Valdai Club Meeting La crociata della Santa Russia del Presidente Vladimir Putin per la Pace sulla Terra

L’Aquila / Valdai Club Meeting, la crociata della Santa Russia del Presidente Vladimir Putin contro le forze del male per la Pace sulla Terra: “Qui da noi tutto è possibile! Ogni vostra azione avrà da parte nostra una risposta adeguata”. Lo storico Discorso del Presidente Putin al Valdai Club Meeting. A Sochi, in Russia, sul Mar Nero, nell’ambito del XIV Forum di Discussione Internazionale “Valdai Club”, Giovedì 19 Ottobre 2017 si è svolta la sessione plenaria dedicata al tema “Il mondo del futuro: attraverso lo scontro verso l’armonia” a cui ha preso parte anche il Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin. Mosca interviene affinché le armi nucleari, ospitate in Europa, tornino negli Usa. Grande assente, Bruxelles. Presenti, gli uomini e le donne di buona volontà della Terra: oltre 130 esperti provenienti da 33 Nazioni, tra cui l’ex Presidente della Repubblica Islamica dell’Afghanistan Hamid Karzai, il Direttore del Nobel Institute, Asle Toje, e l’executive chairman di “Alibaba Group” Jack Ma. Ma è passato praticamente inosservato dai principali media italiani di regime. Quest’anno c’erano meno europei, questo dovrebbe probabilmente allarmarci. Devo dire che c’erano più americani, il confronto con l’America infatti è uno dei punti focali dell’interesse delle autorità russe. Fra i temi principali della quattordicesima edizione del Club Valdai, i conflitti attuali sparsi per il mondo, dalla “crisi coreana” a quella “ucraina” alla guerra in Siria, ma anche l’analisi della nascita di un possibile nuovo ordine mondiale multipolare cooperativo. Le relazioni fra Mosca e Washington hanno occupato un posto centrale nei dibattiti del forum. L’evento annuale è principalmente dedicato alla discussione dei conflitti politici e sociali contemporanei. Presidente Putin: “I nostri media hanno una potenza neanche lontanamente paragonabile a quella dei media americani e britannici. Noi non abbiamo mezzi di comunicazione mondiale. Questo è un monopolio che appartiene al mondo anglosassone. In democrazia esiste soltanto un modo, democratico, per contrastare quello che non piace: esprimere la propria opinione e farlo così bene, brillantemente e con talento così che gli altri credano nella vostra opinione. Tutto il resto, dai tentativi di fare pressione sui giornalisti alle manovre di ostruzionismo o minacce di chiusura, è fuori dalla democrazia. Tutto il mondo sa come i media anglosassoni esercitano direttamente delle influenze sui processi politici interni nei Paesi del mondo. Ogni tanto vedo quello che passa RT e vedo che vi lavorano con precisione e senza paura, persone di vari Paesi, compresi americani, tedeschi e altri. Persone di talento, di cui ammiro l’abilità e la convinzione nell’esprimere i propri punti di vista. Mi tolgo il cappello davanti a come lo fanno. Proprio questo è la base del successo di RT e Sputnik. Ed è proprio quello che non piace agli altri”. Il Presidente Putin, analizzando gli errori che hanno portato allo stallo nelle relazioni tra Russia e Occidente, dichiara: “Il nostro errore è che ci siamo fidati di voi. Il vostro è che ne avete abusato scambiandolo per debolezza. La chiusura dei confini tra la Russia e le Repubbliche di Donetsk e Lugansk porterebbe alla carneficina e la Russia non lo permetterà mai. La situazione in Ucraina è degradata al limite. La polizia utilizza i gas contro i manifestanti. In queste condizioni è impossibile ipotizzare che Poroshenko si impegni a rispettare gli accordi di Minsk. Quando la Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia ha sentenziato che l’indipendenza del Kosovo del 2008 non ha violato il diritto internazionale, di fatto ha aperto un vaso di Pandora. L’Onu deve rimanere il centro del sistema diplomatico internazionale: non ci sono alternative. Le riforme sono necessarie, ma devono essere graduali, evolutive e sostenute da ampio consenso. I princìpi di base delle Nazioni Unite vanno conservati”. L’Onu riporta decine di violazioni quotidiane al Trattato di “Minsk II”, l’accordo per il cessate il fuoco firmato l’11 Febbraio 2015 fra Ucraina, Russia, Germania e Francia. Il Presidente Putin sulla situazione in Catalonia osserva che “i Paesi dell’Unione Europea hanno provocato da soli la crescita degli umori separatisti in Europa. Prima hanno sostenuto il Kosovo ed ora ne pagano le conseguenze, come nel caso della Catalonia. L’Europa doveva pensarci prima, quando sono iniziati diversi processi simili. Ad esempio, assecondando la volontà del padrone oltreoceano, ha sostenuto a gran voce l’indipendenza del Kosovo. Poi però quando nello stesso modo i cittadini della Crimea hanno fatto la loro scelta, non andava più bene. Ne consegue che esistono indipendentisti buoni e separatisti cattivi”. Le armi cinetiche ipersoniche sviluppate in gran segreto da alcune potenze, molto più distruttive delle classiche armi nucleari, minacciano la pace e la vita sulla faccia della Terra. La Russia ha il sacrosanto diritto di difendersi da una simile minaccia, qualora tali ordigni venissero malignamente dispiegati (anche nello spazio) e impiegati. Il Presidente Putin delinea il futuro del suo Paese: “Dobbiamo rendere la Russia flessibile per quanto riguarda i modi di gestione e di sviluppo dell’economia. Dobbiamo completare il nostro sistema politico e l’ammodernamento delle Forze Armate”. Il Presidente Putin è chiaro anche sul Trattato INF, le forze nucleari a medio raggio: “La Russia ha equilibrato la situazione con gli Usa riguardo alla quantità di missili nucleari a corto e medio raggio. Se a qualcuno venisse voglia di uscire dal Trattato INF la nostra risposta sarà immediata e speculare. La Russia non ritorna agli Anni ‘50, sono gli altri che cercano di riportarla a quell’epoca. La Russia crede al disarmo nucleare. La Russia vuole il disarmo nucleare? Si. La Russia ambisce a questo obiettivo? La risposta è altrettanto positiva. Gli Usa non adempiono ai propri obblighi sull’eliminazione delle armi di distruzione di massa. La Russia ha pienamente eseguito tutti gli obblighi che si è assunta sull’eliminazione del Plutonio, mentre gli Usa non hanno fatto lo stesso con i propri: gli Usa si comportano in maniera viscida”. Il Presidente è categorico sulla Corea del Nord: “La Russia condanna gli esperimenti nucleari della Corea del Nord, ma rimane ferma nella sua posizione: tutte le decisioni vanno prese nell’ambito delle norme Onu. Non serve minacciare l’uso della forza, mostrare il pugno duro, abbassarsi al livello della polemica da strada: non bisogna dimenticare che la Corea del Nord è un Paese sovrano. In questo modo non si riesce a risolvere nessuna crisi. Serve solo il dialogo. Tutti i nodi più difficili del mondo, Libia, Siria, Corea del Nord ed anche Ucraina si devono sciogliere, non distruggere”. Il Presidente Putin è altrettanto categorico sulla situazione in Siria: “Alcuni nostri colleghi vogliono che il caos nella regione diventi permanente ed a qualcuno di loro sembra che questo caos si possa governare. La Russia in Siria agisce nell’ambito del diritto internazionale ed ascolta tutte le posizioni delle parti in causa”. La Pace in Europa? Chi la sottoscrive, chi la difende, chi la promuove, chi la minaccia? In Ucraina, dal 2015, un battaglione di 300 istruttori militari americani sta addestrando l’esercito ucraino e ha contribuito a portarlo da 100.000 unità a oltre 250.000. Ma i Russi non sono rimasti a guardare. Per questi motivi Mosca interviene affinché le armi nucleari, ospitate in Europa, tornino negli Usa, come espresso saggiamente dal ministro degli Esteri russo Serghej Lavrov: “Mosca non riceve alcuna risposta dagli Usa e dai suoi alleati per i rischi connessi alla creazione di un sistema globale di difesa antimissile, uno dei principali problemi rimane lo sforzo degli Usa e dei loro alleati in Europa, in Asia, nel Pacifico, in altre regioni, per creare un sistema globale di difesa missilistica prossima ai confini russi. In sostanza, senza risposta rimangono i nostri appelli per lavorare insieme per contenere i rischi associati all’accumulo di armi qualitativamente e quantitativamente non convenzionali nel continente europeo”. Gli Italiani non sono ancora consapevoli con chi o che cosa hanno a che fare: i Warlord Warmonger sono capaci di tutto in ogni istante, dunque non possono più essere considerati “alleati”! L’Italia da che parte sta nella Storia?

