Una piacevole chiacchierata con un simbolo del calcio contemporaneo. Parliamo di Riccardo Cucchi, giornalista RAI, prima voce di “Tutto il Calcio minuto per minuto” su Radio1 e coordinatore della trasmissione stessa che il 10 gennaio scorso ha compiuto i 57 anni di vita. Con Cucchi abbiamo parlato del suo amore per la radio, il calcio e “Tutto il calcio minuto per minuto”, della passione per l’Opera, della società contemporanea e di come il calcio potrebbe contribuire a migliorala partendo dal calcio dilettantistico e dalla scuola calcio.
Riccardo Cucchi, recentemente “Tutto il Calcio minuto per minuto” ha compiuto i 57 anni di vita. Cosa rappresenta per lei questa trasmissione radiofonica?
“Rappresenta una parte importante della mia vita, perché naturalmente puoi immaginare che la mia passione per questa trasmissione e per la radio sia nata quando ero ragazzino. A otto anni nel 1960 ho avuto la fortuna di cominciare a sentire la trasmissione che era appena nata, quindi ho dei ricordi vivissimi delle voci di allora. Per molti anni la domenica mi rinchiudevo nella mia stanza, accendevo la radio, chiudevo gli occhi e sognavo insieme alle voci di Ameri, Ciotti, Provenzali… tutti grandi maestri del passato. Sognavo di essere con loro nello stadio, vedevo gli stadi grazie alle loro parole e sentivo gli effetti delle curve, il pubblico che gridava, sentivo le delusioni e le gioie. E questo amore per la radio è nato ascoltando questi straordinari radiocronisti che hanno fatto la storia della trasmissione. Naturalmente poi ho coltivato a lungo il sogno di essere un giorno anche io parte di questo straordinario racconto radiofonico del calcio. Sinceramente non speravo tanto, cioè non speravo di riuscirci e soprattutto non speravo di ottenere un risultato così importante e gratificante per me, fino ad arrivare ad essere la prima voce di “Tutto il Calcio minuto per minuto” e poi addirittura a ricevere l’onore di essere il coordinatore di questa straordinaria e magnifica trasmissione. La amo in modo assolutamente viscerale. Tutto il calcio per me è la radio, è il racconto del calcio, il più vero, il più vivo, il più poetico. Come nel 1960 anche oggi, 57 anni dopo, credo sia il modo più bello di raccontare il calcio.”
Ci sono stati dei contraccolpi dopo l’avvento delle televisioni che ormai portano nella casa degli italiani le immagini trasmesse in diretta di tutte le partite di calcio?
“Contraccolpi non ce ne sono stati. Naturalmente però dobbiamo fare una distinzione chiara. Negli anni in cui Tutto il Calcio nasceva, parliamo dal 1960 fino ad arrivare a metà anni settanta, era l’unica trasmissione attraverso la quale era possibile evidentemente sapere cosa avveniva all’interno degli stadi. Nei primi anni poi come molti già sapranno, non si ascoltavano le telecronache dei primi tempi, ma si cominciava direttamente dal secondo tempo. Questo perché c’era la preoccupazione da parte della FIGC, all’epoca non c’era ancora la Lega Calcio, che un racconto integrale delle partite la domenica, potesse addirittura scoraggiare la gente ad andare allo stadio e per questa ragione ci obbligavano a raccontare solo i secondi tempi. Pensa quanto è cambiato. In quegli anni comunque la trasmissione, essendo l’unica fonte di informazione autentica per quanto riguardava le partite che si disputavano in contemporanea alle 14.30, poteva raggiungere anche i venti milioni di ascoltatori, ma ti ripeto, non c’erano altre forme di informazione: o accendevi la radio o non sapevi nulla di ciò che avveniva all’interno degli stadi. Con gli anni tutto questo evidentemente ha preso un’altra direzione, è cambiato il panorama complessivo, si sono moltiplicate le radio, sono arrivate le televisioni e quindi è evidente che non possiamo più immaginare di poter raccogliere da soli soltanto venti milioni di ascoltatori. Ma debbo dire che lo zoccolo duro dei nostri amici appassionati è rimasto intatto anche con l’avvento della pay per view e della pay tv e che sostanzialmente ancora oggi “Tutto il Calcio minuto per minuto” rimane la trasmissione leader di ascolti per tutte e tre le reti radiofoniche della RAI, Radio1, Radio2 e Radio3. Nessun programma riesce ad avere gli stessi ascolti, anche in presenza della televisione. Tra l’altro anche il fatto che il campionato si sia suddiviso in tante giornate oltre alla domenica, da venerdì fino al lunedì, e a volte fino al martedì, rappresenta un vantaggio per noi della radio. Potrà sembrare un paradosso, ma è così, perché è del tutto evidente che un telespettatore non può vivere tutto il campionato dal venerdì al lunedì seduto su una poltrona. Abbiamo bisogno di lavorare, di uscire, di muoverci e di conseguenza quando non c’è la televisione a disposizione, possiamo accendere la radio ovunque si sia, in macchina o a passeggio. Inoltre sappiamo evidentemente che oggi la radio ha altre forme oltre a quella canonica dell’apparecchio radiofonico per essere ascoltata: ci sono i telefoni cellulari, ci sono i computer, c’è internet… e quindi è possibile accendere Radio1 e vivere le emozioni della partita anche se non si è di fronte ad una televisione. E questo ci consente ancora di essere la trasmissione più ascoltata della radio.”
