Con la scomparsa di Daniele Piombi, avvenuta il 18 maggio del 2017, la Televisione italiana ha perso uno dei suoi più grandi protagonisti, colui che quella Televisione l’aveva fatta con garbo e raffinatezza attraversando oltre cinquant’anni di significativi cambiamenti socio-culturali che hanno trasformato radicalmente i nostri palinsesti.
Giornalista tra i più influenti dello Spettacolo tra il 1960 e il 1990, il “Signore della TV“, come lo chiamavano i tanti colleghi , “L’uomo in smoking” o, nella versione più fantasiosa di Enrico Montesano ispirata ad una battuta di Enrico Vaime, “Lo smoking vestito da uomo”, Daniele Piombi ha vissuto consapevolmente il passaggio dalla TV analogica a quella digitale, da Audience da 25 milioni di telespettatori a puntata – come quelli registrati dai capolavori televisivi di Anton Giulio Majano – ai 6 milioni delle fiction odierne, dai programmi pedagogici per ragazzi il cui motto era Educare divertendo ai diseducativi reality di nuova generazione, dalla réclame selezionata e sottoposta a censura, alla pubblicità scostumata ed invadente dettata dalle nuove strategie di Marketing.
Un conduttore forse troppo elegante e di buon gusto per alcuni programmi attuali, ma di sicuro garanzia di professionalità in ogni sua trasmissione. Mai una parola di troppo, mai una caduta di stile, mai una gaffe e, soprattutto, mai uno scandalo.
«Se ne è andato in punta di piedi come era nel suo stile» ha scritto di lui Antonella Clerici.
Numerosi gli omaggi pubblici: da Fiorello a Pippo Baudo, al compianto Fabrizio Frizzi, a Memo Remigi, Milly Carlucci, Ezio Greggio, Simona Ventura, Donatella Rettore, Carlo Conti, amici giornalisti, quotidiani e TV in quel 18 maggio che, per una strana coincidenza del destino, è anche il giorno dell’anniversario della morte dell’indimenticabile Enzo Tortora.
Bolognese di origine e reggiano di adozione, Daniele aveva studiato Scienze politiche all’Università di Firenze ed aveva avuto Giovanni Spadolini come docente di Storia. La sorprendente cultura ereditata dai genitori insegnanti, ed una presenza fisica notevole unita a quel suo modo di fare venusto e perbene, gli avevano aperto, fin da giovanissimo, le porte della Rai. A soli 22 anni fu chiamato a condurre il programma “Viaggiare”, trasmissione che segnò il definitivo abbandono della carriera giornalistica e l’inizio di un’intensa attività lavorativa come conduttore.
Nonostante nella sua lunga e fortunata carriera abbia presentato numerose edizioni di Canzonissima, del Cantagiro, del Festival di Napoli, del Festival di Castrocaro, del Festivalbar, del Festival di Sanremo, e tra gli impegni televisivi più recenti vanno ricordati Made in Italy per Rai International e L’itinerario di Colombo nella Repubblica Dominicana – programma distribuito in tutto il mondo – il suo nome è rimasto legato al “Premio Regia Televisiva – Oscar TV” che inventò nel 1961 e al quale si era dedicato completamente a partire dagli anni 2000.
Una vita lavorativa piena ed appagante, vissuta con discrezione accanto alla bellissima moglie Mirella, le vacanze ad Alghero in cui trascorreva parte della sua estate perfettamente integrato nel territorio sardo. E forse qualche spina nel cuore per essere stato messo in panchina troppo presto a favore di personaggi più attuali e meno demodé.
Quando ci lascia un personaggio televisivo che ha accompagnato con fair play la nostra esistenza, ci si sente sempre un po’ orfani. Quando se ne va una colonna portante dello Spettacolo come Daniele Piombi, si apre una voragine culturale che difficilmente può essere colmata. Quando infine se ne va qualcuno che fa parte della tua quotidianità, quella voragine diventa un abisso.
Perché se per l’Italia intera Daniele Piombi rappresentava un pezzo di Storia, per me era un frammento di vita, il padre della mia amica Caterina, una voce dalla timbrica inconfondibile che mi raggiungeva ovunque fossi per farmi gli auguri a Natale e a Pasqua o, semplicemente, per salutarmi e lasciarmi ogni volta una testimonianza della sua ineffabile persona.
«Non ho mai bussato a nessuna porta, nemmeno nei periodi difficili».
Asseriva con la fierezza di chi non aveva mai accettato compromessi e mezze misure. E narrava aneddoti di vita, curiosità e retroscena dietro centinaia di scatti che ripercorrono la Storia di una Televisione che non c’è più, come il racconto della sua intervista a Luigi Tenco a poche ore dal suicidio: l’ultima, in quel lontano Festival di Sanremo del 1967.
E quella teca con i suoi innumerevoli Oscar davanti ai quali mi sono addormentata, grata e sognante, la notte precedente i suoi funerali. Ricordi e testimonianze di oltre mezzo secolo di Televisione, in quell’Italia che appariva ancora in bianco e nero sui nostri schermi e raccontata brillantemente nel libro “Una TV da Oscar”, scritto a 6 mani con Gigi Vesigna e l’inseparabile amico Nello Marti (foto in alto a sn), produttore del “Premio Regia Televisiva” insieme alla moglie Patrizia Bulgari.
Di lui, oltre al ricordo della sua ineguagliabile classe e di quell’innato savoir-faire, restano una serie di singolari interviste ognuna delle quali è una lezione di vita, come questa che vi propongo.
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Un privilegio per me, quello di aver avuto l’opportunità di conoscere “il Signore della TV”, questo straordinario gentiluomo che, involontariamente, ha ispirato il mio lavoro ed il mio futuro rendendomi spettatrice della potenza delle mie parole – anonime e scritte di getto – per annunciare al mondo che ci aveva lasciato.
Io non so dove mi condurrà questo lavoro, ma so come ci sono arrivata.
Grazie Daniele.
di Alina Di Mattia