Quando si affida alle parole la banale semplificazione della realtà, la complessità diventa un esercizio contro la stupidità. Durante la fase più acuta della pandemia , in una condizione di lock down stringente e a volte pesantemente stravolgente, l’uso di slogan e soprattutto di parole come “guerra”, “ eroi” e via di questo passo, più che evocare solidi simboli in cui riconoscersi è servito solo a mascherare quello che la realtà nascondeva dietro le quinte .
Il linguaggio dunque costruisce e definisce gli elementi concettuali e simbolici del mondo in cui viviamo ma in questo caso ci offre espedienti metaforici per un racconto che ha in sé significati che spesso non vogliamo vedere . Dietro ad alcuni parole si nascondono scenari che non vogliamo vedere, che non vogliono farci vedere. Perché propongono una narrazione diversa dalla realtà che non ci aiuta nella sua conoscenza e interpretazione. E’ per esempio il caso della parola “ guerra”
Scrive Pasquale Pugliese (1) a proposito dell’uso della parola guerra nei confronti del virus : “Il paradigma della guerra, invece, è il più banale degli schemi, la semplificazione estrema, la certezza assoluta: la riduzione del fenomeno a mera dicotomia di potenza – tra noi e il nemico – che perde di vista l’interconnessione tra le persone e tra le persone e la natura, ossia l’eco-sistema e le sue interazioni. Usare la narrazione sbagliata significa dunque costruire immaginari e narrazioni fallaci, che portano fuori strada e non aiutano a identificare e costruire soluzioni efficaci e durature.”
Parola, “guerra” che ha permesso non solo una narrazione fallace in quanto qui non si combatteva contro un nemico seppure invisibile ma si doveva soltanto prevedere e curare una malattia virale che rappresenta una delle centinaia di possibilità negative in tema di salvaguardia della salute che il nostro organismo deve affrontare. Si trattava di affrontare un problema di sanità pubblica intesa appunto come conservazione della salute . Non solo una narrazione fallace ma anche una narrazione pretestuale perché quando si parla di guerra si evocano battaglie, militarizzazioni , assedi ,caduti. La lotta al virus da elemento naturale indifferente al genere umano, da studiare e rendere innocuo mettendo in sicurezza le persone dal contagio reciproco è diventato lo strumento per coinvolgere una serie di scenari che probabilmente potevano essere narrati in un altro modo . Per esempio valorizzando ancor più le competenze, e soprattutto ripristinando , a pandemia meno accentuata , quei livelli di assistenza sanitaria che le varie riforme in questo settore hanno progressivamente abbassato.
Dunque la guerra ad un “ alieno” : un virus venuto da chissà dove , tesi che ha alimentato i migliori grovigli “complottisti”. Disconoscendo che il virus non è proprio del tutto “ cinese “ in quanto pur essendo forse di importazione è comunque il frutto di quella sfrenata globalizzazione della quale anche noi in parte siamo responsabili . Una globalizzazione che ha comportato e comporta non solo una circolazione di persone e merci in tutto il mondo ma soprattutto l’aggressione all’eco-sistema con le deforestazioni e con gli allevamenti intensivi diffusi su tutto il pianeta . Per non considerare altre cause come l’inquinamento ambientale..
Continua Pasquale Pugliese sul blog vita.it : “Il filosofo Giorgio Agamben ed altri hanno messo in guardia contro lo “stato di eccezione” permanente nel quale rischiano di precipitare le procedure democratiche investite dalla pandemia. Ebbene, quanto più l’impegno per debellare la malattia è assimilato ad una guerra, tanto più è “legittimo” sospendere i vincoli democratici per contrastare l’emergenza: la guerra è lo stato di eccezione per definizione. Di fronte allo sforzo bellico ogni scrupolo democratico è considerato cedimento, ogni critica è considerata complicità con il nemico, ogni provvedimento liberticida è dotato di “necessità e urgenza”, come insegna l’Ungheria di Viktor Orbàn. E quanto più profonde e durature saranno queste sospensioni della democrazia, tanto più rischiano di diventare ovunque permanenti.”
Per fortuna nel nostro paese questa estremizzazione ha trovato un valido contrasto nell’azione del Parlamento che seppure con lentezza ha posto in discussione proprio l’iter di certi provvedimenti supportato dalle forse politiche di opposizione che hanno a lungo indicato in quella sede la sede naturale per ricondurre l’esame di ogni problematica relativa allo stato della pandemia. Le comunicazioni del Presidente del Consiglio dei ministri dopo una prima fase in cui sono avvenute prima per conferenza stampa e poi nella sede del Parlamento sembrano avviarsi ad una normalizzazione nel senso che recuperano la funzione centrale e primaria di questo collegio.