Qual è stata la partita più emozionante per cui ha fatto la telecronaca?
“Beh, io ho avuto una fortuna di quelle che toccano a pochi radiocronisti, quella di raccontare un’Italia campione del mondo, quella del 2006 a Berlino. Prima di me soltanto Carosio era riuscito a gridare “Campioni del Mondo” due volte, nel ’34 e nel ’38, ed Enrico Ameri nel ’82. Sandro Ciotti non riuscì perché la sua finale, quella del ’94 contro il Brasile finì in un altro modo con il successo verdeoro. Io ho avuto la fortuna di essere il terzo radiocronista della storia della radio a gridare al microfono “Campioni del Mondo” e potete immaginare quanta emozione in quel momento io ho sentito e quanta responsabilità ho sentito sulle mie spalle ed è stato il momento più alto, più bello, più emozionante della mia vita di professionista.”
Passando ad un altro argomento, lei Cucchi è un appassionato di Opera, da dove nasce questo interesse?
“Esattamente in contemporanea con l’ascolto della radio è nato anche il mio amore per l’opera quando ero un bambino di dieci anni. Ascoltai per caso un disco che aveva mio padre, una Tosca di Puccini, mi appassionai a quell’opera in particolare e lì cominciò un percorso che ancora va avanti di conoscenza di tutto l’universo dell’opera italiana e non, che rappresenta la mia seconda passione: prima c’è la radio e “Tutto il Calcio minuto per minuto” e la mia vera seconda passione è l’opera lirica, direi anche la musica classica, ma in particolare la lirica. Tra l’altro ho studiato un po’ di musica da ragazzo, ho strimpellato il violino senza grandissimi risultati, e ancora oggi quando posso, quando non c’è il calcio che assorbe la mia attenzione, mi dedico all’ascolto della musica attraverso i cd o attraverso i miei dischi o quando è possibile addirittura recandomi in un teatro dell’opera. In Italia ce ne sono tantissimi e tutti bellissimi. Anzi approfitto per invitare tutti coloro, che magari anche non conoscano la lirica, a provare ad ascoltare o a vedere l’opera lirica perché credo sia impossibile non rimanerne affascinati.”
Lei è molto attivo su Facebook, parla di calcio, di opera, ma esprime anche riflessioni su alcune problematiche sociali. Ad esempio qualche giorno fa ha scritto “Mi sono alimentato alla fonte della “tolleranza” fin da giovane. Ora le mie convinzioni barcollano. Inasprimento delle pene per chiunque usi violenza su una donna. Ma inasprimento vero. E duro. Non vedo altre soluzioni. Poi potremmo lavorare sulla ” cultura” per evitare che nascano altri finti ” maschi”…”. Può spiegare meglio ai nostri lettori questo concetto?
“La mia è una generazione che è nata ed è stata allevata, per fortuna, nel concetto della tolleranza e nella comprensione dei fenomeni e nel dialogo. La mia generazione ha combattuto anche battaglie politiche. Io stesso ero uno di quelli che nel ’68 manifestava in strada la sua protesta nei confronti delle cose che non andavano e questo spirito ribelle mi è rimasto dentro, ma mi ha anche indotto a tante riflessioni che ritengo utili per vivere una vita democraticamente importante, nel rispetto e nella tolleranza di tutti, delle culture diverse, evidentemente anche in qualche modo aiutandomi ad approfondire i fenomeni prima di tranciare sentenze. Ma quello che sta avvenendo in Italia in particolare, ma non soltanto in Italia purtroppo, la violenza cioè nei confronti delle donne… non c’è giorno in cui purtroppo non si debba raccontare in cronaca la crudeltà degli uomini verso le donne, e soprattutto… quello che sconvolge è che questa violenza sia spesso travisata come amore, ma non può esserci amore dietro alla violenza, mi suggerisce che è ora veramente che la società riesca a difendere le donne da tutto quello che avviene attorno a loro. E allora credo che sia davvero necessario veramente che il Parlamento prenda in mano la situazione e che si ragioni su come inasprire le pene per tutti coloro che si macchiano di colpe così gravi, naturalmente nel rispetto dei valori di una società democratica. Perché credo che sia troppo facile per un uomo minacciare prima e poi colpire e non dico farla franca, ma direi non essere punito per la gravità del reato che commette. Si rovinano le vite delle donne nei casi in cui non vengono uccise, si rovinano le vite di giovani donne, mentre coloro che si macchiano di reati così gravi a volte se la cavano con pochi anni di prigione. Credo che debba essere rivista la materia giuridica per quanto concerne un reato di questa gravità.”
