). “È il risultato di una collaborazione internazionale che ha saputo combinare le tecniche osservative radio più avanzate con le conoscenze teoriche sui getti relativistici e sulle onde gravitazionali, in cui l’Italia riveste un ruolo d’avanguardia”, osserva Monica Colpi, professore ordinario dell’Università di Milano-Bicocca. “In primavera i rivelatori di onde gravitazionali Virgo e Ligo rientrano in funzione, ascoltando un volume di Universo più grande. Ci aspettiamo molti nuovi segnali, e questo tipo di osservazioni saranno fondamentali per capire come si origina l’immensa energia emessa in questi eventi”, ricorda Marica Branchesi, la scienziata italiana del Gran Sasso Science Institute di L’Aquila e dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, fra gli autori del lavoro, insignita di molti premi e protagonista delle copertine di magazine scientifici e popolari di tutto il mondo. “È un po’ come giocare a “Indovina chi?”: per capire se si tratta o no di un getto – spiega Om Sharan Salafia, ricercatore dell’Inaf e secondo autore del lavoro pubblicato su Science – bisogna essere in grado di prevedere come appare la sorgente 200 giorni dopo la rivelazione delle onde gravitazionali, cioè nel momento in cui le antenne VLBI l’hanno osservata. Dal confronto delle immagini teoriche con quelle vere si nota che solo un getto appare sufficientemente compatto da essere compatibile con la dimensione osservata”. 
Così lavora la scienza. “La prima e al momento unica rivelazione di onda gravitazionale a cui è stata associata una controparte elettromagnetica, GW170817 ha dimostrato l’importanza fondamentale della sinergia tra rivelatori di onde gravitazionali e strumenti per l’astronomia da terra e dallo spazio”, ricorda Valerio D’Elia, coautore dell’articolo e “archive scientist” allo “Space Science Data Centre” dell’Agenzia Spaziale Italiana. “Le missioni spaziali come Hermes (progetto ASI) e Theseus (missione candidata per ESA, M5) – osserva Barbara Negri, Responsabile dell’unità Esplorazione e Osservazione dell’Universo di ASI – rivestiranno un ruolo molto importante nell’era dell’astronomia multimessaggera”. Dopo oltre un anno di incertezze, l’arcano è quindi finalmente svelato: lo studio sulle OGE fornisce la prova che la sorgente di Onde Gravitazionali scoperta nell’Agosto del 2017 ha lanciato un getto relativistico che ha bucato il materiale espulso nell’atto della fusione delle due stelle di Neutroni. Eventi che formano gli elementi chimici pesanti, come Oro e Platino. Un’informazione che aggiunge un ulteriore tassello alla nostra comprensione di tali fenomeni: grazie a osservazioni di questo tipo, nei prossimi anni potremo avere un’idea più completa e precisa delle varie fasi della vita di Buchi Neri e stelle di Neutroni, a partire dalla loro formazione. GW170817 ha prodotto un’esplosione di kilonova, denominata con la sigla At2017gfo, e il lampo di raggi gamma breve GRB170817A. Oltre all’importanza della simultanea osservazione di Onde Gravitazionali e onde elettromagnetiche da una stessa sorgente, questa è la prima osservazione diretta dei Gamma Ray Burst brevi con origine dallo scontro di oggetti compatti come le stelle di Neutroni. Per questo motivo GRB170817A è stato osservato in varie frequenze, dalle onde radio all’ottico, dalla banda X e ai raggi gamma. “Grawita”, la collaborazione italiana dedicata alla ricerca delle controparti elettromagnetiche di Onde Gravitazionali, è stata fin dalle prime ore protagonista, osservando la kilonova di GW170817 col telescopio robotico Rem