Intervista a Paolo Varesi, membro della Commissione Consultiva Permanente del Ministero del Lavoro

Paolo Varesi è da diversi anni  membro della Commissione Consultiva permanente per la tutela dei luoghi di lavoro, organismo deputato dalla legge a svolgere una serie di importanti compiti e tra questi quello di esaminare i problemi applicativi della normativa di salute e sicurezza  formulando proposte per lo sviluppo e il perfezionamento della legislazione vigente.

Nominato con decreto del ministro del Lavoro e delle politiche sociali, si occupa da anni di politiche per la sicurezza in quanto esperto in contrattazione collettiva, mercato del lavoro e discipline  giuridico prevenzionali,

Accanto ad importanti incarichi istituzionali da qualche anno coordina anche il Comitato Scientifico di Aifes,  ( www.aifesformazione.it, una delle più qualificate associazioni professionali di formatori ed esperti in sicurezza.

La redazione de ilfaro24.it ha posto a Paolo Varesi alcuni quesiti relativi alla sicurezza dei lavoratori nei nostri giorni.

 

Paolo Varesi (1)Paolo,  malgrado si parli molto di sicurezza nei luoghi di lavoro,  le cronache quotidiane ci restituiscono la fotografia di un paese flagellato da morti ed infortuni gravi.

Cosa non funziona nel sistema prevenzionale?

 

È vero, i numeri restano inesorabili come confermano i dati Inail: il 2016 ha registrato 42.919 denunce di infortunio, di questi 1018 sono stati mortali,  a cui si aggiungono 60.347 denunce di malattia professionale.

Un quadro allarmante che non tende a diminuire, malgrado gli sforzi da ogni parte, i controlli sempre più pressanti e una aumentata sensibilizzazione per i rischi di lavoratori ed imprese.

I lavoratori di sesso maschile nella fascia di età tra i 55 e 64 anni sono risultati i più vulnerabili a conferma che l’età e l’esperienza non sempre aiutano, ma al contrario possono rappresentare fattori di rischio determinanti.

Credo che la caratteristica  del nostro sistema economico, costituito prevalentemente di micro e piccole imprese, difficili da controllare e soprattutto gestite “in economia”  sia alla base del problema.

 

Quanto gioca il ruolo della formazione nella prevenzione degli infortuni?

 

Moltissimo, anzi credo sia determinante, in quanto solo attraverso una formazione di qualità si riescono ad individuare ed abbattere i rischi propri di ogni attività lavorativa, sia essa anche la più sicura in apparenza. Ciò in quanto molte attività, anche se hanno una bassa incidenza in termini infortunistici in realtà, nel corso del tempo,  possono avere come conseguenza gravi malattie.

 

E’ importante “per chi fa sicurezza” nel ruolo di consulente avere competenze necessarie ed un curriculum rispettabile?

 

La competenza è alla base di ogni attività lavorativa, lo è ancor di più per coloro che operano nel settore della consulenza prevenzionale,  in quanto da loro dipendono le scelte del datore di lavoro e spesso la salute dei lavoratori. La legge prevede che le figure più importanti del sistema prevenzionale abbiamo specifici e qualificati titoli di studio e adeguati percorsi formativi. Il problema è mettere i datori di lavoro nella migliore condizione di poter seriamente valutare questa professionalità, spesso semplicemente dichiarata. Non a caso Aifes rilascia ai propri professionisti una dichiarazione legale con la quale attesta di aver verificato la qualità  dei titoli posseduti  ed una ulteriore dichiarazione in merito alla  correttezza commerciale operata dai propri associati. È un servizio molto apprezzato perché aiuta a scegliere meglio i propri consulenti.

 

Paolo Varesi (3)Spesso si legge che nelle piccole aziende la sicurezza dei lavoratori viene trascurata, anche per mancanza di fondi economici, qual è di preciso la situazione italiana?