(di Nicola Facciolini)

“Qui da noi tutto è possibile! Ogni vostra azione avrà da parte nostra una risposta adeguata” (Vladimir Putin). La crociata della Santa Russia del Presidente Vladimir Putin contro le forze del male per la Pace sulla Terra continua nonostante le forti resistenze del sistema mondiale dei media di regime che spengono i riflettori dello “share” quando loro non conviene. Nessuno alla fine è insostituibile, nemmeno Vladimir Putin per la Russia di oggi, e chiunque altro. È la morale del leader del Cremlino. Le armi cinetiche ipersoniche sviluppate in gran segreto da alcune potenze, molto più distruttive delle classiche armi nucleari, minacciano la pace e la vita sulla faccia della Terra. La Russia ha il sacrosanto diritto di difendersi da una simile minaccia, qualora tali ordigni venissero malignamente dispiegati (anche nello spazio) e impiegati. A Sochi, in Russia, sul Mar Nero, nell’ambito del XIV Forum di Discussione Internazionale “Valdai Club”, Giovedì 19 Ottobre 2017 si è svolta la sessione plenaria dedicata al tema “Il mondo del futuro: attraverso lo scontro verso l’armonia” a cui ha preso parte anche il Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin. Grande assente, Bruxelles. Presenti, gli uomini e le donne di buona volontà della Terra, tra cui l’ex Presidente della Repubblica Islamica dell’Afghanistan Hamid Karzai, il Direttore del Nobel Institute, Asle Toje, e l’executive chairman di “Alibaba Group” Jack Ma. Si conclude uno degli appuntamenti internazionali di analisi e di confronto più prestigiosi, giunto alla 14ma edizione: il Valdai Club Meeting (www.youtube.com/watch?v=zdZsuuJ-6Lc&feature=share) ha ospitato 130 esperti da 33 Nazioni. Vera occasione annual di dibattito globale, grande assente l’Europa. Perché? Il Valdai Meeting (http://en.kremlin.ru/events/president/news/55882) ha accolto 130 analisti da mezzo mondo ma è passato praticamente inosservato dai principali media italiani di regime. Fra i temi principali della quattordicesima edizione del Club Valdai, i conflitti attuali sparsi per il mondo, dalla “crisi coreana” a quella “ucraina” alla guerra in Siria, ma anche l’analisi della nascita di un possibile nuovo ordine mondiale multipolare cooperativo. Le relazioni fra Mosca e Washington hanno occupato un posto centrale nei dibattiti del forum. Il Presidente Vladimir Putin ha fatto riferimento anche a RT e Sputnik, i principali media mondiali, sottolineando che a possibili misure contro i corrispondenti dei media statali russi, seguiranno risposte simmetriche. L’attesissimo discorso di Putin alla sessione plenaria finale, accompagnato dalla rituale raffica di domande al presidente russo, è durato ben tre ore e mezza. Il Presidente Putin ha dichiarato: “I am not sure how optimistic it will sound, but I am aware that you had very lively discussions over the last three days. I will try, as has now become customary, to share with you what I think about some of the issues. Please do not take it badly if I say something that has already been said as I did not follow all the discussions. To begin with, I would like to welcome Mr Karzai, Mr Ma, Mr Toje, our colleagues and all our friends. I can see many familiar faces in the audience. Welcome everyone to the Valdai Club meeting. By tradition, this forum focuses on discussing the most pressing global political as well as economic matters. This time, the organisers, as was just mentioned again, have come up with a fairly difficult challenge asking the participants to try to look beyond the horizon, to ponder over what the coming decades may be like for Russia and the international community. Of course, it is impossible to foresee everything and to take into account all the opportunities and risks that we will be faced with. However, we need to understand and sense the key trends, to look for outside-the-box answers to the questions that the future is posing for us at the moment, and will surely pose more. The pace of developments is such that we must react to them constantly as well as quickly. The world has entered an era of rapid change. Things that were only recently referred to as fantastic or unattainable have become a reality and have become part of our daily lives. Qualitatively new processes are simultaneously unfolding across all spheres. The fast-paced public life in various countries and the technological revolution are intertwined with changes on the international arena. The competition for a place in the global hierarchy is exacerbating. However, many past recipes for global governance, overcoming conflicts as well as natural contradictions are no longer applicable, they often fail, and new ones have not been worked out yet. Naturally, the interests of states do not always coincide, far from it. This is normal and natural. It has always been the case. The leading powers have different geopolitical strategies and perceptions of the world. This is the immutable essence of international relations, which are built on the balance between cooperation and competition. True, when this balance is upset, when the observance and even existence of universal rules of conduct is questioned, when interests are pushed through at any cost, then disputes become unpredictable and dangerous and lead to violent conflicts. Not a single real international problem can be resolved in such circumstances and such a framing of the issues, and so relations between countries simply degrade. The world becomes less secure. Instead of progress and democracy, free rein is given to radical elements and extremist groups that reject civilization itself and seek to plunge it into the ancient past, into chaos and barbarism. The history of the past few years graphically illustrates all of this. It is enough to see what has happened in the Middle East, which some players have tried to reshape and reformat to their liking and to impose on it a foreign development model through externally orchestrated coups or simply by force of arms. Instead of working together to redress the situation and deal a real blow to terrorism rather than simulating a struggle against it, some of our colleagues are doing everything they can to make the chaos in this region permanent. Some still think that it is possible to manage this chaos. Meanwhile, there are some positive examples in recent experience. As you have probably guessed, I am referring to the experience of Syria. It shows that there is an alternative to this kind of arrogant and destructive policy. Russia is opposing terrorists together with the legitimate Syrian Government and other states of the region, and is acting on the basis of international law. I must say that these actions and this forward progress has not come easy. There is a great deal of dissension in the region. But we have fortified ourselves with patience and, weighing our every move and word, we are working with all the participants of this process with due respect for their interests. Our efforts, the results of which were questioned by our colleagues only recently, are now – let me put it carefully – instilling us with hope. They have proved to be very important, correct, professional and timely. Or, take another example – the clinch around the Korean Peninsula. I am sure you covered this issue extensively today as well. Yes, we unequivocally condemn the nuclear tests conducted by the DPRK and fully comply with the UN Security Council resolutions concerning North Korea. Colleagues, I want to emphasise this so that there is no discretionary interpretation. We comply with all UN Security Council resolutions. However, this problem can, of course, only be resolved through dialogue. We should not drive North Korea into a corner, threaten force, stoop to unabashed rudeness or invective. Whether someone likes or dislikes the North Korean regime, we must not forget that the Democratic People’s Republic of Korea is a sovereign state. All disputes must be resolved in a civilised manner. Russia has always favoured such an approach. We are firmly convinced that even the most complex knots – be it the crisis in Syria or Libya, the Korean Peninsula or, say, Ukraine – must be disentangled rather than cut. The situation in Spain clearly shows how fragile stability can be even in a prosperous and established state. Who could have expected, even just recently, that the discussion of the status of Catalonia, which has a long history, would result in an acute political crisis? Russia’s position