all’Osservatorio di La Silla in Cile, per lo studio più dettagliato della sua evoluzione spettrale osservata col telescopio VLT dell’Eso. Il gruppo di lavoro Grawita guidato da Andrea Rossi dell’Inaf-Oas di Bologna ha utilizzato il Large Binocular Telescope per osservare la controparte ottica (afterglow) del GRB170817A, scoprendo una sorgente molto debole. LBT è un telescopio binoculare con due specchi principali di 8,4 metri di diametro collocato sul monte Graham, nel sud-est dell’Arizona (Usa). È un progetto a partecipazione italiana (25%) tramite l’Istituto Nazionale di Astrofisica. L’osservazione è importante poiché si tratta della prima rivelazione in ottico da terra dell’afterglow di GRB170817A. Esistono solamente altre due rilevazioni ottiche, entrambe ottenute col Telescopio Spaziale Hubble. Questa osservazione è ancora più sensazionale se si conoscono le condizioni nelle quali è stata ottenuta. Il binocolo gigante LBT si trova nell’emisfero Nord, mentre GRB170817A si trova nell’emisfero Sud della volta celeste, obbligando lo strumento a puntare molto in basso, il che comporta osservare attraverso uno strato più denso e turbolento di atmosfera. Inoltre, la galassia in cui è esploso GRB170817A è molto più brillante dell’afterglow. Per questo motivo, Michele Cantiello dell’Osservatorio Astronomico Inaf d’Abruzzo ha sottoposto le immagini a un complicata procedura per sottrarre l’emissione della galassia ospite. Solo a quel punto, il team di riduzione dati di Lbt-Italia (Diego Paris e Vincenzo Testa, dell’Osservatorio Astronomico Inaf di Roma ha potuto produrre l’immagine finale nella quale si è potuta rilevare la debole emissione dell’afterglow. Queste osservazioni, come già dimostrato grazie alle rilevazioni radio e X, confermano che GRB170817A è il primo evento il cui getto relativistico è stato osservato propagarsi non esattamente in direzione della Terra. L’evento coincide con GW170817, la kilonova di Ferragosto osservata contemporaneamente dagli interferometri gravitazionali, dai satelliti alle alte energie e da decine di telescopi terrestri. Era rimasta inevasa la domanda su quale fosse stato il risultato della fusione delle due stelle di Neutroni. In lavoro scritto a quattro mani da Maurice Van Putten, professore alla Sejong Univerity di Seoul in Corea e da Massimo Della Valle, astronomo dell’Osservatorio Astronomico di Capodimonte, dell’Inaf di Napoli, il quesito trova una plausibile risposta: “Il risultato della fusione è ancora una stella di Neutroni, ma ipermassiccia, con una massa stimata in circa 2,5 volte quella del nostro Sole”, rivela Van Putten nello scenario descritto in un articolo sulla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society Letters. Il lavoro riporta le prime prove osservative di questo processo di fusione, ricavate da una nuova analisi dei dati raccolti dagli interferometri Ligo e ottenuta attraverso l’utilizzo di un software pubblicato in precedenza e ulteriormente aggiornato. “Dalla nostra analisi – spiega Van Putten – abbiamo individuato un segnale gravitazionale nei dati raccolti da Ligo della durata di circa 5 secondi e caratterizzato da una alta significatività statistica”. Le stelle di Neutroni sono oggetti celesti che normalmente possiedono una massa paragonabile a quella del Sole, confinata in un volume di una sfera di circa 10 chilometri di raggio, ma non raggiungono ancora la densità necessaria per trasformarsi in Buchi Neri. Negli ultimi anni, i radioastronomi hanno scoperto stelle di Neutroni molto massicce, che sfiorano le 