L’Aquila / I Fanciulli di Monongah. La tragedia mineraria di 110 anni fa in West Virginia nel giorno di Babbo Natale (San Nicola Vescovo di Myra) costa la vita a mille minatori, almeno la metà dei quali Italiani secondo alcune fonti, ed a moltissimi bambini. Sono Americani, Polacchi e Russi, ma sono soprattutto Italiani. La libera migrazione dei Popoli liberi può renderci migliori nel 110mo anniversario della più grave catastrofe mineraria degli Italiani all’Estero.
Scrive Joseph L. Tropea: “La cultura nativista del West Virginia, le tradizioni trasmesse oralmente tra i migranti italiani del 19esimo secolo e le ricerche statunitensi imprecise hanno reso difficili le ricostruzioni e sbagliate le commemorazioni di un disastro immenso, come quello del 1907 in West Virginia. La memoria di quella tragedia, infatti, è stata trasformata in farsa”. Monongah negli Stati Uniti è la Marcinelle americana: l’ecatombe del 6 Dicembre 1907, tuttavia, è ancora sconosciuta al cinema ed alla letteratura. Molti i Molisani e gli Abruzzesi tra le mille vittime. Il numero dei caduti fa della catastrofe mineraria di Monongah la più grave mai abbattutesi sulla comunità italiana all’Estero. A Monongah, nel cuore minerario degli Stati Uniti d’America, si consuma un’ecatombe incredibile. La stima ufficiale delle vittime è per difetto perché i morti furono più di 900: neanche un terzo dei minatori era registrato. Fra le centinaia di corpi moltissimi europei emigrati in cerca di fortuna in America. Molti di loro erano appena dei ragazzini. I corpi di 135 vittime non identificate vennero sepolti in una fossa comune. Alle vittime ufficiali sono da aggiungere bambini, amici e aiutanti che ogni minatore “regolarmente assunto” portava con sé, senza l’obbligo di comunicarlo al datore di lavoro.
In un primo momento, secondo il rapporto della Commissione Amos, parve che le vittime fossero “circa 350” ma già nei giorni immediatamente successivi alcuni resoconti giornalistici parlarono di 425 morti. Leo L. Malone, General Manager delle due gallerie, riferì alla stampa che la mattina della sciagura all’ingresso nell’impianto erano stati registrati 478 uomini, e che comunque tale numero non includeva circa 100 altri lavoratori (tra cui conducenti di muli, addetti alle pompe, “raccoglitori” ragazzini) non soggetti alla registrazione. In un quotidiano della capitale Washington, una corrispondenza datata 9 Marzo 1908 riferì di 956 vittime. Un’avventura oggi semplicemente impossibile e incredibile. Ma vera benché dimenticata dal “mainstream” delle “fake news”. La statua “All’Eroina di Monongah”, una campana pontificia e una lapide commemorano le vedove e gli orfani di tutti i minatori. Monongah con i suoi mille morti rappresenta oggi l’icona del sacrificio dei lavoratori italiani del Sud depredato e umiliato, costretti ad emigrare per poter sopravvivere. Onoriamo l’emigrazione sepolta e tutte le vittime di ogni tempo. Anche le più recenti nel Mar Mediterraneo e in Siria, delle quali l’Italia chiede perdono ai Popoli liberi. L’emigrazione di lavoratori italiani verso gli Stati Uniti iniziò sostanzialmente con l’abolizione dello schiavismo negli Stati Uniti grazie al Presidente conservatore repubblicano Abramo Lincoln (immortalato nella celebre pellicola di S. Spielberg) stabilita a livello federale nel 1865 con il XIII Emendamento della Costituzione, e il conseguente rifiuto degli uomini di colore di sopportare condizioni di lavoro, economiche ed ambientali che furono invece accettate dai “nuovi” Italiani appena arrivati dal depredato Meridione d’Italia. Emblematico fu quanto avvenne in Louisiana, ove gli emigranti italiani presero il posto degli schiavi di colore. Tra il 1901 e il 1915 furono 27 milioni gli italiani che emigrarono e ben 3 milioni e mezzo si diressero verso l’America del Nord, provenienti non solo dalle regioni dell’Italia meridionale e centrale, ma anche da Piemonte, Lombardia, Veneto e Friuli. Muh-nahn-guh nella lingua dei Nativi Americani Seneca significa “fiume dalle acque ondulate”.
(di Nicola Facciolini)