here is known. Everything that is happening is an internal matter for Spain and must be settled based on Spanish law in accordance with democratic traditions. We are aware that the country’s leadership is taking steps towards this end. In the case of Catalonia, we saw the European Union and a number of other states unanimously condemn the supporters of independence. You know, in this regard, I cannot help but note that more thought should have gone into this earlier. What, no one was aware of these centuries-old disagreements in Europe? They were, were they not? Of course, they were. However, at one point they actually welcomed the disintegration of a number of states in Europe without hiding their joy. Why were they so unthinking, driven by fleeting political considerations and their desire to please – I will put it bluntly – their big brother in Washington, in providing their unconditional support to the secession of Kosovo, thus provoking similar processes in other regions of Europe and the world? You may remember that when Crimea also declared its independence, and then – following the referendum – its decision to become part of Russia, this was not welcomed for some reason. Now we have Catalonia. There is a similar issue in another region, Kurdistan. Perhaps this list is far from exhaustive. But we have to ask ourselves, what are we going to do? What should we think about it? It turns out that some of our colleagues think there are ”good“ fighters for independence and freedom and there are ”separatists“ who are not entitled to defend their rights, even with the use of democratic mechanisms. As we always say in similar cases, such double standards – and this is a vivid example of double standards – pose serious danger to the stable development of Europe and other continents, and to the advancement of integration processes across the world. At one time the apologists for globalisation were trying to convince us that universal economic interdependence was a guarantee against conflicts and geopolitical rivalry. Alas, this did not happen. Moreover, the nature of the contradictions grew more complicated, becoming multilayer and nonlinear. Indeed, while interconnectedness is a restraining and stabilising factor, we are also witnessing an increasing number of examples of politics crudely interfering with economic, market relations. Quite recently there were warnings that this was unacceptable, counterproductive and must be prevented. Now those who made such warnings are doing all this themselves. Some do not even conceal that they are using political pretexts to promote their strictly commercial interests. For instance, the recent package of sanctions adopted by the US Congress is openly aimed at ousting Russia from European energy markets and compelling Europe to buy more expensive US-produced LNG although the scale of its production is still too small. Attempts are being made to create obstacles in the way of our efforts to forge new energy routes – South Stream and Nord Stream – even though diversifying logistics is economically efficient, beneficial for Europe and promotes its security. Let me repeat: it is only natural that each state has its own political, economic and other interests. The question is the means by which they are protected and promoted. In the modern world, it is impossible to make a strategic gain at the expense of others. Such a policy based on self-assurance, egotism and claims to exceptionalism will not bring any respect or true greatness. It will evoke natural and justified rejection and resistance. As a result, we will see the continued growth of tensions and discord instead of trying to establish together a steady and stable international order and address the technological, environmental, climate and humanitarian challenges confronting the entire human race today. Colleagues, scientific and technological progress, robotic automation and digitalisation are already leading to profound economic, social, cultural changes, and changes in values as well. We are now presented with previously inconceivable prospects and opportunities. But at the same time we will have to find answers to plenty of questions as well. What place will people occupy in the “humans–machines–nature” triangle? What actions will be taken by states that fail to provide conditions for normal life due to changes in climate and environment? How will employment be maintained in the era of automation? How will the Hippocratic oath be interpreted once doctors possess capabilities akin to all-powerful wizards? And will human intelligence finally lose the ability to control artificial intelligence? Will artificial intelligence become a separate entity, independent from us? Previously, when assessing the role and influence of countries, we spoke about the importance of the geopolitical factor, the size of a country’s territory, its military power and natural resources. Of course, these factors still are of major importance today. But now there is also another factor – the scientific and technological factor, which, without a doubt, is of great importance as well, and its importance will only increase over time. In fact, this factor has always been important, but now it will have game-changing potential, and very soon it will have a major impact in the areas of politics and security. Thus, the scientific and technological factor will become a factor of universal and political importance. It is also obvious that even the very latest technology will not be able to ensure sustainable development on its own. A harmonious future is impossible without social responsibility, without freedom and justice, without respect for traditional ethical values and human dignity. Otherwise, instead of becoming a world of prosperity and new opportunities, this “brave new world” will turn into a world of totalitarianism, castes, conflicts and greater divisions. Today growing inequality is already building up into feelings of injustice and deprivation in millions of people and whole nations. And the result is radicalisation, a desire to change things in any way possible, up to and including violence. By the way, this has already happened in many countries, and in Russia, our country, as well. Successful technological, industrial breakthroughs were followed by dramatic upheavals and revolutionary disruptions. It all happened because the country failed to address social discord and overcome the clear anachronisms in society in time. Revolution is always the result of an accountability deficit in both those who would like to conserve, to freeze in place the outdated order of things that clearly needs to be changed, and those who aspire to speed the changes up, resorting to civil conflict and destructive resistance. Today, as we turn to the lessons of a century ago, namely, the Russian Revolution of 1917, we see how ambiguous its results were, how closely the negative and, we must acknowledge, the positive consequences of those events are intertwined. Let us ask ourselves: was it not possible to follow an evolutionary path rather than go through a revolution? Could we not have evolved by way of gradual and consistent forward movement rather than at a cost of destroying our statehood and the ruthless fracturing of millions of human lives. However, the largely utopian social model and ideology, which the newly formed state tried to implement initially following the 1917 revolution, was a powerful driver of transformations across the globe (this is quite clear and must also be acknowledged), caused a major revaluation of development models, and gave rise to rivalry and competition, the benefits of which, I would say, were mostly reaped by the West. I am referring not only to the geopolitical victories following the Cold War. Many Western achievements of the 20th century were in answer to the challenge posed by the Soviet Union. I am talking about raising living standards, forming a strong middle class, reforming the labour market and the social sphere, promoting education, guaranteeing human rights, including the rights of minorities and women, overcoming racial segregation, which, as you may recall, was a shameful practice in many countries, including the United States, a few short decades ago. Following the radical changes that took place in our country and globally at the turn of the 1990s, a really unique chance arose to open a truly new chapter in history. I mean the period