“Parlare o scrivere di don Milani è estremamente difficile. C’è il pericolo di appiattirne l’immagine, di semplificarne i contorni, assimilandolo frettolosamente all’una o all’altra delle grandi contrapposizioni che segnavano allora, e in parte segnano ancora oggi, la società italiana” sosteneva lo storico italiano Giovanni Miccoli (Trieste 1933 – ivi 2017) il cui nome è inscindibilmente legato alla fondazione del corso di laurea in Storia, dell’Università di Trieste.
Ancora oggi non è semplice parlare o scrivere di Don Lorenzo Carlo Domenico Milani Comparetti (Firenze il 27 maggio 1923 -Firenze il 26 giugno 1967), presbitero, scrittore ed educatore, provocatore, contestatore schietto e cristallino nella sua scomoda complessità intellettuale e pedagogica, al centro di mire vessatorie nel corso della sua intensa ma breve vita e pure dopo.
Appartenente ad una famiglia fiorentina, colta e facoltosa da generazioni, figlio di Albano Milani Comparetti e della israelita triestina Alice Weiss, passando dall’amore per l’arte, Don Lorenzo Milani si incamminò in un percorso interiore del quale mantenne riservatezza, per giungere al sacerdozio il 13 luglio 1947, esprimendo la sua forte personalità.
Con esaltante coraggio e lealtà, nel tempo in cui i parroci si limitavano a leggere i commenti biblici, si scontrò con il pensiero della Chiesa di cui non ne comprendeva regole e ragioni, distanti dal proprio modo di recepire la sincerità del Vangelo. Da giovane parroco di Barbiana, minuscolo centro di montagna con un centinaio di anime, dove dalla Curia di Firenze quattro anni prima, era stato assegnato in ‘confino’, Don Milani allora trentacinquenne, proseguì nei suoi ideali caparbiamente, pubblicando “Esperienze pastorali”, scegliendo la parola, insegnando a criticare a confrontarsi. Era il 1958, nel dicembre dello stesso anno il Sant’Uffizio, dispose il ritiro del libro dalla vendita, perchè ritenuto “inopportuno” il contenuto. L’altare dello scandalo assale il priore impenitente.
Dall’esilio della canonica del Mugello, un angolo sperduto dell’appennino fiorentino, privo di strada, luce ed acqua, circa 120 abitanti, una chiesa con canonica, un cimitero e sui monti case sparse qua e là, l’azione di Don Lorenzo Milani diviene indelebile. L’arretratezza economica e culturale del piccolo centro non arresta il suo scopo, anzi né motiva lo spirito. Sostenere il disagio di chi non ha possibilità di studiare, attraverso l’istruzione rendendo loro dignità e la forza della parola.
Nel 1967, arriva un’altra scossa diretta alle istituzioni italiane, alla società alla chiesa. “Lettera a una professoressa”, un libro denuncia, edito dalla casa editrice fiorentina LEF, elaborato poco prima della sua scomparsa a 44 anni, per un linfoma di Hodgkin, da Don Milani, insieme ai ragazzi della scuola di Barbiana. Un atto di accusa verso l’intero sistema della scuola italiana fondato su principi classisti in favore delle fasce sociali più forti, marginalizzando quelle maggiormente fragili.
Alla lettera che non ricevette mai risposta, seguirono invece polemiche sprezzanti dirette a svuotarne l’aspetto più radicale del messaggio del prete provocatore che, alzava la propria voce imponendo alla sua classe di studenti di fargli da eco.
Ma non furono solo attacchi, il pamphlet divenne un manuale degli insegnanti, animò i temi del sessantotto italiano, confluendo nelle grandi battaglie degli anni ’70 sulla scuola, ed ancora oggi, rappresenta un anello centrale di riflessione, che diviene una esigenza. “Cara Scuola ti scrivo…L’attualità di Lettera a una professoressa” per leEdizioni San Paolo, il nuovo libro di Marco Pappalardo, ruota intorno a questa esigenza.
Pappalardo docente di Lettere presso il Liceo Majorana-Arcoleo di Caltagirone, giornalista, scrittore e Direttore dell’Ufficio per la Pastorale Scolastica della diocesi di Catania, interviene nel dibattito mai sopito sul senso della testimonianza degli alunni di Don Milani della scuola di Barbiana, che partendo dalla loro esperienza personale si sono battuti per una Scuola equa e non privilegio solo per i giovani provenienti da famiglie agiate, tralasciando l’istruzione di chi possedeva origini meno fortunate.
Un libro che si traduce in un atto di cuore nei loro confronti che alla lettera mai hanno avuto riscontro. Pappalardo da insegnante ed educatore intende fornire una spiegazione alla classe di Barbiana. “Ho cercato nelle biblioteche e sul web e, a parte importanti e significativi articoli e saggi, non vi è una lettera di risposta ufficiale e completa. Io ci ho provato – afferma l’autore – ed in queste pagine, quasi fosse un testo a fronte, dopo ogni paragrafo si trovano le mie riflessioni in grassetto. Non sono “una professoressa”, ma spero da professore di essere stato comunque all’altezza di così tante ed intense provocazioni. Nel capitolo 28, l’ultimo paragrafo scritto a Barbiana è proprio un invito – con tanto di indirizzo – affinché qualche docente si faccia vivo; certo io arrivo un po’ tardi, sono di un’altra generazione, di un altro tipo di scuola, ma credo che gli studenti di Barbiana e le loro parole, con gli insegnamenti di Don Milani, abbiano moltissimo da dire oggi”.
