LILIANA SEGRE – SENATRICE A VITA DELLA REPUBBLICA ITALIANA, SUPERSTITE DELL’OLOCAUSTO intervista di CICCHETTI IVAN

Oggi con grande onore riesco ad intervistare la Senatrice a Vita della Repubblica Italiana, Liliana Segre. Ho i brividi soltanto nell’immaginare quante sofferenze, ed un po mi sento colpevole che con tale intervista io possa farle ricordare tanta crudelta’, tanto dolore, tanta morte.

Come inizia il suo incubo, la sua differenza con il mondo, la sua infanzia?

L’anno resta indelebile nella mente, 1938, Eravamo a tavola con i nonni quando mio padre con voce cupa mi disse che a ottobre non avrei più potuto andare alla scuola pubblica. C’erano nuove leggi che lo vietavano agli ebrei. Lo guardai senza capire. E’ lì, e non il campo di sterminio, la vera cesura, quella che nel ricordo divide la mia infanzia tra il prima e il dopo

L’esclusione alla vita, la differenza della realtà, essere senza un’identità. Diventata trasparente quando passava per strada, dimenticata negli inviti alle feste, nei locali al pubblico?

Ebrea senza saper nemmeno loro che vuol dire. Entrata in quella zona grigia di indifferenza che avvolgeva anche la gente a Milano, un’indifferenza ancora più dura da sopportare di una violenza fisica perché non potevi reagire ai silenzi, agli sguardi sfuggenti. E io non capivo, me ne stavo lì, come se avessi fatto qualcosa di male, a domandarmi se tutto era cambiato per colpa mia.

Aveva tredici anni, sola, sul braccio il numero 75190?

E’ parte di me, si identifica col dolore puro, col passaggio da figlia di papà a disgraziata ragazzina sola nel Lager. Lì ho perso padre, nonni, cugini, quasi tutta la sua famiglia, ma non la voglia di lottare, di testimoniare. Perché non si dimentichino le atrocità naziste, ma anche la normalità e la banalità del male, quell’ accettazione delle leggi razziali anche in Italia condita con l’ indifferenza di chi fino al giorno prima credevi amico.

Chi era la famiglia Segre?

La nostra era una famiglia piccolo borghese laica, agnostica. Dove non si parlava di religione né si festeggiava il sabato, dove gli amici che venivano a casa erano ebrei, valdesi come cattolici. L’ essere ebrei non era fondamentale, noi ci sentivamo soprattutto italiani

Tutto è cambiato nell’estate del ’38?

Da quell’estate del ’38, da quelle leggi firmate dal re, però tutto cambia anche in casa Segre. Finita la tranquilla vita borghese con cameriera e balia – “non potevamo avere più personale di servizio cristiano”, niente più festicciole con le amiche di scuola che la guardano come una sconosciuta se l’ incrociano per strada. Come svago solo qualche pomeriggio al cinema col nonno e al ritorno lunghi silenzi dei grandi che tentano di nascondere davanti alla piccola di casa le difficoltà, le preoccupazioni che crescono. Quell’estate del’ 38 segna l’amara scoperta di “essere considerati diversi, cittadini di serie B”.

In casa come si viveva?

La sensazione prevalente era l’incredulità, qualcuno arrivato dall’estero raccontava di persecuzioni agli ebrei in Germania ma in casa nostra si ripeteva che probabilmente erano esagerazioni, che qui non sarebbe successo, che gli italiani erano diversi. Papà ne era convinto e poi non voleva lasciare i nonni che erano malati e non avrebbero potuto affrontare un lungo viaggio. Non avevamo piu’ una vita, un presente, un futuro

Partita dal binario 21 da Milano il 30 Giugno del 1944 per terminare il suo viaggio in diversi campi di sterminio. Come si puo’ esistere li dove non esisti, nel campo di sterminio?