after the Soviet Union ceased to exist. Unfortunately, after dividing up the geopolitical heritage of the Soviet Union, our Western partners became convinced of the justness of their cause and declared themselves the victors of the Cold War, as I just mentioned, and started openly interfering in the affairs of sovereign states, and exporting democracy just like the Soviet leadership had tried to export the socialist revolution to the rest of the world in its time. We were confronted with the redistribution of spheres of influence and NATO expansion. Overconfidence invariably leads to mistakes. The outcome was unfortunate. Two and a half decades gone to waste, a lot of missed opportunities, and a heavy burden of mutual distrust. The global imbalance has only intensified as a result. We do hear declarations about being committed to resolving global issues, but, in fact, what we see is more and more examples of selfishness. All the international institutions designed to harmonise interests and formulate a joint agenda are being eroded, and basic multilateral international treaties and critically important bilateral agreements are being devalued. I was told, just a few hours ago, that the US President said something on social media about Russia-US cooperation in the important area of nuclear cooperation. True, this is the most important sphere of interaction between Russia and the United States, bearing in mind that Russia and the United States bear a special responsibility to the world as the two largest nuclear powers. However, I would like to use this opportunity to speak in more detail about what happened in recent decades in this crucial area, to provide a more complete picture. It will take two minutes at most. Several landmark bilateral agreements were signed in the 1990s. The first one, the Nunn-Lugar programme, was signed on June 17, 1992. The second one, the HEU-LEU programme, was signed on February 18, 1993. Highly enriched uranium was converted into low-enriched uranium, hence HEU-LEU. The projects under the first agreement focused on upgrading control systems, accounting and physical protection of nuclear materials, dismantling and scrapping submarines and radioisotope thermoelectric generators. The Americans have made – and please pay attention here, this is not secret information, simply few are aware of it – 620 verification visits to Russia to check our compliance with the agreements. They visited the holiest of holies of the Russian nuclear weapons complex, namely, the enterprises engaged in developing nuclear warheads and ammunition, and weapons-grade plutonium and uranium. The United States gained access to all top-secret facilities in Russia. Also, the agreement was almost unilateral in nature. Under the second agreement, the Americans made 170 more visits to our enrichment plants, touring their most restricted areas, such as mixing units and storage facilities. The world’s most powerful nuclear enrichment plant – the Urals Electrochemical Combine – even had a permanent American observation post. Permanent jobs were created directly at the workshops of this combine where the American specialists went to work every day. The rooms they were sitting in at these top-secret Russian facilities had American flags, as is always the case. In addition, a list was drawn up of 100 American specialists from 10 different US organisations who were entitled to conduct additional inspections at any time and without any warning. All this lasted for 10 years. Under this agreement, 500 tonnes of weapons-grade uranium were removed from military circulation in Russia, which is equivalent to about 20,000 nuclear warheads. The HEU-LEU programme has become one of the most effective measures of true disarmament in the history of humankind – I say this with full confidence. Each step on the Russian side was closely monitored by American specialists, at a time when the United States limited itself to much more modest reductions of its nuclear arsenal, and did so on a purely goodwill basis. Our specialists also visited enterprises of the US nuclear arms complex but only at their invitation and under conditions set by the US side. As you see, the Russian side demonstrated absolutely unprecedented openness and trust. Incidentally – and we will probably talk about this later – it is also common knowledge what we received from this: total neglect of our national interests, support for separatism in the Caucasus, military action that circumvented the UN Security Council, such as the bombing of Yugoslavia and Belgrade, the introduction of troops into Iraq and so on. Well, this is easy to understand: once the condition of the nuclear complex, the armed forces and the economy had been seen, international law appeared to be unnecessary. In the 2000s our cooperation with the United States entered a new stage of truly equitable partnership. It was marked by the singing of a number of strategic treaties and agreements on peaceful uses of nuclear energy, which is known in the US as the 123 Agreement. But to all intents and purposes, the US side unilaterally halted work within its framework in 2014. The situation around the 2000 Plutonium Management and Disposition Agreement (PMDA) of August 20 (signed in Moscow) and September 1 (in Washington) is perplexing and alarming. In accordance with the protocol to this agreement, the sides were supposed to take reciprocal steps to irreversibly convert weapons-grade plutonium into mixed oxide (MOX) fuel and burn it in nuclear plants, so that it could not be used for military purposes. Any changes in this method were only allowed by consent of the sides. This is written in the agreement and protocols to it. What did Russia do? We developed this fuel, built a plant for mass production and, as we pledged in the agreement, built a BN-800 plant that allowed us to safely burn this fuel. I would like to emphasise that Russia fulfilled all of its commitments. What did our American partners do? They started building a plant on the Savannah River Site. Its initial price tag was $4.86 billon but they spent almost $8 billion, brought construction to 70 percent and then froze the project. But, to our knowledge, the budget request for 2018 includes $270 million for the closure and mothballing of this facility. As usual, a question arises: where is the money? Probably stolen. Or they miscalculated something when planning its construction. Such things happen. They happen here all too often. But we are not interested in this, this is not our business. We are interested in what happens with uranium and plutonium. What about the disposal of plutonium? Dilution and geological storage of the plutonium is suggested. But this completely contradicts the spirit and letter of the agreement, and, most important, does not guarantee that the dilution is not reconverted into weapons-grade plutonium. All this is very unfortunate and bewildering. Next. Russia ratified the Comprehensive Nuclear-Test-Ban Treaty more than 17 years ago. The USA has not done so yet. A critical mass of problems is building up in global security. As is known, in 2002 the United States pulled out of the Anti-Ballistic Missile Treaty. And despite being initiators of the Convention on the Prohibition of Chemical Weapons and international security, they initiated that agreement themselves, they are failing to meet their commitments. They remain as of today the only and largest holder of this form of weapon of mass destruction. Moreover, the USA has pushed back the deadline for eliminating their chemical weapons from 2007 to as far as 2023. It does not look proper for a nation that claims to be a champion of non-proliferation and control. In Russia, on the contrary, the process was completed on September 27 of this year. By doing so our country has made a significant contribution to enhancing international security. By the way, the western media preferred to keep quiet, not to notice it, though there was one fleeting mention somewhere in Canada, but that was it, then silence. Meanwhile, the chemical weapons arsenal stockpiled by the Soviet Union is enough to destroy life on the planet multiple times over. I believe that it is time to abandon an obsolete agenda. I am referring to what was. Without a doubt, we should be looking forward, we have to stop looking back. I am talking about this so as to understand the origins of the current situation that is taking shape. It is high time