” ancor tremo al ricordo dei caduti, resi nulla dalla terra nera” ( Cicchetti Ivan)
GIANNI CORBI
Trasferitosi con la famiglia a Roma (il padre era avvocato), vi frequentò il Liceo “Orazio” e poi l’Università; con i compagni di scuola, tra i quali c’era Ferdinando Agnini, maturò il suo antifascismo. Nell’ottobre del ’43 fu uno dei principali fondatori dell’ARSI (l’associazione degli studenti universitari), di cui facevano parte giovani di differenti opinioni politiche, collegati con alcuni gruppi clandestini romani formati principalmente da operai. All’inizio i giovani dell’ARSI si preoccupavano, prevalentemente, di raccogliere armi e di diffondere il giornale La nostra lotta. Poi, insieme a numerosi antifascisti di Monte Sacro, i giovani dell’ARSI portarono a termine azioni di sabotaggio contro i tedeschi sulla via Nomentana, sulla via Salaria, nei quartieri dei Prati Fiscali e di Pietralata. A fine novembre, quando il rettore dell’Università di Roma emise una circolare in base alla quale si ammettevano agli esami i soli studenti che rispondevano ai bandi della Repubblica di Salò, i giovani decisero di reagire al sopruso. Il 3 gennaio del ’44 Agnini e Corbi dell’ARSI e i rappresentanti dei giovani del PCI, del Movimento dei cattolici comunisti, del PSIUP e del Partito d’Azione, diedero vita al CSA (Comitato studentesco di agitazione), diretto dal giovane comunista Maurizio Ferrara. Con irruzioni improvvise, distribuzione di volantini e azioni di forza, il CSA riuscì a far sospendere i corsi e gli esami di Scienze, di Medicina, di Lettere, di Legge, di Architettura e di Ingegneria. Nel dopoguerra, Corbi si diede al giornalismo, cominciando a scrivere sul Messaggero, e poco dopo la sua nascita, sull’Espresso. Del settimanale fu direttore dal marzo 1968 all’aprile 1970, la stagione della rivolta giovanile e dell’attentato di Piazza Fontana. Quando andò in pensione, Gianni Corbi lasciò all’Espresso un’eredità di inchieste che avevano fatto epoca e ai lettori volumi come L’avventurosa storia della Repubblica, Togliatti a Mosca, e una biografia di Nilde Iotti dal titolo Nilde. Continuò a collaborare all’Espresso e a La Repubblica come commentatore di politica interna ed estera, come recensore di libri di storia e soprattutto come «garante dei lettori». È morto repentinamente dopo un malore.
SALVATORE CUTELLI
Cutelli aveva partecipato alla prima guerra mondiale come ufficiale di fanteria. Nel 1935 era stato richiamato e mandato in Africa Orientale dove, col grado di capitano, ebbe il comando di una batteria della Divisione Sabauda. Maggiore del 58° Reggimento artiglieria della Divisione Legnano, l’8 settembre 1943 si trovava nella zona di Chieti. Nel marasma seguito all’armistizio, Cutelli mantenne i nervi saldi e si preoccupò che le armi e le munizioni del suo reparto non cadessero in mano ai tedeschi. Con militari e civili organizzò una formazione partigiana che per tre mesi diede gran filo da torcere agli occupanti. Catturato con alcuni suoi uomini, sembra per una delazione, Cutelli fu processato e fucilato con i suoi compagni di lotta.
CARLO DE BERARDINIS
Carlo De Berardinis era il quartogenito dei sette figli di una famiglia di coltivatori del teramano che, dopo la sua nascita, riuscì ad acquistare un appezzamento di terra nelle campagne di Giulianova e a farlo studiare fino alla licenza superiore. Il padre, Giovanni, ha simpatie socialiste e il ragazzo mal sopporta le adunate del “Sabato fascista”.
Un pomeriggio d’inverno, dopo l’abituale sfilata e il discorso del federale, rifiuta di iscriversi alla Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale: ne scaturisce una baruffa e Carlo è insultato, schiaffeggiato davanti a tutti e additato come sovversivo e traditore della Patria. Chiamato alle armi all’inizio del 1943 viene riformato e, a luglio, dopo la caduta del regime, partecipa alla presa del Palazzo del Fascio di Giulianova.
