Di Valeria Mancini
( Accademia Primo Levi)
Mansplainingè una parola diffusa nelle riflessioni sulla lotta di genere ormai già da anni, ma che in Italia non ha ancora una traduzione precisa e descrive un fenomeno del quale, forse, non si ha piena consapevolezza dalle nostre parti.
La parola è formata da “man” uomo e il verbo “explain” spiegare. Federica Giardini, docente di Filosofia Politica dell’Università di Roma tre ha definito il fenomeno come “una postura maschile nell’interlocuzione pubblica con le donne”, mentre Giovanni De Mauro ha approfondito il concetto in un suo editoriale definendo il mainsplaining come l’atteggiamento paternalistico di un uomo quando spiega ad una donna qualcosa di ovvio o di cui lei non è esperta, con il tono di chi parla ad una persona stupida o che non capisce.
La definizione migliore, stando all’Urban Dictionary, è questa: «provare piacere nel dare spiegazioni arroganti e imprecise, offerte con l’assoluta certezza del proprio avere ragione, perché in una conversazionesi è l’uomo».
In politica, in particolare, si incontrano puntualmente uomini che nel corso di una riunione di partito, in un incontro pubblico o durante una chiacchierata informale, spiegano ad una donna qualsivoglia argomento convinti di saperne di più. In generale, alla maggior parte delle donne impegnate in politica è capitato di ricevere spiegazioni non richieste, che generano un senso di inadeguatezza dovuto alla mancata percezione del proprio valore o peggio nel vedere la propria intelligenza non stimata.
Come in tutti i fenomeni culturali o di costume, i social rappresentano un serbatoio inesauribile dal quale attingere esempi più o meno palesi di mansplaining misti ad analfabetismo funzionale. Uno dei casi recenti e più emblematici è rappresentato dal tweet di un certo Casey O’Quin, un tizio qualunque che ha sentito l’esigenza di spiegare un principio di Fisica all’astronauta americana Jessica Meir, rea evidentemente di essere donna.
Alcuni uomini adottano comportamenti inconsapevoli di ogni tipo per sentirsi superiori, più forti e più potenti, pensando erroneamente di sapere cose che le donne non sono in grado di comprendere e senza farsi problemi, iniziano a spiegarle. La sopraffazione e la violenza di genere si esplicano anche in atti sottili, reiterati e subdoli perché socialmente tollerati da tutti, donne comprese, sottovalutandone l’impatto.
Rebecca Solnit, scrittrice e giornalista americana classe 1961, ha pubblicato una raccolta di saggi nella quale traccia le sue “riflessioni sulla sopraffazione”: dall’abitudine dei maschi di fare sfoggio dell’autorità e denigrare l’esperienza femminile, fino alle allusioni sessuali e all’invito alle ragazze a vestirsi adeguatamente per evitare di essere molestate. Tutte strategie per mettere in dubbio la credibilità delle donne e dominarne il corpo.
Uno schema ricorrente che gli uomini sono abituati ad applicare e le donne a sperimentare sulla loro pelle fin da piccole, abituate a essere interrotte durante un discorso perché la credibilità della loro esperienza deve essere inferiore rispetto a quella di un maschio. I tre tipi di mansplainer che possiamo incontrare sulla nostra strada, oltre ai dispensatori di consigli non richiesti, sono:
Quelli che “sei troppo emotiva per affrontare i fatti”;
Quelli che “sei un agnello nella giungla, lascia che ti indichi la strada”;
Quelli che “non sono misogino, chiedilo alla mia signora”;
A ben vedere un esercito indistinto che ci circonda e contro il quale dovremmo armarci di amor proprio.
Interrompere un mansplainer che a sua volta ha interrotto noi convinto di poterci spiegare come va il mondo con atteggiamento paternalistico è un primo passo, più complesso è pretendere di iniziare una conversazione o un confronto con la consapevolezza di essere “tra pari”.