L’esperienza e gli anni di condivisione con i ragazzi come insegnante rendono l’autore più che credibile nella sua risposta. Non sarà un professore privo di difetti, lui stesso afferma “Non sempre ho le risposte, sicuramente non ho quelle pronte o per l’occasione, però cerco di ascoltare, di dedicare tutto il tempo necessario, di dare a ciascuno lo spazio richiesto. A volte le questioni vengono poste davanti a tutta la classe, altre volte privatamente, in ogni caso non restano in sospeso e, quando utile, ci dedichiamo ore intere”. Ed è certo il suo rispetto nei confronti dei giovani scrittori del passato: si preoccupa di non scavalcare mai le opinioni o i commenti degli studenti.
Lo scopo del libro non è solo far conoscere la storia di Don Milani e dei suoi allievi, ma anche dare una prospettiva sull’istituzione scolastica attuale e passata. Le parole dell’autore non lasciano spazio a fraintendimenti: “Se io ho molto imparato dalla lettura di “Lettera a una professoressa” –sostiene Marco Pappalardo – lo è grazie alla profondità, alla schiettezza, allo stile, all’arte che esprime; da parte mia ho scritto e risposto come se li stessi ascoltando di persona e colloquiando con loro o con i miei studenti, senza l’intenzione di insegnare qualcosa”.
Dunque, questo libro può essere l’occasione per leggere (o rileggere) e approfondire i principi espressi nella lettera degli studenti di Don Milani e al tempo stesso riflettere su una nuova prospettiva della scuola e della società. Il volume è particolarmente consigliato agli studenti della Secondaria di II grado, a quelli dell’ultimo anno della Secondaria di I grado, ai docenti, agli educatori, ai genitori.
All’interno del libro di Pappalardo troviamo la versione integrale di “Lettera a una professoressa”, raccolta di questioni e problemi rilevati dai ragazzi di Barbiana. Alla quale si aggiungono le equilibrate riflessioni dell’autore, eccellente formatore per cammino esperenziale e propensione d’animo. Citando Don Lorenzo Milani: “spesso gli amici mi chiedono come faccio a far scuola. Sbagliano la domanda, non dovrebbero preoccuparsi di come bisogna fare scuola, ma di come bisogna essere per poter fare scuola”.
La visione di Marco Pappalardo è molto chiara, contattato da noi, per Paeseitaliapress.it e, i media partner Lafrecciaweb.it, Verbumpress.it, ha dichiarato: “Per il docente la scuola è e deve essere un ponte levatoio gettato sulla vita e sulla società, costantemente abbassato per permettere a tutti di essere il re del castello e il cittadino senza alcuna distinzione o sudditanza. La pandemia ha alzato per un attimo il ponte, ma studenti, docenti, personale, famiglie sono stati pronti a portarlo giù saldamente dove più dove meno. La disparità ha avuto il tempo di emergere e un faro ha illuminato, per esempio, il divario tecnologico che è paradossalmente una nuova povertà oggi”. Secondo il parere di marco Pappalardo, nonostante lamentarsi e recriminare serva a poco, le istituzioni avrebbero dovuto accorgersene ben prima di questa mancanza.
L’importante adesso è far sentire la propria voce e lottare affinché le disparità e la discriminazione non appannino la scuola. Marco Pappalardo ha anche rimarcato: “va affermato con forza che è gravissimo che ci siano stati studenti che non abbiano potuto seguire le lezioni a distanza, perché non possedevano un device o una connessione adeguata oppure poiché non erano stati formati adeguatamente, così come è stato fatto in “Lettera a una professoressa”.
È importante sottolineare che molti ragazzi sono stati privati nel passato della possibilità di studiare, ma la miseria non può più essere una scusa. “Un tempo la scuola non aboliva la miseria, oggi è necessario che accada a partire dall’ascolto degli studenti, dalle loro giovani idee, dal confronto con i docenti, da una formazione adeguata, dal dialogo con le famiglie”.
Sarà proprio questo il segreto per migliorare l’istituzione scolastica italiana?
Perché non iniziare a scoprirlo, leggendo “Cara Scuola ti scrivo…L’attualità di Lettera a una professoressa”.
Brevi cenni biografici dell’autore
Marco Pappalardo, vive a Catania ed è docente di Lettere a Caltagirone presso il Liceo Majorana-Arcoleo, Giornalista pubblicista, collabora con L’Osservatore Romano, Avvenire, Credere, La Sicilia e con diversi blog di informazione. Ha scritto oltre trenta libri su temi educativi, sociali, religiosi, formativi per le editrici San Paolo, Libreria Editrice Vaticana, Elledici, Effatà, Il Pozzo di Giacobbe, Paoline, alcuni dei quali tradotti in più lingue.