Anche perché l’altro vulnus che la pandemia ha provocato sta proprio nella informazione. Proteggere i cittadini potrebbe significare qualche volta nascondere la verità, ovvero proporre una narrazione che salvaguardi la tranquillità. Nascondere notizie che possono turbare le persone e le comunità è spesso in tempo di guerra una necessità . Le conferenze stampa quotidiane dei responsabili della Protezione civile affiancati dai responsabili del gruppo di scienziati che hanno affiancato il Ministero della sanità nella gestione della pandemia sembravano sfatare questa necessità senonchè la secretazione dei verbali di questo comitato e le inchieste della magistratura sembrano deporre a favore di un’azione quanto meno elusiva in tema di informazione. Senza contare la confusione delle posizioni e delle opinioni proprio in merito alla informazione sulla gestione in alcuni territori delle misure di difesa . Va registrato comunque che su richiesta della Fondazione Einaudi alcuni verbali sono stati desecretati e molti auspicano la pubblicazione di tutti i verbali esclusi queloli acquisiti dalla magistratura nella indagine per la mancata istituzione della zona rossa nei comuni di Nembro e Alzano lombardo in Val Seriana.
Una guerra inevitabilmente vive non solo di battaglie , eserciti, ma anche di strategie e di simboli . Tra le strategie c’è anche quella dello spionaggio e del tradimento .Non essere in linea con le azioni e soprattutto con le idee che hanno determinato o determinano proprio quelle azioni significa a volte macchiarsi di tradimento. Che è una vera e propria infamia perché mette a repentaglio i destini della patria e ne potrebbe provocare la caduta. Questa è una narrazione di guerra ma è anche una narrazione che ha diviso le opinione in due tronconi netti : pro e contro con tutte le aggettivazioni dei pro e dei contro. E c‘è anche il mito degli eroi. E proprio a proposito9 di eroi va detto che forse probabilmente ,pur rimarcando l’impegno del personale sanitario bisognerebbe rimarcare la responsabilità di chi negli ultimi dieci anni ha sottratto alla sanità risorse per 37 miliardi e forse ci si dovrebbe domandare per quale pretesa ideologica si sta rinunciando ad altrettanti miliardi che il Mes , uno dei provvedimenti dell’Unione europea, mette a disposizione finalizzati proprio ad aiutare la sanità a ritrovare un ruolo sul territorio con un cambio di passo e in termini più generali di innovazione e adeguamento strutturale.
Una guerra rilancia nell’immaginario collettivo la necessità di un armamento all’altezza dei presunti pericoli per cui legittima ancora una volta la spesa di 26 miliardi di euro per le spese militari , quelle vere , senza metafora , senza porsi minimamente il dubbio che forse una riconversione delle 231 industrie belliche , (per tener conto degli occupati che diversamente perderebbero ogni reddito con gravi riflessi sulla vita delle famiglie e sulle economie locali ) potrebbe rappresentare un punto di forza. Perché con il costo di un solo caccia bombardiere si potrebbero realizzare 1350 letti in terapia intensiva. Armarsi significa in una logica diversa creare le condizioni di protezione in termini di strategia comune per esempio in Europa o di contributo alla pacificazione di certe aree del mondo .
Guido Dotti, monaco della Comuntà di Bose ha scritto : “Non solo i malati, ma il nostro pianeta, tutti noi non siamo in guerra ma siamo in cura.(…) La guerra necessita di nemici, frontiere e trincee, di armi e munizioni, di spie, inganni e menzogne, di spietatezza e denaro. La cura invece si nutre d’altro: prossimità, solidarietà, compassione, umiltà, dignità, delicatezza, tatto, ascolto, autenticità, pazienza, perseveranza”.
Dunque parole come guerra, eroismo, lockdown, ventilatore,autocertificazione . assemblamento hanno narrato la pandemia spesso in un modo diverso da quello che era il suo reale andamento .
Sergio Lubello professore ordinario di Linguistica italiana presso l’Università di Salerno (2) durante il corso Lingua italiana e media per gli studenti del corso di laurea magistrale binazionale, italo-tedesco, lidit (Linguistica e didattica dell’italiano nel contesto internazionale) dell’Università di Salerno, ha fatto con gli 11 studenti del primo anno un’esercitazione sul lessico del periodo della pandemia: 5 parole da scegliere e da commentare, non solo lessico graficamente.