for a frank discussion among the global community rather than just a group of the chosen, allegedly the most worthy and advanced. Representatives of different continents, cultural and historical traditions, political and economic systems. In a changing world, we cannot afford to be inflexible, closed off, or unable to respond clearly and quickly. Responsibility for the future – this is what should unite us, especially in times like the current ones when everything is changing rapidly. Never before has humankind possessed such power as it does now. The power over nature, space, communications, and its own existence. However, this power is diffuse: its elements are in the hands of states, corporations, public and religious associations, and even individual citizens. Clearly, harnessing all these elements in a single, effective and manageable architecture is not an easy task. It will take hard, painstaking work to achieve this. And Russia, I will note, is willing to take part in it together with any partners who are interested. Colleagues, how do we see the future of the international order and the global governance system? For example, in 2045, when the UN will mark its centennial anniversary? Its creation has become a symbol of the fact that humanity, in spite of everything, is capable of developing common rules of conduct and following them. Whenever these rules were not followed, it inevitably resulted in crises and other negative consequences. However, in recent decades, there have been several attempts to belittle the role of this organisation, to discredit it, or simply to assume control over it. All these attempts predictably failed, or reached a dead end. In our opinion, the UN, with its universal legitimacy, must remain the centre of the international system. Our common goal is to raise its authority and effectiveness. There is no alternative to the UN today. With regard to the right of veto in the Security Council, which is also sometimes challenged, you may recall that this mechanism was designed and created in order to avoid direct confrontation of the most powerful states, as a guarantee against arbitrariness and recklessness, so that no single country, even the most influential country, could give the appearance of legitimacy to its aggressive actions. Of course, let us face it, the experts are here, and they know that the UN has legitimised the actions of individual participants in international affairs after the fact. Well, at least that is something, but it will not lead to any good, either. Reforms are needed, the UN system needs improvement, but reforms can only be gradual, evolutionary and, of course, they must be supported by the overwhelming majority of the participants in the international process within the organisation itself, by broad consensus. The guarantee of the UN effectiveness lies in its representative nature. The absolute majority of the world’s sovereign states are represented in it. The fundamental principles of the UN should be preserved for years and decades to come, since there is no other entity that is capable of reflecting the entire gamut of international politics. Today, new centres of influence and growth models are emerging, civilisational alliances, and political and economic associations are taking shape. This diversity does not lend itself to unification. So, we must strive to harmonise cooperation. Regional organisations in Eurasia, America, Africa, the Asia-Pacific region should act under the auspices of the United Nations and coordinate their work. However, each association has the right to function according to its own ideas and principles that correspond to its cultural, historical and geographical specifics. It is important to combine global interdependence and openness with preserving the unique identity of each nation and each region. We must respect sovereignty as the basis underlying the entire system of international relations. Colleagues, no matter what amazing heights technology can reach, history is, of course, made by humans. History is made by people, with all their strengths and weaknesses, great achievements and mistakes. We can have only a shared future. There can be no separate futures for us, at least, not in the modern world. So, the responsibility for ensuring that this world is conflict-free and prosperous lies with the entire international community. As you may be aware, the 19th World Festival of Youth and Students is taking place in Sochi. Young people from dozens of countries are interacting with their peers and discussing matters that concern them. They are not hampered by cultural, national or political differences, and they are all dreaming about the future. They believe that their lives, the lives of younger generations will be better, fairer and safer. Our responsibility today is to do our best to make sure that these hopes come true. Thank you very much for your attention”. La Russofobia, però, è sempre all’opera nella obsoleta Europa e nella prona Italia delle 90 bombe H all’Idrogeno made in Usa. Come scrive “La Stampa” attribuendo al Presidente Putin “toni” mai visti né uditi a Sochi, tutt’altro che pacifici. “Putin: Lavoriamo per il disarmo, ma se costretti avremo armi avanzate simili a quelle nucleari”, titola il quotidiano di Torino che “fonde” l’abbondante mezz’ora del discorso presidenziale di Putin e le tre ore e mezza di conferenza in questi termini: “Il mondo visto dal Cremlino: se il discorso fatto a Sochi da Putin avesse avuto un titolo, questo sarebbe stato forse il più azzeccato. Intervenendo al forum del club Valdai, il presidente russo ha infatti toccato i temi più disparati, ma prestando particolare attenzione alla politica internazionale. Lanciando puntualmente i suoi affondi contro Washington. Innanzitutto ha accusato gli Usa di aver congelato il riciclaggio di plutonio contravvenendo agli accordi internazionali sulle armi nucleari e chimiche, e poi ha sottolineato che Mosca risponderà in modo “speculare e immediato” se gli Stati Uniti si ritireranno dal trattato Inf siglato nel 1987 da Reagan e Gorbaciov per vietare i missili a medio raggio. Putin manda un messaggio distensivo sugli armamenti atomici: “Se mi chiedete se il disarmo nucleare è possibile, vi rispondo che sì, è possibile”. Ma praticamente allo stesso tempo lancia un avvertimento al mondo: la Russia è pronta a dotarsi di “armamenti di precisione avanzati, vicini per potenza alle armi nucleari” se altri paesi compiranno “azioni simili”. In realtà, il leader del Cremlino ha parlato dei rapporti tra Mosca e Riad e si è detto fiducioso sulla sconfitta del terrorismo in Siria “nel prossimo futuro”. Poi ha ribadito che la crisi coreana va risolta “col dialogo” e non mettendo “la Corea del Nord all’angolo, minacciandola con la forza”, come fa Trump. Al presidente americano Putin lascia però la porta aperta: si dice pronto a collaborare e giustifica in parte il tycoon dicendo che sono i suoi avversari negli Stati Uniti a impedirgli di esaudire le promesse elettorali. Tra cui spiccava il miglioramento dei rapporti con Mosca. La cosa forse più importante è, però, che Putin ha fatto un discorso proiettato al futuro. “Il prossimo presidente – ha detto il leader del Cremlino  – deve fare della Russia un Paese flessibile e competitivo al massimo”. Per la candidatura alle elezioni di Marzo AD 2018 manca ormai solo l’annuncio ufficiale. Secondo Orietta Moscatelli, caporedattore esteri di Askanews, che ha partecipato al Valdai Club, “per quanto riguarda il Valdai come forum di dibattito, devo dire che il valore aggiunto è confermato, soprattutto nella possibilità di incontrare esperti, politologi, analisti, accademici praticamente da mezzo mondo, parliamo di 33 Paesi rappresentati da circa 150 esperti. Al Valdai partecipano soprattutto molti esperti russi di altissimo livello, una cosa abbastanza impensabile in altre occasioni. Durante l’incontro con Putin, fra l’altro molto lungo, si sono toccati tutti gli aspetti della politica estera. Il presidente russo ha abbastanza accuratamente evitato di parlare di questioni interne, certamente il momento non è quello giusto, visto che siamo in una fase preelettorale e lui non ha ancora sciolto le riserve sulla sua candidatura alle presidenziali del 2018. È stata una rassegna di tutte le questioni attuali dalla Corea del Nord all’Ucraina, alla Siria e a tutti i conflitti di cui si parla questi giorni. Il tema cruciale dell’edizione 2017 era proprio se