3 masse solari. Oggetti simili, letteralmente in bilico sull’abisso del collasso, potrebbero quindi essere prodotti in eventi come GW170817. “«La frequenza iniziale del segnale che abbiamo individuato è a 0.7 kHz e suggerisce che  il risultato finale possa essere una stella di Neutroni, piuttosto che un Buco Nero ma – avverte Della Valle – va anche detto che il segnale si indebolisce e dopo 5 secondi non vediamo più nulla, quindi cosa sia successo dopo non lo sappiamo”. Nell’illustrazione di O.S. Salafia e G. Ghirlanda, si osserva il getto che buca il materiale lanciato nello spazio dallo scontro delle due stelle di Neutroni. È lanciato dal Buco Nero, circondato da un disco di materia calda, che si è formato dopo lo scontro. Lo strumento Gravity dell’Eso, straordinariamente sensibile, ha aggiunto ulteriori prove alla convinzione di vecchia data che un Buco Nero supermassiccio si annidi nel cuore della Via Lattea. Nuove osservazioni mostrano grumi di gas che ruotano intorno al nucleo a una velocità pari a circa il 30% di quella della luce, su un’orbita circolare appena al di fuori dall’Orizzonte degli Eventi. Dopo Kip Thorne, è la prima volta che si osserva materiale in orbita vicino al “punto di non ritorno”, con le osservazioni più dettagliate di sempre di materiale in orbita così vicina a un Buco Nero. Gravity, installato sul VLTI (l’interferometro del Very Large Telescope), è stato usato dai ricercatori di un consorzio di istituti europei, tra cui l’Eso, per osservare lampi di radiazione infrarossa provenienti dal disco di accrescimento intorno a Sagittarius A*, l’oggetto massiccio nel cuore della Via Lattea. Lavoro intrapreso da scienziati del Max Planck Institute for Extraterrestrial Physics (MPE), dell’Observatoire de Paris, dell’Université Grenoble Alpes, del CNRS, del Max Planck Institute for Astronomy,dell’University of Cologne, del Portuguese Centro de Astrofisica e Gravitação e dell’Eso. I lampi osservati forniscono la conferma, da lungo attesa, che l’oggetto al centro della “nostra” Galassia è veramente, come da lungo ipotizzato, un Buco Nero supermassiccio. I lampi hanno origine nel materiale che orbita molto vicino all’Orizzonte degli Eventi esterno al Buco Nero: mentre parte della materia nel disco di accrescimento, la cintura di gas in orbita intorno a Sagittarius A* a velocità relativistiche, può orbitare intorno al Buco Nero in tutta sicurezza, tutto ciò che si avvicina “troppo” è destinato ad essere attirato al di là dell’Orizzonte tra i nostri universi. Il “punto” più vicino a un Buco Nero in cui della materia possa orbitare senza essere irresistibilmente attratta verso la Singolarità “interna” dall’immensa massa, è noto come l’orbita stabile più interna, e da qui hanno origine i brillamenti osservati. Le velocità relativistiche sono così grandi che gli effetti della Relatività di Einstein diventano importanti. Nel caso di un disco di accrescimento intorno a Sagittarius A*, il gas si muove a circa il 30% della velocità della luce. “È sconvolgente osservare il materiale che orbita intorno a un buco nero massiccio al 30% della velocità della luce – rivela Oliver Pfuhl, scienziato dell’MPE – la straordinaria sensibilità di Gravity ci ha permesso di osservare i processi di accrescimento in tempo reale, con un dettaglio senza precedenti”. Lo strumento Gravity combina la luce dei quattro telescopi VLT per creare il super-telescopio virtuale di 130 metri di diametro utilizzato per sondare la natura di Sagittarius A*. Il lavoro è stato presentato nell’articolo “Detection of