Sig. Sindaco
E’ un dibattito strabico quello sull’università di Avezzano. Da una parte Lei espone i dati nudi e crudi dei costi sostenuti dai cittadini di Avezzano, dall’altro chi, con argomentazioni suggestive, ne giustifica la sopravvivenza e ne vorrebbe potenziare la presenza addirittura ospitando anche una facoltà di agraria o percorsi simili. Fa bene ad aprire un dibattito e noi ci saremo.
Nessuno per la verità risponde alle sue domande con riflessioni compiute e sul perché del calo drastico degli iscritti, quest’anno appena 20 matricole come si legge nel reportage del Centro del 5 Giugno scorso. Colpa della città che non offre servizi adeguati agli studenti? Colpa della didattica non all’altezza del rango universitario? Colpa degli indirizzi di laurea che non danno titoli spendibili sul mercato del lavoro? O semplicemente perché il modello delle sedi decentrate è superato?
Secondo il mio modesto parere Università così piccole e decentrate non sono giustificate e non dovrebbero essere considerate come una coccarda per impreziosire una città di provincia, perché non danno agli studenti quello di cui hanno bisogno come il respiro di comunità eterogenee e multiculturali, la facilità di creare lo scambio di esperienze, un’attività di ricerca che strutture così piccole non possono offrire.
Il programma Erasmus, del resto, è stato pensato nel 1969 e attuato nel 1987 molto prima dei social e della globalizzazione, per cui in un mondo che incoraggia il senso di comunità tra gli studenti appartenenti a paesi distinti, distanti e diversi, che senso ha insistere su un progetto partito nel lontano 1975 in una città che, evidentemente, non ha saputo creare le condizioni per il suo sviluppo.
Se l’Università è una questione economica per le famiglie questa non è una buona ragione per aprire centinaia di sedi distaccate che, insieme anche quelle on line, sviliscono la didattica, la ricerca e dequalificano ulteriormente la preparazione degli studenti. Proprio il contrario di quello che serve e di cui la società ha bisogno.
In Italia si dice che ci sono troppo pochi laureati ed anche questi pochi non hanno, in linea di massima, una preparazione adeguata. Certamente non fanno testo i bravi che storicamente ci sono sempre stati e che mai come in questi tempi ci vengono sottratti o sono costretti a emigrare all’estero proprio per il sistema dell’appiattimento, della raccomandazione e del non riconoscimento del merito che vige nel nostro paese.
Da Agronomo e Direttore di Confagricoltura, infine, sono sempre stato contrario a una facoltà di agraria o similari proprio per le ragioni suddette. Occorrerebbe risollevare le sorti di quelle poche facoltà di agraria ora decadute proprio per il proliferare di sedi distaccate e improbabili e fantasiosi percorsi di studio.
Le imprese agricole e tutte le attività sociali non hanno bisogno di titoli e di pezzi di carta ma di giovani intraprendenti, preparati, aperti al mutevole mondo che cambia quotidianamente.
Stefano Fabrizi
Direttore Confagricoltura L’aquila