può emergere un nuovo ordine dagli attuali conflitti. Alcune questioni sono rimaste aperte. La Russia si mostra ottimista sul fronte siriano, questa sera forse non è stato notato da tutti, ma l’aspetto più nuovo è che Vladimir Putin ha rivelato una serie di progetti in corso che parlano di una fase post conflitto in Siria. Putin ha detto che c’è l’idea di creare un Congresso dei Popoli, questo vuol dire de facto un Parlamento. Si è detto che c’è il progetto di una nuova Costituzione, Putin ha auspicato che l’integrità territoriale e la sovranità dello Stato Siriano vengano mantenute in un processo graduale di concertazione fra le varie parti in conflitto. Si parla da anni di una fase di transizione, ma effettivamente questa fase ora sembra avvicinarsi. Come sempre al Valdai c’erano delle aspettative un po’ suggerite da fonti più o meno ufficiali sulla possibilità che Putin potesse annunciare la fine della fase attiva dell’intervento militare in Siria oppure la sua candidatura. Io personalmente non ho mai pensato che potesse fare l’annuncio di una possibile candidatura, perché il Valdai è una platea internazionale, le elezioni sono una questione profondamente nazionale. Dopo oltre 3 ore di confronto, il presidente Putin ci ha lasciato con una sorta di siparietto, con una barzelletta per spiegare che nessuno alla fine è insostituibile, nemmeno Vladimir Putin per la Russia di oggi. Detto questo, non credo che nessuno intenda davvero sostituirlo con un presidente nemmeno dopo il 2018”. L’atmosfera in cui si è svolto il forum è stata “molto particolare, il forum è cambiato negli anni. Una delle cose più interessanti è vedere chi arriva e chi non torna più al Club Valdai. In qualche modo il Valdai è una specie di termometro dell’interesse sulla Russia e dell’interesse della Russia per alcune questioni. Quest’anno c’erano meno europei, questo dovrebbe probabilmente allarmarci. Devo dire che c’erano più americani, il confronto con l’America infatti è uno dei punti focali dell’interesse delle autorità russe. Il Valdai si propone sempre più come “think tank” non sulla Russia, ma della Russia che vuole leggere le grandi questioni della politica estera. Non è il Valdai delle origini, che al contrario era una sorta di immersione nella realtà russa per spiegare agli esperti internazionali dove stesse andando la Russia. L’atmosfera attorno ai tavoli secondo me è la parte più importante ed interessante perché ovviamente non c’è il marchio dell’ufficialità con tutti gli onori che ne derivano. Si crea una specie di forum globale, quindi attorno ad un tavolo ti ritrovi con un americano, un tedesco, un indiano e un cinese; parlando della stessa questione ti rendi conto, effettivamente, che non solo non hai la verità in tasca, ma bisogna essere un po’ più possibilisti nel leggere l’attualità internazionale. Sulla “crisi nordcoreana” ad esempio in questi giorni ho sentito esprimere le posizioni più diverse: c’è un grandissimo allarme da parte russa, preoccupazione forte da parte americana, gli stessi americani dicono che temono l’imprevedibilità di Trump. Poi ci sono gli europei che alla fine si propongono come i vecchi saggi che hanno visto un po’ più di storia e quindi propongono letture più pragmatiche e moderate. Dall’Italia quest’anno c’ero io e Nathalie Tocci, direttore dello Iai, che al Valdai è stata percepita come una voce della Ue soprattutto. Una cosa che vorrei sottolineare è che l’Europa quest’anno era assente come voce, ma anche come argomento. Putin ha parlato molto della “crisi catalana”, puntando il dito contro l’Europa per non aver pensato ai temi della secessione del Kosovo, rispetto alle spinte indipendentiste bisogna avere, a suo avviso, una posizione costante e non quella dei due pesi e delle due misure. Il Kosovo poteva dichiarare la secessione, la Crimea no e oggi sulla Catalonia nessuno sa bene come comportarsi”. Il Valdai Club Meeting è quanto mai utile come piattaforma di dialogo in un periodo di tensioni internazionali e imprevedibilità geopolitica. “Assolutamente sì, al Valdai vale sempre la pena ritornare. Il Valdai è utile come anche altri formati di dibattito su grandi questioni geopolitiche. Un elemento su cui riflettere per le prossime edizioni è la richiesta da parte degli esperti di almeno un incontro per discutere sulla Russia, per fare il punto su dove sta andando il Paese, non solo quindi parlare di politica estera. La Russia che vediamo in azione sulla scena internazionale ha delle sue dinamiche interne che in occidente vengono percepite in modo distorto o non vengono percepite affatto. C’è grande richiesta per una finestra sulla Russia”. Al termine della sessione plenaria, il Presidente Putin non ha rivelato se si candiderà alle presidenziali del 2018 oppure no. Ma incalzato dalle parole del moderatore, ha evaso la risposta raccontando una barzelletta: “Un oligarca caduto in disgrazia dice a sua moglie: Cara, purtroppo dobbiamo vendere la nostra Mercedes e comprare una Lada. Va bene, caro. Dovremo anche lasciare la nostra villa e trasferirci in appartamento. Va bene, caro. Ma cara, tu mi amerai ancora? Si, ti amerò molto. E mi mancherai. Molto”. Alla domanda su quale consiglio darebbe Putin a Trump, affinché l’inquilino della Casa Bianca possa esercitare con successo le sue funzioni ed essere un buon capo di stato, il Presidente russo ha risposto così: “Ritengo questa domanda scoretta. Trump è stato eletto dal popolo americano ed almeno per questo motivo bisogna portargli rispetto. Anche se non siamo d’accordo con qualcuna delle sue posizioni. All’interno del Paese nei confronti di Trump c’è una mancanza di rispetto e questa è una disdicevole componente negativa del sistema politico americano. Si può discutere, ma non si può mancare di rispetto e non tanto a lui personalmente, quanto alle persone che lo hanno votato”. Presidente Putin, secondo lei quali sono gli errori che hanno portato a questo stallo nelle relazioni tra Russia e Occidente? “Il nostro errore è che ci siamo fidati di voi. Il vostro è che ne avete abusato scambiandolo per debolezza”. Presidente Putin, negli ultimi mesi abbiamo assistito ad un aumento della tensione da parte della Nato, che è parecchio attiva nei Paesi Baltici ed in Polonia. Come commenta questa situazione? “Noi analizziamo la situazione e conosciamo ogni azione. Con questa domanda mi ha dato un’ottima chance per dire: Faremo questo, faremo quello, ma la verità è che non ce n’è bisogno. Che si esercitino pure. Noi non siamo preoccupati. La situazione è sotto controllo”. La chiusura dei confini tra Russia e le Repubbliche nell’Est dell’Ucraina significherebbe una carneficina. “La chiusura dei confini tra la Russia e le Repubbliche di Donetsk e Lugansk porterebbe alla carneficina – avverte Putin – e la Russia non lo permetterà mai. Finché non saranno risolte le questioni relative al riconoscimento di uno status speciale a questi territori ed all’approvazione della legge sull’amnistia, la chiusura dei confini tra la Russia e le Repubbliche non riconosciute porterà ad una situazione come quella di Srebrenica: ci sarà una carneficina. Noi questo non possiamo permetterlo”. Putin sulla situazione in Ucraina è chiaro. “La situazione in Ucraina è degradata al limite. La polizia utilizza i gas contro i manifestanti. In queste condizioni è impossibile ipotizzare che Poroshenko si impegni a rispettare gli accordi di Minsk. La Russia è pronta a ritornare al dialogo con l’Ucraina e non abbiamo bisogno di nessun conflitto ai nostri confini. Anche l’Europa è interessata alla risoluzione della situazione in Ucraina. Merkel e Macron se ne occupano, ma occorre fare pressione non solo sulla Russia, ma anche su Kiev, affinchè faccia qualcosa”. Le Olimpiadi in Corea del Sud sono in pericolo? La Russia vi parteciperà? “Spero di no, che non siano in pericolo. Per quanto riguarda la partecipazione russa, come abbiamo visto anche il Comitato Olimpico Internazionale è sottoposto a delle pressioni esterne e noi sappiamo che riceve dei segnali dagli sponsor americani. Qualcuno vuole che la Russia non vi partecipi, o lo faccia sotto bandiera neutrale. In entrambi i casi si tratta di un’umiliazione e se quel qualcuno pensa che con queste minacce si possa influire sulla campagna elettorale in Russia, sappia che l’effetto sarà il contrario ed il Movimento Olimpico subirà un grave danno”. Quale ruolo può esercitare la Russia nella crisi con la Corea del Nord? “Di mediatore. Già in passato abbiamo presentato diversi progetti congiunti tra Corea del Nord e Corea del Sud. Bisogna lavorare ed abbandonare la retorica bellica, fare un salto oltre le proprie ambizioni. All’epoca si raggiunse l’accordo sullo stop al programma nucleare nordcoreano, ma poco dopo l’America, temendo che la Corea del Nord potesse fare molto di più, ha imposto nuove limitazioni. Così anche la Corea del Nord è uscita ed ha ripreso il programma di sviluppo del nucleare. Se allora si riuscì a trovare un accordo, anche oggi ce la si può fare”. Presidente Putin, quali obiettivi dovrà perseguire il presidente russo che verrà eletto il prossimo anno per il mandato 2018-2024? “Rendere la Russia flessibile per quanto riguarda i modi di gestione e di sviluppo dell’economia. Dobbiamo completare il nostro sistema politico e l’ammodernamento delle Forze Armate”. Il prossimo presidente russo potrà essere una donna? “Qui da noi tutto è possibile!”