” il freddo della notte restava impresso per anni, per decenni, nella morte” ( Cicchetti Ivan)
ANTONIO GADIN
Si era laureato in Lettere e, dopo aver frequentato l’Accademia militare di Modena aveva partecipato alla Guerra italo-turca e alla Prima guerra mondiale. Durante la battaglia del Piave, Gandin era ufficiale di stato maggiore divisionale. Nel primo dopoguerra ebbe incarichi al ministero della Guerra, insegnò in diverse Scuole militari e quando scoppiò il secondo conflitto mondiale si trovava, come generale di Divisione della “Acqui”, a presidiare l’isola di Cefalonia. All’annuncio dell’armistizio, convinto di riuscire ad evitare uno scontro sanguinoso con i tedeschi, avviò trattative con il comando del presidio tedesco dell’isola, forte di circa duemila soldati. Ma i suoi ufficiali e i suoi soldati erano decisi a battersi contro i nazisti, anche con la collaborazione dei partigiani greci. Nei combattimenti che si svilupparono tra il 15 e il 22 settembre 1943, gli italiani riuscirono a costringere i tedeschi ad abbandonare l’isola. Ma i nazisti, tornati in forze e col massiccio appoggio dell’aviazione, riuscirono ad avere il sopravvento. Impossessatisi di Cefalonia diedero il via alla strage dei militari italiani caduti nelle loro mani. A Gandin fu negato anche di poter morire con i suoi uomini. Al momento della fucilazione, il generale lanciò sprezzante, contro l’ufficiale che comandava il plotone di esecuzione, una decorazione germanica che aveva guadagnato sul campo di battaglia. Questa la motivazione della Medaglia d’Oro al Valor Militare concessa alla memoria del generale Gandin: “In difficile situazione politico militare, quale comandante della difesa di un’isola attaccata con forze preponderanti dal mare e dal cielo, riusciva con le poche forze a sua disposizione in un primo tempo a stroncare l’azione nemica, successivamente a contenere palmo a palmo l’avanzata dell’avversario sempre crescente in forze, animando col valore e con la capacità personale le sue truppe, fino alle estreme possibilità di resistenza. Catturato dal nemico coronava, col supplizio stoicamente sopportato, l’eroismo e l’alto spirito militare di cui aveva dato luminosa prova in combattimento”. Al generale Gandin sono state intitolate strade e scuole ad Avezzano e in altri Comuni italiani. Porta il suo nome anche la caserma che, dal 1959, ospita a Roma il 1° Reggimento Granatieri di Sardegna.
ALFREDO GRIFONE
Giovane antifascista, nel 1941 fu chiamato alle armi e prestò servizio presso il 12° Centro automobilistico. Dopo l’8 settembre 1943 prese parte alla guerra di Liberazione nelle file della Resistenza abruzzese. La motivazione della massima ricompensa al valor militare conferita alla memoria di Grifone ricorda che il giovane operaio “aderiva subito al movimento partigiano adoperandosi attivamente per procurare, alla formazione a cui apparteneva, nuove armi, munizioni e mezzi di trasporto. In ogni circostanza, sfidando pericoli di ogni genere nell’impari lotta, era di esempio ai suoi compagni per ardimento, senso del dovere e dedizione alla causa della libertà”. La motivazione così prosegue: “Attivamente ricercato per le gesta compiute e braccato da vicino, riusciva sempre a sfuggire alla cattura; avendo, però, saputo che i tedeschi avevano arrestato numerosi giovani del luogo, fra cui i suoi due fratelli, ritenuti direttamente responsabili delle azioni di guerra da lui compiute, non esitava a presentarsi spontaneamente al comando germanico chiedendo la liberazione dei prigionieri ed assumendosi la piena responsabilità delle azioni compiute. Processato e condannato a morte con altri otto compagni, veniva obbligato ad assistere alla fucilazione di questi ed a trasportarne i cadaveri nelle rispettive fosse. Giunto il suo turno, rifiutava di essere legato e bendato, affrontando stoicamente il plotone di esecuzione al grido di «Viva l’Italia!»”. Alla data dell’11 febbraio 1944 è intitolata, a Pescara, la scuola elementare di via Colle Pineta, che ha preso ufficialmente questo nome dal 1998. Nel cortile della scuola un cippo ricorda, con Alfredo Grifone, il fratello Aldo, Pietro Cappelletti, Nicola Cavorso, Massimo Beniamino Di Matteo, Raffaele Di Natale, Stelio Falasca, Vittorio Mannelli e Aldo Sebastiani, fucilati in una cava di argilla. Per intercessione di un prelato, i tedeschi avevano infatti rinunciato all’impiccagione dei condannati ed avevano trasformato in 30 anni di reclusione, da scontare in Germania, la pena per Guido Grifone, Giovanni Potenza e Floriano Finore. All’eccidio assistettero due rappresentanti della RSI.