Nel corso dell’occupazione, la famiglia subisce la razzia di tutto il bestiame posseduto. Carlo, sospettato per non essere al fronte, è fermato spesso dalla polizia ma se la cava con il certificato, finché non è prelevato insieme ad altri giovani e condotto a lavorare nelle file della Todt alla ricostruzione di strade e ponti per la ritirata tedesca. Riesce a darsi alla macchia, torna al casolare di famiglia, aiuta i suoi a scavare un rifugio e si unisce all’ottantina di uomini che costituivano la locale formazione partigiana denominata “Giuliese Garibaldi”.
Alla Liberazione della città è alla testa del corteo festante su un carretto tirato da cavalli.
Nel dopoguerra si iscrive al Partito comunista, poi, dopo alcuni attriti, entra nel PSI per occuparsi dei diritti dei lavoratori della terra. Nel 1946 partecipa al 1° Congresso della Federterra (l’attuale CIA, Confederazione Italiana Agricoltori), e in seguito cura i corsi di formazione per i contadini. Negli Anni 70 confluisce nella CGIL ed è il primo direttore del patronato INCA della sua città. Dopo il ritiro dal lavoro continua il suo impegno sociale nello SPI, il sindacato dei pensionati, non mancando mai alle celebrazione del 25 aprile e del Primo maggio, pur se costretto sulla sedia a rotelle da una grave malattia.
Per i meriti nell’attività sindacale in difesa dei braccianti, a Giulianova è stata proposta l’intitolazione di una strada alla sua memoria.
ALBOINO DE LULIIS
Aveva preso parte, come ufficiale, alla Prima guerra mondiale. Aveva anche partecipato, nel 1935, al conflitto italo-etiopico. Maggiore della Riserva, si trovava a Trento quando apprese dell’armistizio. Si precipitò al Deposito del 62° Reggimento fanteria e vi organizzò la difesa della caserma. Cadde combattendo contro i tedeschi. La motivazione della ricompensa al valore dice: “Alla notizia dell’armistizio dell’8 settembre 1943, accorreva prontamente alla caserma del Deposito. Ricevuti gli ordini, organizzava prontamente a difesa, con pochi uomini e con le poche armi e munizioni, un lato della stessa caserma contro probabili azioni dei tedeschi. Attaccato da forze ed armi superiori, rincuorava i propri dipendenti alla resistenza. Pur conscio della propria inferiorità, rispondeva col fuoco fino all’esaurimento delle munizioni. All’intimazione di resa, scaricava i colpi della sua pistola contro il nemico, finché cadeva colpito mortalmente e sul suo corpo già esanime si sfogava l’ira dello avversario con nuove scariche di mitragliatore. Puro esempio di alte doti militari e sentimento del dovere. Fedele al giuramento immolava la sua vita alla Patria”.
AMELIO DE JIULIIS
Aveva combattuto nella zona della Majella, subito dopo l’armistizio, come partigiano della formazione “Pizzoferato”. Il giovane bracciante si era poi arruolato nel CIL (Corpo italiano di liberazione) e, dopo adeguato addestramento, era stato inquadrato nel I Squadrone del gruppo di combattimento “Folgore”. Alla vigilia della battaglia per la liberazione di Bologna, De Juliis si offrì per essere paracadutato in territorio occupato dai tedeschi con lo Squadrone F. Sorpreso dal nemico con un suo amico più anziano e un ufficiale del suo reparto, riuscì a combattere per oltre un’ora, poi cadde con l’amico nel tentativo di salvare il comandante. È stato decorato con questa motivazione: “Partigiano prima e paracadutista poi, dopo avere partecipato per quattordici mesi alle più ardite imprese del suo reparto alle dipendenze di una grande unità alleata, si offriva volontario per un lancio in territorio occupato dai tedeschi che veniva effettuato in condizioni di estrema difficoltà e pericolo. Giunto a terra ed immediatamente individuato insieme al proprio comandante di pattuglia, si batteva eroicamente riuscendo dopo circa un’ora di impari lotta a rompere l’accerchiamento. Benché ferito dopo un violento scontro, riusciva ancora una volta a mettersi in salvo, ma visto cadere il proprio ufficiale si lanciava al suo soccorso e nel tentativo di ricuperarne la salma veniva abbattuto da una raffica di mitraglia. Bell’esempio di spiccato spirito di sacrificio”.
( a cura di Cicchetti Ivan)