. Margherita Simonyan, caporedattore di Sputnik e RT, ha chiesto al presidente Putin di commentare gli attacchi che i due media russi hanno subito negli Usa e all’accusa di aver esercitato una “influenza sulla campagna elettorale” americana. “Innanzitutto dobbiamo tenere presente che i nostri media – osserva il Presidente Putin – hanno una potenza neanche lontanamente paragonabile a quella dei media americani e britannici. Noi non abbiamo mezzi di comunicazione mondiale. Questo è un monopolio che appartiene al mondo anglosassone. In democrazia esiste soltanto un modo, democratico, per contrastare quello che non piace: esprimere la propria opinione e farlo così bene, brillantemente e con talento così che gli altri credano nella vostra opinione. Tutto il resto, dai tentativi di fare pressione sui giornalisti alle manovre di ostruzionismo o minacce di chiusura, è fuori dalla democrazia. Tutto il mondo sa come i media anglosassoni esercitano direttamente delle influenze sui processi politici interni nei Paesi del mondo. Ogni tanto – rileva il Presidente Putin – vedo quello che passa RT e vedo che vi lavorano con precisione e senza paura, persone di vari Paesi, compresi americani, tedeschi e altri. Persone di talento, di cui ammiro l’abilità e la convinzione nell’esprimere i propri punti di vista. Mi tolgo il cappello davanti a come lo fanno. Proprio questo è la base del successo di RT e Sputnik. Ed è proprio quello che non piace agli altri”. Su Kosovo e Catalogna sussistono i doppi standard occidentali. “Quando la Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia – rivela il Presidente Putin – ha sentenziato che l’indipendenza del Kosovo del 2008 non ha violato il diritto internazionale, di fatto ha aperto un vaso di Pandora. Noi speriamo che il problema si risolva nell’ambito degli istituti giuridici spagnoli”. Putin è chiaro anche  sul Trattato INF, le forze nucleari a medio raggio. “La Russia – spiega il Presidente Putin – ha equilibrato la situazione con gli Usa riguardo alla quantità di missili nucleari a corto e medio raggio. Se a qualcuno venisse voglia di uscire dal Trattato INF la nostra risposta sarà immediata e speculare”. Il Presidente Putin sull’equilibrio geopolitico mondiale e il rischio di un ritorno agli Anni ’50 rassicura: “La Russia non ritorna agli Anni ‘50, sono gli altri che cercano di riportarla a quell’epoca. La Russia crede al disarmo nucleare. La Russia vuole il disarmo nucleare? Si. La Russia ambisce a questo obiettivo? La risposta è altrettanto positiva”. Per il Presidente Putin “l’Onu deve rimanere il centro del sistema diplomatico internazionale: non ci sono alternative. Le riforme sono necessarie, ma devono essere graduali, evolutive e sostenute da ampio consenso. I princìpi di base delle Nazioni Unite vanno conservati”. Il Presidente Putin ripercorre le tappe della cooperazione russo-americana nell’ambito della sicurezza e degli accordi sulla riduzione dell’arsenale nucleare: “Gli Usa non adempiono ai propri obblighi sull’eliminazione delle armi di distruzione di massa. La Russia ha pienamente eseguito tutti gli obblighi che si è assunta sull’eliminazione del Plutonio, mentre gli Usa non hanno fatto lo stesso con i propri: gli Usa si comportano in maniera viscida”. Secondo il Presidente Putin, l’equilibrio nel mondo viene spesso violato e le contraddizioni diventano sempre più pericolose e sfociano in conflitti: “Gli interessi dei vari Paesi non corrispondono su tutti i temi. È normale, è sempre stato così. Ma quando i propri interessi vengono perseguiti ad ogni costo, le contraddizioni diventano imprevedibili e pericolose e portano a violenti conflitti. Le vecchie “ricette” per risolvere i conflitti nel mondo non funzionano nelle condizioni del mondo moderno, mentre le nuove ancora non sono state trovate”. Il Presidente Putin sulla situazione in Catalonia osserva che “i Paesi dell’Unione Europea hanno provocato da soli la crescita degli umori separatisti in Europa. Prima hanno sostenuto il Kosovo ed ora ne pagano le conseguenze, come nel caso della Catalonia. L’Europa doveva pensarci prima, quando sono iniziati diversi processi simili. Ad esempio, assecondando la volontà del padrone oltreoceano, ha sostenuto a gran voce l’indipendenza del Kosovo. Poi però quando nello stesso modo i cittadini della Crimea hanno fatto la loro scelta, non andava più bene. Ne consegue che esistono indipendentisti buoni e separatisti cattivi”. Il Presidente è categorico sulla Corea del Nord: “La Russia condanna gli esperimenti nucleari della Corea del Nord, ma rimane ferma nella sua posizione: tutte le decisioni vanno prese nell’ambito delle norme Onu. Non serve minacciare l’uso della forza, mostrare il pugno duro, abbassarsi al livello della polemica da strada: non bisogna dimenticare che la Corea del Nord è un Paese sovrano. In questo modo non si riesce a risolvere nessuna crisi. Serve solo il dialogo. Tutti i nodi più difficili del mondo, Libia, Siria, Corea del Nord ed anche Ucraina si devono sciogliere, non distruggere”. Il Presidente Putin è altrettanto categorico sulla situazione in Siria: “Alcuni nostri colleghi vogliono che il caos nella regione diventi permanente ed a qualcuno di loro sembra che questo caos si possa governare. La Russia in Siria agisce nell’ambito del diritto internazionale ed ascolta tutte le posizioni delle parti in causa”. La Siria nel frattempo piange uno dei generali più noti dell’Esercito Siriano, Issam Zakhreddin, responsabile della difesa di Deir-ez-Zor, deceduto a causa dell’esplosione di una mina nella regione dell’isola di Saker. All’inizio della crisi, Zakhreddin dirige le unità della Guardia Repubblicana e difende i quartieri e le periferie di Damasco. Negli ultimi tre anni e mezzo è stato responsabile della difesa della città assediata di Deir-ez-Zor. Le Forze Aeree della Federazione Russa in poche giorni hanno compiuto più di 400 missioni di combattimento in Siria, nel corso delle quali hanno distrutto oltre 1200 obiettivi dei miliziani. Lo testimoniano i dati pubblicati sul quotidiano “Krasnaja Svesda”, organo ufficiale del ministero della Difesa russo che segnala inoltre come, la settimana scorsa, in Siria siano stati compiuti 180 voli di ricognizione dei droni russi. Il presidente della Commissione Difesa della Duma, Vladimir Shamanov, rivela: “Sarei felice se tutto finisse prima della fine dell’anno. Ma dopo che sarà finita come un’operazione militare, questa sarà seguita da un periodo di operazioni speciali. Molti tentano di tagliarsi le barbe per cercare di infiltrarsi negli organismi locali di autogoverno e così via. Il processo è lungo”. Pace in Europa? Chi la sottoscrive, chi la difende, chi la promuove, chi la minaccia? In Ucraina, dal 2015, un battaglione di 300 istruttori militari americani sta addestrando l’esercito ucraino e ha contribuito a portarlo da 100.000 unità a oltre 250.000. Ma i Russi non sono rimasti a guardare. Se la “guerra fredda” non è poi così fredda, per non scottarsi è meglio farla combattere a qualcun altro, magari la classica “carne da cannone”, nella vile compiacenza dei media di regime imbevuti di Russofobia. Gli istruttori della Guardia Nazionale dell’Esercito Usa, in forza alla “Joint Multinational Training Group-Ukraine”, lavorano sulla base di questo assunto presso il centro addestramento di Yavoriv in Ucraina occidentale. La formazione sul campo dura 55 giorni, al termine della quale un nuovo battaglione di 500, 1.000 soldati è pronto per andare al fronte, meno di 1.300 km ad Est, per combattere contro i “separatisti”. Con la guerra all’Isis sempre in prima pagina, ora