” fredda la terra, fredda una medaglia, freddo il vuoto della tua assenza, l’unico calore che accolgo è il ricordo” (Cicchetti Ivan)
MICHELE DEL GRECO
Padre di quattro figli, dopo l’armistizio collaborò con la Resistenza dando aiuto ai prigionieri alleati fuggiti dai campi di concentramento. Il 22 novembre 1943, il pastore abruzzese fu arrestato dai tedeschi che, con un espediente, avevano avuto conferma del suo impegno umanitario. Interrogato e, infine, rinchiuso nel carcere della Badia, a Sulmona, Michele Del Greco fu processato dai tedeschi e condannato a morte. Inutile la domanda di grazia presentata dai famigliari del generoso pastore: Del Greco fu fucilato nel cortile del carcere. Nel 62° della Liberazione, durante la VII edizione della Marcia internazionale “Il sentiero della libertà” (che si svolge in Abruzzo e che in tre giorni vede i cinquecento partecipanti raggiungere Casoli con partenza da Sulmona), Michele del Greco è stato commemorato all’Abbazia Celestiniana. Era presente una delle figlie del pastore, Raffaella, che sul martirio del padre ha scritto un libro dal titolo Quei lunghi trenta giorni.
SERGIO DE VITIS
Dopo aver frequentato l’Accademia di Modena e la Scuola centrale militare di Aosta, De Vitis aveva partecipato alle operazioni militari in Montenegro. L’8 settembre 1943 era stato rimpatriato e si era subito collegato ai partigiani in Piemonte. Nominato comandante di una Divisione partigiana, la 43a, (che dopo la sua morte ne avrebbe assunto il nome), De Vitis, per rifornire i suoi reparti di esplosivi e di armi, decise di attaccare una polveriera a Sangano. Era il 26 giugno del 1944 e i partigiani incontrarono una resistenza non prevista. A rendere più drammatica la situazione, sopraggiunsero reparti tedeschi fortemente armati. Per quattro ore i partigiani fronteggiarono il nemico. Infine De Vitis cadde, con un pugno di suoi uomini, per consentire lo sganciamento del grosso della formazione. La Medaglia d’oro alla memoria gli è stata concessa con questa motivazione: “Comandante di elette virtù militari, combattente di leggendario valore, in numerosi aspri combattimenti infieriva duri colpi al nemico, catturando interi presidi e facendo cospicuo bottino di materiali da guerra. Durante un audace attacco ad una polveriera, sopraffatto da forze nemiche accorse di rinforzo, sosteneva per quattro ore una impari lotta, finché, costretto a fare ripiegare il proprio reparto, rimaneva con pochi compagni a proteggere il movimento. Dopo avere strenuamente lottato fino all’ultima cartuccia, cadeva in mezzo ai suoi uomini stretti intorno a lui nell’epica difesa. Il nemico, ammirato da tanto valore, gli dava onorata sepoltura ed inviava il drappo per avvolgere la salma”.
VERMONDO FEDERICO
Era stato chiamato alle armi pochi mesi prima dell’armistizio ed assegnato all’11° Reggimento di Fanteria “Forlì”. Dopo l’8 settembre 1943 entrò nella formazione partigiana “Giacomo Leopardi”, operante a nord di Pescara, distinguendosi per la sua audacia. Catturato dai tedeschi nel giugno del 1944 e condannato a morte, il ragazzo si lanciò contro il plotone di esecuzione, consentendo la fuga di alcuni suoi compagni. Dice la motivazione della ricompensa alla memoria: “A capo di una banda di partigiani, ha strenuamente lottato contro le truppe tedesche finché, catturato e messo al muro insieme ad altri compagni per essere passato per le armi, non si dava per vinto, ma con un gesto di sublime follia, si scagliava armato soltanto della volontà e della fede contro il plotone di esecuzione. Col gesto disperato che gettava lo scompiglio nelle file dei carnefici, egli dava a sé stesso la morte degli eroi, ai compagni la salvezza e la libertà”.
ALDO DI LORETO
Era andato volontario in Africa Orientale e, in seguito, era diventato l’ufficiale medico dell’aeroporto di Centocelle. L’8 settembre 1943, all’annuncio dell’armistizio, si trovava a casa in licenza di convalescenza. Decise subito di impegnarsi contro i tedeschi e si diede ad organizzare una formazione partigiana nell’Aquilano. Catturato dagli occupanti durante una delle tante azioni, Di Loreto fu condannato a morte e fucilato. Questa la motivazione della massima ricompensa al valore: “Ufficiale medico di alto valore professionale e di brillanti doti militari, organizzava dopo l’armistizio una banda armata che, nelle montagne abruzzesi, esplicò continua azione di sabotaggio interrompendo collegamenti telefonici tra batterie antiaeree tedesche, effettuando sbarramenti stradali, distruggendo teleferiche adibite al trasporto di munizioni in montagna, aiutando i prigionieri alleati a passare le linee. Catturato da una pattuglia tedesca veniva, dopo sommario processo, condannato a morte. Calmo e sereno rifiutava con fiero stoicismo di essere bendato e dopo di avere indicato al plotone di esecuzione di mirare al cuore, cadeva senza fremito al grido di: ” Viva l’Italia “. Fulgido esempio di puro eroismo che continua e rinnova la tradizione dei martiri del nostro Risorgimento”.
DOMENICO DI MARCO
Morto proprio nel giorno del suo diciassettesimo compleanno, combattendo contro i tedeschi a fianco dei francesi, Di Marco è uno dei più giovani eroi della Resistenza italiana. Il ragazzo, studente del Liceo “Leonardo da Vinci” di Roma, quando i tedeschi abbandonarono la Capitale decise di raggiungere la Francia. Qui si unì ai reparti delle Forces Francaises de l’Intérieur, distinguendosi subito per il suo coraggio. La Repubblica francese ha conferito a Domenico Di Marco le più alte decorazioni, tra cui la Croce di guerra con palme e la Croce di guerra con stella. La Repubblica italiana lo ha decorato alla memoria con questa motivazione:”Eroe sedicenne, animato da ardente spirito volontaristico, non pago di quanto aveva fatto contro l’oppressore, partiva da Roma ormai liberata per proseguire nella lotta contro l’odiato nemico. Profondendo il suo giovanile ed italico entusiasmo in terra di Francia, ivi faceva rifulgere l’eccezionale coraggio del combattente italiano, imponendosi quale luminoso esempio di belle virtù militari. Durante un cruento ed accanito scontro contro forze nemiche forniva ripetute prove di capacità e coraggio tenendosi fermo ed incrollabile al suo posto di dovere, volontariamente assunto, ed imperterrito ed incurante dell’intenso fuoco nemico con contegno improntato alla massima fermezza reagiva con la propria arma infliggendo all’avversario gravi perdite. Con impareggiabile coraggio incitava i compagni a persistere nella più strenua lotta imprimendo vigore con il suo eroico esempio e nelle luci della vittoria immolava la sua vita per i migliori destini dei popoli oppressi confermando agli alleati le salde virtù dell’italica gente che perpetua, ovunque, le sue gloriose tradizioni”.
( a cura di Cicchetti Ivan)