 

È un dato veritiero dovuto principalmente alla non conoscenza delle norme prevenzionali da parte dei piccoli imprenditori. Mi spiego meglio: mentre per qualsiasi lavoratore la legge richiede  obbligatoriamente almeno 8 ore di formazione, in cui si spiegano le basi della prevenzione e i rischi presenti nel luogo di lavoro , ai datori non è richiesta la minima competenza in merito. Questo determina una forte distonia informativa e resistenza a comprendere l’importanza della prevenzione. Secondo la logica del d.lgs.81/2008 il datore di lavoro è il “deus ex machina” della prevenzione, come può esercitare questa grande responsabilità senza la minima compete sa in materia? Richiamo in tal senso quanto recita l’art.2087 del codice civile: ” l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.” Il datore di lavoro deve adottare tutte le misure idonee a prevenire sia i rischi insiti all’ambiente di lavoro, sia quelli derivanti da fattori esterni e inerenti al luogo in cui tale ambiente si trova, atteso che la sicurezza del lavoratore è un bene di rilevanza costituzionale che impone al datore di anteporre al proprio profitto la sicurezza di chi esegue la prestazione.

Come pensiamo di salvaguardare questo importante e principio se per per aprire una attività non iene richiesta la minima  conoscenza delle responsabilità in capo ai datori di lavoro?

Inoltre la dimensione delle imprese ( micro e piccole) presenta dinamiche economiche molto complesse che risentono anche del costo per la sicurezza, per questo sono necessarie agevolazioni di  carattere fiscale.

 

Se questo è il problema, che appello farebbe alle piccole imprese?

 

Il primo appello lo voglio rivolgere alle istituzioni che dovrebbero provvedere tempestivamente a colmare il gap informativo di cui abbiamo parlato in modo che tutti i datori di lavoro e con essi i lavoratori autonomi vengano recuperati tempestivamente. Poi direi loro di affidarsi a professionisti seri selezionandoli in base al curriculum e non al prezzo offerto. Un prezzo basso è indice di scarsa professionalità. Sono tre semplici consigli che valgono tanto per le imprese e per i lavoratori.

 

Lo Stato potrebbe venire più incontro alle imprese virtuose che tutela la salute e la sicurezza dei propri lavoratori?

 

Certo che si, anche se in qualche modo lo fa attraverso l’Inail. Credo però che ulteriori sgravi fiscali in capo al datore di lavoro che dimostra di adottare un efficace modello di prevenzione e protezione nell’ambito della propria impresa possa aiutare concretamente soprattutto le piccole imprese su cui i costi della prevenzione spesso gravano in modo eccessivo.

 

Chi può aiutarci a far comprendere l’importanza del tema ai tanti datori di lavoro che ci leggono, con curiosità?

 

In questa materia, un ruolo importante lo giocano i consulenti fiscali e del lavoro, ovvero quei professionisti che rappresentano l’anello di congiunzione tra le novità normative e le imprese. Loro per primi dovrebbero manifestare maggiore interesse nei confronti di questa tematica che invece viene trascurata in forza del fatto che per le imprese sono a  10 dipendenti si possano utilizzare procedure semplificate per la redazione del documento di valutazione del rischio. È un errore di impostazione culturale pensare che piccola impresa significhi piccolo rischio. È vero il contrario e i dati Inail lo dimostrano.

Per concludere quella della maggiore prevenzione è una battaglia che si combatte tutti insieme, ognuno per propria parte. Se mi si comprende questo a poco valgono gli appelli alla responsabilità lanciati in occasione delle tante disgrazie che la cronaca ci racconta quotidianamente.

 

Paolo Varesi

Membro Commissione Consultiva permanente Ministero Lavoro

Esperto in contrattazione collettiva, mercato del lavoro e discipline  giuridico prevenzionali

cell.3451036586 – mail:  [email protected]

Twitter @VaresiPaolo

Linkedin: Paolo Varesi

 

 

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