Secondo lei la società di oggi è arrivata ad un punto di non ritorno?
“No. Sono fondamentalmente un ottimista. Sono convinto che anche nei momenti più bui, e noi stiamo vivendo sicuramente un momento buio, c’è la possibilità di risalire sempre. Soprattutto se si fa leva su quei valori che sono valori propri della natura umana. La natura umana non è soltanto portata a compiere misfatti, ma per fortuna può anche portare in un’altra direzione. Da qualche giorno stiamo rimpiangendo la scomparsa di un grande pensatore, Zygmunt Bauman, che inventò questa straordinaria definizione di “società liquida”. Ecco noi viviamo in una società moderna e liquida, nel senso che è difficile la sua comprensione, è una società fluida, che si muove nella quale si sovrappongono tanti modi di pensare, tante culture diverse, e a volte si genera anche una confusione, un’incapacità interpretativa. Dobbiamo cambiare i nostri modi di analisi, comprendere meglio ciò che avviene intorno a noi, e soltanto in questo modo dopo aver capito meglio come questa società si stia trasformando non soltanto in Italia, si potranno trovare delle contromisure per renderla più vivibile, più a dimensione della natura positiva dell’uomo e non di quella negativa.”
Secondo lei il calcio, almeno in Italia, potrebbe contribuire a migliorare in qualche modo la società?
“Ma l’ho sperato tanto a dire la verità, anche perché ho avuto la fortuna di vivere un altro momento del calcio. Quello degli anni sessanta e settanta in cui i valori, il rispetto, la sportività in campo ma anche sugli spalti erano molto evidenti. Io posso raccontarvi di aver vissuto, essendo di Roma, dei derby tra Lazio e Roma in cui le tifoserie erano assolutamente mescolate. Le bandiere della Lazio e della Roma sventolavano una accanto all’altra. Non c’era il rischio che qualcuno perdesse la testa e compiesse atti di violenza nei confronti del vicino. Poteva volare una parola pesante, poteva volare nella peggiore delle ipotesi uno schiaffone, ma tutto poi finiva lì e finiva molto spesso in burletta e simpatica presa in giro. Oggi sarebbe inimmaginabile mettere i tifosi avversari uno accanto all’altro senza separarli in recinti che sono veramente una vergogna per lo sport. Ecco credo che si debba tornare, e si potrebbe farlo naturalmente soltanto attraverso una profonda rivoluzione culturale, ad un calcio nel quale lo spettatore rispetti il tifoso avversario, così come in campo i calciatori siano in grado di capire che l’importante non è vincere, ma è vincere soprattutto con onestà nei confronti di chi si ha davanti.”
Lei Cucchi segue il calcio dilettantistico?
“Purtroppo no. L’ho seguito molto da ragazzino quando muovevo i primi passi sperando di diventare un giornalista. Diciamo che andavo in giro soprattutto nel Lazio a seguire le partite del calcio dilettante. Tra l’altro è da lì che ho cominciato ad apprendere i primi rudimenti di questo mestiere. Purtroppo non ho più la possibilità, ma mi dispiace molto perché sono convinto che nel calcio dilettantistico sia possibile trovare quei valori cui facevamo riferimento poc’anzi. Non sempre però perché anche nel calcio dilettantistico sono giunte purtroppo le insidie, le minacce, i pericoli di un calcio che si sta esasperando e che si sta trasformando in qualche altra cosa. Sta uscendo dal contesto di uno sport per diventare una battaglia tra fazioni. Succede anche nel calcio dilettantistico purtroppo. Però sono ancora convinto di poter trovare delle isole di serenità, nelle quali sia possibile vivere una partita di calcio con il sorriso oltre che con la passione.”
Ritiene che il contributo al miglioramento della società di oggi da parte del calcio, possa partire proprio dal calcio dilettantistico?
“Ma io direi di più, dovrebbe partire dalle Scuole calcio, dai bambini, e dovrebbe partire non tanto dai bambini che sono normalmente puri e quindi diciamo ancora lontani dalle nefandezze del calcio professionistico, ma sono purtroppo i genitori che spesso danno prova di scarsissima intelligenza. Sono recenti le notizie che giungono dalla cronaca di genitori che si picchiano in tribuna, mentre i loro figli piccoli giocano a pallone. Ecco questo è il grande problema. Sono gli adulti che devono evidentemente impostare l’educazione dei loro figli. Se gli adulti sbagliano addirittura quando i loro figli disputano una partita di calcio nei campionati dedicati ai bambini, vuol dire che il discorso della tolleranza, dell’intelligenza, della sensibilità e del rispetto è molto lontano dal raggiungere i suoi obiettivi, quelli che noi tutti auspichiamo e cioè che il calcio torni ad essere soprattutto uno sport e non ripeto un terreno di guerriglia e di odi che nascono e scaturiscono dal fatto di appartenere tra virgolette a fazioni diverse. Questo è veramente l’aspetto più brutto del calcio.”
Vincenzo Chiarizia
Leggi l’intervista a Riccardo Cucchi anche su MarsicaSportiva.it