Orbital Motions Near the Last Stable Circular Orbit of the Massive Black Hole SgrA*”, a nome della collaborazione Gravity, pubblicato dalla rivista Astronomy & Astrophysics il 31 Ottobre 2018. L’equipe della collaborazione Gravity è composta da: R. Abuter (ESO, Garching, Germania), A. Amorim (Universidade de Lisboa, Lisbona, Portogallo), M. Bauböck (Max Planck Institute for Extraterrestrial Physics, Garching, Germania[MPE]), J.P. Berger (IPAG; ESO, Garching, Germania), H. Bonnet (ESO, Garching, Germania), W. Brandner (Max Planck Institute for Astronomy, Heidelberg, Germania [MPA]), Y. Clénet (LESIA), V. Coudé du Foresto (LESIA), V. Coudé du Foresto (LESIA), P. T. de Zeeuw (Sterrewacht Leiden, Leiden University, Leiden, Paesi Bassi; MPE), C. Deen (MPE), J. Dexter (MPE), G. Duvert (IPAG), A. Eckart (University of Cologne, Cologne, Germania; Max Planck Institute for Radio Astronomy, Bonn, Germania), F. Eisenhauer (MPE), N.M. Förster Schreiber (MPE), P. Garcia (Universidade do Porto, Porto, Portogallo),  F. Gao (MPE), E. Gendron (LESIA), R. Genzel (MPE; University of California, Berkeley, California, USA), S. Gillessen (MPE), P. Guajardo (ESO, Santiago, Cile), M. Habibi (MPE), X. Haubois (ESO, Santiago, Cile), Th. Henning (MPA), S. Hippler (MPA), M. Horrobin (University of Cologne, Cologne, Germania), A. Huber (MPIA), A. Jimenez Rosales (MPE), L. Jocou (IPAG), P. Kervella (LESIA; MPA), S. Lacour (LESIA), V. Lapeyrère (LESIA), B. Lazareff (IPAG), J.-B. Le Bouquin (IPAG), P. Léna (LESIA), M. Lippa (MPE), T. Ott (MPE), J. Panduro (MPIA), T. Paumard (LESIA),  K. Perraut (IPAG), G. Perrin (LESIA), O. Pfuhl (MPE), P.M. Plewa (MPE), S. Rabien (MPE), G. Rodríguez-Coira (LESIA), G. Rousset (LESIA), A. Sternberg (School of Physics and Astronomy, Tel Aviv University, Tel Aviv, Israel, Center for Computational Astrophysics, Flatiron Institute, New York, USA), O. Straub (LESIA), C. Straubmeier (University of Cologne, Cologne, Germania), E. Sturm (MPE), L.J. Tacconi (MPE), F. Vincent (LESIA), S. von Fellenberg (MPE), I. Waisberg (MPE), F. Widmann (MPE), E. Wieprecht (MPE), E. Wiezorrek (MPE), J. Woillez (ESO, Garching, Germania), S. Yazici (MPE; University of Cologne, Cologne, Germania). Lo scorso anno Gravity e Sinfoni, un altro strumento installato sul VLT, hanno permesso allo stesso gruppo di misurare con precisione il passaggio radente della stella S2 nel campo gravitazionale estremo prossimo a Sagittarius A*, per la prima volta rivelando gli effetti previsti dalla Relatività di Einstein in un ambiente così estremo. Durante il passaggio ravvicinato di S2, è stata osservata anche una forte emissione infrarossa. “Stavamo monitorando S2 da vicino e, naturalmente, teniamo sempre d’occhio Sagittarius A* – spiega Pfuhl – durante le nostre osservazioni, siamo stati abbastanza fortunati da notare tre lampi brillanti provenienti dal buco nero, una coincidenza fortunata!”. Questa emissione, di elettroni molto energici e molto vicini al Buco Nero, era visibile come tre brillamenti molto intensi e corrispondeva esattamente alle previsioni teoriche per i punti caldi (hot spot) in orbita vicino a un oggetto di quattro milioni di masse solari. Si pensa che i brillamenti provengano da interazioni magnetiche nel gas caldissimo che orbita intorno alla Stella Nera Sagittarius A* che ha una massa di 1,3 milioni di milioni di volte più grande di quella della Terra. Dunque, grandi speranze dalle Onde Gravitazionali per la navigazione interstellare.

© Nicola Facciolini

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