Non eri, non vivevi, solo anime vaganti, da Milano siamo partiti oltre 300 bambini, solo venti siamo rientrati. Il campo di concentramento è stato l’inferno in terra, la vergogna dell’uomo, l’immensa delusione dell’essere umano. Esser un numero, nessun  nome nessuna speranza.

Mi dispiace senatrice farle ricordare questi orrori, le sue dilanianti sofferenze, ma tutto cio’ a qualcosa servirà?

Spero che almeno uno di quelli che leggeranno questa intervista,questi ricordi di vita vissuta li imprima nella sua memoria e li trasmetta agli altri, perché quando nessuna delle nostre voci si alzerà a dire ‘io mi ricordo’ ci sia qualcuno che abbia raccolto questo messaggio di vita e faccia sì che 6 milioni di persone non siano morte invano per la sola colpa di essere nate. Altrimenti tutto questo potrà avvenire nuovamente, in altre forme, con altri nomi, in altri luoghi, per altri motivi. Ma se ogni tanto qualcuno sarà candela accesa e viva della memoria, la speranza del bene e della pace sarà più forte del fanatismo e dell’odio.

 

Ascoltare tanto dolore non si puo’ descrivere, non si puo’ raccontare , sarebbe sempre una minima parte di quello che gli occhi riescono a cogliere. Per questo come giornalista ho voluto da tempo fare, e credere, in questa intervista, per dare voce, sempre, ha quello che è stato la vergogna dell’intera umanità. Anche se il sapere è dolore, bisogna sempre sapere, per non tornare mai a sbagliare.

Liliana Segre nasce a Milano il 10 Settembre del 1930. Dal 19 Gennaio 2018 è senatrice a vita, superstite dell’Olocausto, testimone dei campi di sterminio nazisti.

opo l’intensificazione della persecuzione degli ebrei italiani,  suo padre la nascose presso amici, utilizzando documenti falsi. Il 10 dicembre 1943 provò, assieme al padre e due cugini, a fuggire a Lugano, in Svizzera: i quattro furono però respinti dalle autorità del paese elvetico. Il giorno dopo, venne arrestata a Selvetta di Viggiu’, in provincia di Varese,   all’età di tredici anni. Dopo sei giorni in carcere a Varese, fu trasferita a Como  e poi a Milano, dove fu detenuta per quaranta giorni.

Il 30 gennaio 1944 venne deportata dal Binario 21  della stazione di Milano Centrale  al campo di concentramento di Aschwitz-Birkenau,  , che raggiunse sette giorni dopo. Fu subito separata dal padre, che non rivide mai più e che sarebbe morto il successivo 27 aprile. Il 18 maggio 1944 anche i suoi nonni paterni furono arrestati a Inverigo (CO) , e furono deportati dopo qualche settimana ad Auschwitz, dove furono uccisi al loro arrivo, il 30 giugno.

Alla selezione, ricevette il numero di matricola 75190, che le venne tatuato sull’avambraccio. Fu impiegata nel lavoro forzato presso la fabbrica di munizioni Union, che apparteneva alla Siemens, lavoro che svolse per circa un anno. Durante la sua prigionia subì altre tre selezioni. Alla fine di gennaio del 1945, dopo l’evacuazione del campo, affrontò la marcia della morte verso la Germania. Venne liberata dall’Armata Rossa  il primo maggio 1945 dal campo di Malchow, un sottocampo del campo di concentramento di Ravensbruck . Dei 776 bambini italiani di età inferiore ai 14 anni che furono deportati ad Auschwitz. Liliana fu tra i venticinque sopravvissuti.

Dopo lo sterminio nazista, visse con i nonni materni, di origini marchigiane, unici superstiti della sua famiglia. Nel 1948 conobbe Alfredo Belli Paci, cattolico, anch’egli reduce dai campi di concentramento nazisti per essersi rifiutato di aderire alla Repubblica Sociale. I due si sposarono nel 1951 ed ebbero tre figli.

 

 

 

 

 

 

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