TRENTINO LA BARBA
La motivazione della massima ricompensa al valore concessa alla memoria di Trentino La Barba dice: “Nobilissima tempra di patriota, si votava tra i primi con purissima fede e straordinario coraggio alla lotta armata contro l’aggressione nazi-fascista. Sfuggito dalla prigionia in Germania e rientrato in Lanciano aderiva con entusiasmo al movimento insurrezionale lancianese. Durante un’azione di sabotaggio, che aveva procurato gravi danni al nemico, dopo aver brillantemente dimostrato coraggio e personale valore, veniva catturato. Sottoposto ad estenuanti interrogatori e torture, non rivelava i nomi dei capi del movimento chiudendosi in un generoso mutismo. Il suo fiero contegno esasperava gli aguzzini che barbaramente gli strappavano gli occhi prima di trucidarlo. Eroico luminoso esempio di virtù militari e di assoluta dedizione alla Patria”. L’8 settembre del 1943, questo giovane lancianese di origine contadina, si trovava – dopo aver combattuto in Albania come mitragliere del 226° Reggimento fanteria della Divisione “Arezzo”- presso il deposito reggimentale di Molfetta (Bari). Catturato con i suoi commilitoni ed avviato verso la prigionia in Germania, La Barba riuscì a fuggire e a raggiungere fortunosamente il suo paese. A Lanciano il giovane si impegnò nella Resistenza e fu tra gli organizzatori delle prime bande partigiane “Gran Sasso”, che diedero subito molto filo da torcere ai tedeschi. Il 4 ottobre La Barba, dopo aver assaltato con i suoi compagni le caserme dei carabinieri, della guardia di finanza e della milizia ed essersi rifornito di armi, attaccò in contrada Pozzo Bagnaro una colonna motorizzata germanica mettendo in fuga i soldati tedeschi. Stava compiendo un altro analogo assalto, quando fu catturato dagli occupanti che, dopo averlo inutilmente torturato per ottenere informazioni, lo caricarono su un camion e, per terrorizzare la popolazione, lo portarono a Lanciano, nel viale dei Cappuccini. Qui il valoroso giovane fu legato ad un albero e i tedeschi gli intimarono ancora una volta di parlare. Di fronte al silenzio di La Barba, i tedeschi gli cavarono con un pugnale gli occhi dalle orbite e poi lo finirono a colpi di pistola. Ne ottennero la reazione popolare, che divampò a Lanciano la sera del 5 ottobre e si protrasse per tutta la giornata successiva, in decine di scontri tra i cittadini male armati e i soldati. Il bilancio fu di quarantasette morti tra gli occupanti, dieci partigiani caduti e altre dodici vittime delle successive rappresaglie dei nazifascisti. Lanciano (che è stata poi decorata di Medaglia d’oro), fu messa a ferro e a fuoco e quando, due mesi dopo, gli Alleati giunsero in città, i lancianesi furono sottoposti per mesi e mesi a bombardamenti aerei tedeschi, che fecero altre cinquecento vittime.
EPIMENIO LIBERI
Aveva partecipato come sottufficiale alla seconda guerra mondiale e, all’armistizio, i suoi sentimenti antifascisti lo spinsero, prima a battersi per la difesa di Roma, a Porta San Paolo, e poi ad entrare nelle file del Partito d’Azione. Aggregatosi alle bande partigiane del Monte Soratte, Liberi cadde nelle mani dei tedeschi qualche giorno prima del Natale del 1943. Tradotto nel carcere di via Tasso, il giovane partigiano vi fu a lungo torturato e poi trasferito a Regina Coeli. Qui Liberi apprese che la moglie, Giovanna, gli avrebbe dato un terzo figlio. Ma lui non l’avrebbe mai visto. Ebbe tempo di parlarne a don Giuseppe Morosini, conosciuto in carcere, e il sacerdote, che sarebbe stato ucciso dai fascisti pochi mesi dopo, scrisse per il nascituro una “Ninna nanna”, poi divenuta celebre. Epimenio Liberi fu fucilato alle Fosse Ardeatine.
EMILIO LOPARDI
Era appena diciassettenne quando, a L’Aquila e nelle località vicine, fondò le prime Sezioni socialiste. Nel 1898 (governo Crispi), subì la sua prima condanna e nello stesso anno l’elezione a consigliere e assessore del Comune abruzzese. Per diversi anni vice presidente di quel Consiglio provinciale, nelle Legislature XXV, XXVI e XXVII, Leopardi fu deputato socialista. Nel novembre 1926 fu dichiarato decaduto con gli altri 119 deputati dell’opposizione aventiniana e da allora, nonostante le violenze fasciste, non rinunciò mai alla difesa in tribunale degli antifascisti perseguitati. Dopo l’8 settembre 1943 fu membro attivo del CLN dell’Aquila e dopo la Liberazione resse quella prefettura. Membro della Consulta ed eletto deputato socialista alla Costituente, Emilio Lopardi (al quale, prima del disastroso terremoto, fu intitolata una via dell’Aquila), ha militato sino alla scomparsa, nel partito che tanto aveva contribuito a costruire in Abruzzo.
( a cura di Cicchetti Ivan )