È fuori da ogni dubbio che l’introduzione della traduzione automatica ed il rilascio del celebre Google Translator abbiano consentito di abbattere importanti barriere linguistiche rivoluzionando il mondo della comunicazione. Ma quante volte siamo stati ‘traditi’ dal software durante una ricerca scolastica, uno studio o una relazione di lavoro?
Fidarsi ciecamente del Google Translator senza conoscere minimamente la lingua di partenza o quella di destinazione della traduzione può molto facilmente trasformarsi in un terribile autogol, spesso di dimensioni imbarazzanti o veramente gravi. Soprattutto se ci troviamo in ambito tecnico o stiamo svolgendo lavori importanti come nel campo delle traduzioni mediche, ad esempio.
Lanciato ufficialmente nel 2006, il traduttore di Google conta oggi oltre 500 milioni di utenti che ogni giorno si collegano per tradurre parole, frasi o interi testi in più di 100 lingue diverse. Numeri da capogiro per un servizio di traduzione automatica che però, nonostante i continui aggiornamenti e le tecnologie sempre più avanzate, non può (e praticamente non potrà mai) sostituire in tutto e per tutto un traduttore professionista. Il motivo è molto semplice ed è alla base della filosofia con cui è stato creato e viene sviluppato Google Translator.
Il software non si basa infatti sulla grammatica delle singole lingue ma anzi, come spiegato dalla stessa Google, ha l’obiettivo di mettere a disposizione delle persone comuni un prodotto che possa servire nel quotidiano, andando quindi ad aiutare anche i Paesi in via di sviluppo ad accorciare le distanze col resto del mondo o semplicemente a facilitare la comunicazione quando si viaggia e non solo.
Già in partenza, dunque, il progetto di Google non si pone in concorrenza diretta con il lavoro di un traduttore professionista. Anche perché basterebbe scorrere rapidamente la lista di brutte figure rimediate da molti utenti di Google Translator per capire che in alcuni ambiti la traduzione automatica non può ovviamente sostituire il lavoro di un traduttore professionista.
Un esempio classico è quello della menta, che nel menù di un cocktail bar è diventato “Lies”, ovvero la traduzione inglese del congiuntivo presente del verbo mentire. Ben più celebre, invece, il caso di in un bando del Miur che presentò un errore piuttosto imbarazzante. Il formaggio pecorino toscano, infatti, venne tradotto con “Doggy Style” che in inglese ha tutto un altro significato, decisamente più… hot! Leggerlo sul sito del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca lo ha reso ancor più grave e, allo stesso tempo, memorabile. Molti colossi e multinazionali hanno avuto problemi invece con le traduzioni in Cina. Chiedete a KFC, ad esempio, che con il suo slogan “Finger-lickin’ good” sbarcò in estremo oriente traducendolo in una formula che letteralmente significa “Mangiati le dita”. Non il più accattivante dei messaggi per vendere il tuo prodotto. Figuriamoci dunque cosa può avvenire in campo medico o scientifico…
La morale della favola è quindi molto semplice: se non sei assolutamente certo di cosa significhi quello che stai comunicando, soprattutto se si tratta di traduzioni importanti in ambiti tecnici (ma non solo!), non farlo. Gli algoritmi basati sull’intelligenza artificiale e l’accoppiamento statistico delle parole non potranno mai competere con un traduttore professionista in grado di capire il contesto anche culturale e, dunque, adattare la traduzione nel migliore dei modi (esempio: il nostro modo di dire “piove a catinelle” in inglese si dice “it’s raining cats and dogs”, letteralmente “piove cani e gatti”…). In ambiti medici, tecnici e legali, dunque, rivolgersi ad un’agenzia di traduzioni specializzata è sempre la soluzione migliore al fine di evitare brutte figure ma anche danni all’immagine e ai profitti.