Di Valeria Mancini
(Accademia Primo Levi)
Il Decreto di legge “Pillon” prende il nome dal suo primo firmatario, l’avvocato bresciano Simone Pillon, già organizzatore del Family Day e di professione “mediatore familiare” noto per le sue posizioni contro unioni civili, teorie gender e aborto.
La proposta di legge prevede di modificare le norme sull’affido e si rifà ai punti programmatici sul diritto di famiglia contenuti nel contratto di Governo firmato da Lega e Movimento Cinque Stelle. Da tempo la rete dei Centri anti-violenza e altre realtà sociali hanno lanciato l’allarme contro il ddl n. 735/2018, ritenendolo una retrocessione politica e culturale.
Simona Polla, assistente sociale specialista con formazione sulla violenza di genere è attivista dell’ONG “Differenza Donna” ci aiuterà a capire i risvolti reali sulle famiglie e sulle donne vittime di violenza domestica che intendono separarsi dal compagno violento.
Differenza Donna è un’organizzazione impegnata a combattere la violenza di genere attraverso un impegno politico attivo e una serie di progetti dedicati: dalla formazione nelle scuole alla gestione di case rifugio e centri antiviolenza, da progetti internazionali all’impegno negli ospedali grazie all’attivazione del “Codice Rosa” in pronto soccorso per le donne vittime di violenza.
Simona ci fornirà dei chiarimenti sugli effetti del DdL Pillon sulle madri vittime di violenza domestica e sull’affidamento dei figli. Per rispondere all’aberrante esternazione “se l’è cercata” che troppo spesso ci tocca sentire a corredo dei fatti di cronaca nera e di femminicidio, ho chiesto a Simona Polla di tracciare un profilo tipo di donna vittima di abusi, ovviamente la mia è una domanda provocatoria:
la violenza è un fenomeno trasversale e transculturale per cui non esiste un profilo tipo, le donne che si rivolgono a Differenza Donna sono italiane con mariti italiani di ogni estrazione sociale anche se si registra una percentuale minoritaria di donne immigrate.
In maniera schematica, Simona illustra così le criticità del DdL Pillon:
-introduce la mediazione civile obbligatoria e a pagamento, anche nei casi di separazione consensuale, se i figli sono minorenni e la mediazione con ex mariti violenti è totalmente inefficace dato che viene dalla fonte esperienziale delle lotte legali nei tribunali.
– Impone tempi paritari di visita ai figli, in nome della cosiddetta bigenitorialità, secondo la quale i figli devono trascorrere pari tempo con i genitori, almeno 12 giorni (e notti) consecutivi. I figli vittime di violenza assistita nella maggior parte dei casi hanno paura del padre che li espone a pericoli gravi per la loro crescita fisica e psichica.
– Il mantenimento diretto dei figli, con i genitori obbligati a fare un piano delle spese davanti al mediatore familiare. Spesso la donna è stata vittima anche di violenze economiche per cui costretta a non lavorare e questo risulta un deficit per lei.
– Nessuna tutela contro la violenza in famiglia: il rifiuto di un figlio a voler vedere uno dei genitori viene considerato come alienazione da parte dell’altro genitore, che può essere punito per questo.
Spesso sono invece le donne a sentirsi in colpa per aver tolto un padre al loro bambino e volere che lo vedano, mentre questi si rifiutano.
– Chi resta nella casa familiare è costretto a pagare l’affitto all’altro genitore che esce di casa.
– Chi non mantiene i figli non è più soggetto a punizioni perché non è più reato sottrarsi agli obblighi economici verso i figli.
La mediazione obbligatoria espone noi donne ad un ulteriore attacco alla nostra sfera emotiva, costringendoci a dover mediare con omuncoli che ci hanno massacrate, un uomo violento è un prevaricatore e non un soggetto in grado di ragionare.
La bigenitorialità prevista dalla legge è un’arma per un uomo che massacra la propria compagna di vita davanti ai figli, proponendo loro un sistema educativo che giustifica e tollera la violenza domestica come corollario di una vita in famiglia. Il decreto parrebbe riconoscere i maltrattamenti in famiglia solo se sistematici ossia se si traducono in una tortura quotidiana, quando invece le sentenze di condanna per maltrattamenti degli ultimi venti anni hanno dimostrato che l’autore di violenza alterna momenti di false riappacificazioni, quindi il concetto di maltrattamento sistematico oltre ad essere inesistente nella realtà è una vera e propria condanna a morte tra le mura domestiche.
Che fare?