affiancata pure dalle tensioni in Corea del Nord e Catalonia, il conflitto in Ucraina è passato magicamente in secondo piano a Bruxelles e dintorni. Ma è già costato la vita ad almeno 4.000 soldati ucraini e ad un numero imprecisato, molto probabilmente maggiore, di separatisti che combattono per ricongiungersi con la Madre Patria Russia. Come già succede nelle ex “repubbliche sovietiche” più a Nord, fin dall’inizio del conflitto gli Stati Uniti d’America, mascherati come ad Halloween da “diplomatici pacifinti”, non si sono lasciati scappare l’occasione di rinforzare un Paese in guerra con l’avversario di sempre. Ma il proverbio tanto caro anche nell’Universo di Star Trek, “il nemico del tuo nemico è tuo amico”, non è sempre corretto. Già in passato gli Usa hanno imparato a loro spese che armare ed addestrare i guerriglieri afghani e ceceni in chiave antirussa ha portato poi alla rivolta contro i loro stessi “fondatori” warlord warmonger, come sta accadendo proprio con Al Qaeda, Isis e associati sopravvissuti ai soli raid russi intelligenti. I terroristi, vistosi traditi dal loro “creatore” in Siria, ora minacciano la vendetta! Da quando, nel 2014, il referendum costituzionale legittimo in Crimea ha riportato in Russia la Penisola sul Mar Nero, compresa Sebastopoli che la Nato avrebbe sicuramente fatto sua secondo i “desiderata” di Porošenko, gli Stati Uniti hanno aiutato l’esercito ucraino a crescere da poco più di 100.000 unità ad oltre 250.000 soldati. L’obiettivo Usa adesso è formare gli stessi istruttori ucraini perché gestiscano in proprio i loro centri di addestramento sul modello organizzativo delle strutture di “Fort Polk” in Louisiana e di “Fort Irwin” in California. I media italiani, compresa la trasmissione “Porta a Porta”,  stranamente tacciono. Lo sforzo organizzativo è tutt’altro che indifferente, visto che gli addestratori Usa prima di ricostruire da zero l’infrastruttura ucraina, hanno dovuto demolire l’intero sistema di addestramento preesistente perché soffocato da una dilagante corruzione. Ma lo scopo strategico è quello di rendere l’esercito ucraino completamente interoperativo con il sistema militare Nato ed in grado di collaborare non solo con l’Esercito Usa ma anche con Polonia, Repubbliche Baltiche e gli altri membri della Nato in funzione antirussa. Gli Usa, invadendo l’Europa, hanno provveduto a inviare a Porošenko diversi equipaggiamenti “non letali”: radar antimissile, presidi medici, giubbotti antiproiettile, ma anche Humvee, i fuoristrada della AM General che gli americani stanno sostituendo con i nuovi JLTV della Lockheed Martin che farebbe bene a costruire astronavi interstellari e non guerre mondiali! Ben presto potrebbero arrivare anche armi vere e proprie, di quelle “letali”, come dichiarato dal segretario alla Difesa Mattis. Ufficialmente, i militari ucraini addestrati dagli Usa, vengono preparati a combattere in chiave antiterroristica e si tace che nella realtà verranno inviati a combattere i separatisti a loro volta discretamente sostenuti dalla Madre Patria, la Russia. Infatti, le regioni dell’Ucraina orientale sotto il controllo dei “ribelli” (tanto cari alla saga di Star Wars!) vengono pudicamente classificate dalla Nato come “Anti Terrorism Operation zone”, ossia “ATO”. Intanto, come già espresso dal Presidente Putin, l’Onu riporta decine di violazioni quotidiane al Trattato di “Minsk II”, l’accordo per il cessate il fuoco firmato l’11 Febbraio 2015 fra Ucraina, Russia, Germania e Francia. Sempre secondo le stime Onu, il conflitto nel cuore dell’Europa è costato al governo ucraino più di 10.000 morti e oltre 25.000 feriti fra soldati e civili. Ma sembra che il governo ucraino ometta intenzionalmente di aggiornare il numero dei caduti e dei feriti, specie fra i militari. Il numero di vittime colpite da carri armati e artiglieria è talmente elevato (55% del totale) da rendere inspiegabile un così vasto dispiegamento di armi sofisticate da parte dei “ribelli” separatisti. Il mistero è stato svelato nel Dicembre 2015 quando il Presidente Putin ha ammesso per la prima volta che già da un anno la Russia inviava aiuti militari, fra cui armi pesanti, agli indipendentisti. E continua a farlo da tre anni. Glaciale l’avvertimento che il Presidente russo Putin spesso ripete ai Warlord Warmonger: “Ogni vostra azione avrà da parte nostra una risposta adeguata”. Scrive il “The National Interest” che l’America non è un reale concorrente per la fornitura di sistemi S400 e può solo rimanere a guardare come l’arma difensiva russa si diffonde nel mondo. La decisione dell’Arabia Saudita di comprare dalla Russia dei sistemi missilistici antiaerei S400 Triumph è stata un colpo potente per gli Usa e i loro alleati europei. Come rivela il “The National Interest”, ancora prima, la Turchia ha firmato con la Russia un accordo per 2,5 miliardi di dollari di acquisto per gli stessi armamenti. E ora la Russia conduce i negoziati con l’Egitto per la stessa fornitura. Molti Paesi con i complessi missilistici S300, ora li cambiano con gli S400. La ragione è che il nuovo sistema è in grado di usare missili intercettori di diversi tipi: può essere dotato di missili di quattro tipologie ad altissima gamma, lungo raggio, medio e corto, che possono essere usati su distanze variabili dai 40 ai 400 km. Il complesso americano Patriot ha solo un missile anti-aereo con una gamma standard ufficiale di 96 km. Uno dei principali esperti del settore aerospaziale, Carlo Kopp, rileva che un S400 può essere dotato di radar di rilevamento e acquisizione obiettivi: è progettato per la distruzione dei moderni aerei “stealth” come l’F-22 e l’F-35. Lavora su una vasta gamma di frequenze, tra cui quelle molto alte e altissime, ciò permette agli S400 russi di rilevare caccia “invisibili” ai radar ordinari. Uno dei vantaggi di un missile a lungo raggio sparato dal sistema S400? È in grado di colpire bersagli che si trovano al di fuori della zona di validità attiva dei mezzi di difesa aerea antimissilistica, ad esempio: i centri di comando degli aerei AWACS, usati dagli Usa e dai loro alleati in Giappone, nella base aerea di Kadena e negli Emirati Arabi Uniti ad Al Dafre. Sono vulnerabili ai missili S400. Dunque, gli Usa avrebbero già perso il vantaggio della irraggiungibilità contro i mezzi della difesa aerea russa. Sempre secondo il “The National Interest”, la Russia ha sicuramente fatto un passo avanti, fornendo armi ad alcuni paesi della Nato, il cui futuro è incerto, come ad esempio Grecia e Turchia, e ai Paesi fedeli agli Usa, tra cui l’Arabia Saudita e gli Stati del Golfo Persico. Non si esclude l’Italia. “La Russia ha compiuto un passo avanti importante in senso tecnico. Gli Usa non hanno un reale concorrente per il sistema S400, sembra che non avvertano particolare allarme per questo, mentre osservano queste armi diffondersi per il mondo. Mi dispiace molto, ma ora è troppo tardi per fare qualcosa”, osserva l’analista. Scacco! Per questi motivi Mosca interviene affinché le armi nucleari, ospitate in Europa, tornino negli Usa, come espresso saggiamente dal ministro degli Esteri russo Serghej Lavrov: “Coerentemente siamo per il ritiro delle armi nucleari sul territorio nazionale, per la cessazione delle cosiddette “missioni” della Nato, che violano il trattato di non proliferazione nucleare dei membri dell’Alleanza per la pianificazione e il perfezionamento delle competenze delle armi nucleari”, dichiara Lavrov parlando a una conferenza sulla non proliferazione. “Mosca non riceve alcuna risposta dagli Usa e dai suoi alleati per i rischi connessi alla creazione di un sistema globale di difesa antimissile – rileva Serghej Lavrov – uno dei principali problemi rimane lo sforzo degli Usa e dei loro alleati in Europa, in Asia, nel Pacifico, in altre regioni, per creare un sistema globale di difesa missilistica prossima ai confini russi. In sostanza, senza risposta rimangono i nostri appelli per lavorare insieme per contenere i rischi associati all’accumulo di armi qualitativamente e quantitativamente non convenzionali nel continente europeo”. Gli Italiani non sono ancora consapevoli con chi o che cosa hanno a che fare: i Warlord Warmonger sono capaci di tutto in ogni istante, dunque non possono più essere considerati “alleati”! L’Italia da che parte sta nella Storia?

                                                                                                              © Nicola Facciolini

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