Ecco come descrive la ricerca : “ Alcune parole sono di nota tradizione letteraria (untore), altre dell’uso comune e riadattate o specializzate o risemantizzate (da guanto a mascherina a ventilatore), altre ancora in forma straniera nuove e meno nuove, talvolta inutili anglicismi (eurobond, lockdown, smart working); tanti i tecnicismi medici prêt-à-porter (tampone) o ben acclimatati (sintomo, anticorpi) o più colti (pandemia, interstiziale), mentre sempre confuso e ambiguo, tanto per cambiare, il lessico delle istituzioni e della politica (congiunto, affetti stabili, abitazione, autocertificazione); di alcune parole vince la variante tecnica (focolaio, mentre il focolare richiama bene altre atmosfere), anche in forma di sigle e acronimi sempre più familiari (covid, oms, mes); alcune costruiscono nuovi immaginari (il balcone di Romeo e Giulietta lascia il posto a quello da cui gruppi familiari chiusi in un interno si connettono in canto via etere); altre sono storpiate sulla bocca dei meno colti (assemblamento) o rivelano slittamenti pandemici (una persona positiva è guardata con paura, allontanata), usi metaforici belligeranti (in prima linea, il nemico), anche con un pizzico di prosopopea (gli eroi). E poi ci sono quelle animalesche per nomi collettivi (il gregge immune, non gregge belante o sottomesso, si spera), quelle marziane degli ambienti formativi (dad, fad, call, webinar, teams, zoom), quelle degli affetti – anche instabili, precari, provvisori, in declino e financo illusori – che misurano lo spazio e il tempo che abbiamo vissuto (isolamento, distanziamento); ci sono le parole della speranza (ripartenza, riapertura, calo della curva) e quelle della morte, che – non dimentichiamolo – non sono i gemiti spettacolarizzati dalla tv del dolore, ma riguardano molto da vicino più di 30mila famiglie (urna, decesso, terapia intensiva).
E infine ci sono le parole degli idioletti, quelle con cui alcuni di noi hanno scritto dalla propria specola solitaria; e tra queste la mia preferita, come ho scritto qui il 21 aprile: isolitudine, che rievoca l’immagine solitaria dell’isola e il confine netto tracciato dal mare, e che pure richiama, in absentia, lembi deserti di spiagge da cui l’unica morte osservabile è per fortuna quella del sole al tramonto dietro la linea lontana dell’orizzonte.”
Alcuni studenti poi hanno scelto parole che hanno determinato durante la pandemia a volte sconcerto per i significati che si sono o non si sono voluti attribuire loro. E’ il caso per esempio di “affetti stabili “ e di “ congiunti “ . Una studentessa Candida Marrone che sceglie “affetti stabili “spiega così la sua scelta : “affetti stabili perché, insieme a congiunti, è stata protagonista della grande confusione generatasi dopo che il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha annunciato l’inizio della cosiddetta ‘Fase 2’. Secondo il Dpcm del 26 aprile, infatti, dal 4 maggio è possibile incontrare i propri congiunti. Ma chi sono costoro? Sul sito del Governo, in risposta a una delle faq che chiede delucidazioni in merito, si legge che per congiunti si intendono ‘i coniugi, i partner conviventi, i partner delle unioni civili, le persone che sono legate da uno stabile legame affettivo, nonché i parenti fino al sesto grado (come, per esempio, i figli dei cugini tra loro) e gli affini fino al quarto grado (come, per esempio, i cugini del coniuge)’. Insomma, è possibile incontrare parenti di cui probabilmente non conosciamo neanche l’esistenza, ma ancora non ci è concesso incontrare persone a cui, semplicemente, vogliamo bene. Come se la consanguineità potesse essere l’unico criterio per definire un legame affettivo, e come se questo si potesse misurare in termini di ‘stabilità’. Infatti, non considero un caso che né nel Vocabolario Treccani né nello Zingarelli, nonostante le mille accezioni dell’aggettivo ‘stabile’ negli ambiti più svariati, che vanno dall’architettura alla termodinamica, e gli altrettanti mille esempi, mai venga citato l’aggettivo in questione in riferimento a persone o sentimenti. Sono stabili gli edifici, il clima, un tavolo, un sistema economico, le particelle, le imbarcazioni, un impiego, i ponti. E talvolta neanche quelli. Ma di certo non lo sono le persone. In ultima analisi, resta davvero oscuro il motivo per cui il governo italiano, soprattutto in un momento di incertezza generale come quello che stiamo vivendo, continui ad utilizzare un lessico ambiguo e soggetto a fraintendimenti. “
Invece Lorenzo Porzio spiega così la sua scelta : “ Tra le parole che ho analizzato (contagio, distanziamento sociale, immunità di gregge, infodemia, smart working) mi soffermo su congiunto.Come si può leggere nella versione online del Vocabolario Treccani, il significato del termine, se usato come sostantivo, è ufficialmente quello di parente. Nonostante ciò, ci si è chiesti se alla parola si potessero attribuire altri due significati, ovvero quelli di fidanzato e di amico. È quanto si è capito inizialmente leggendo una nota di Palazzo Chigi diramata il 27 aprile 2020, e nella quale si fanno rientrare tra i congiunti anche fidanzati stabili, affetti stabili. Il Viminale, solo con una circolare del 3 maggio, ha sciolto i dubbi del popolo digitale affermando che nella categoria di congiunto non possono essere inclusi gli amici, bensì solo i fidanzati. Da questa insolita vicenda scaturisce il motivo per cui ho scelto congiunto. Non è solo la mancanza di chiarezza lessicale e testuale delle comunicazioni istituzionali a permettere qualsiasi interpretazione del significato della parola, ma anche, viste le circostanze eccezionali, il desiderio più che giustificato di rivedere, dopo circa due mesi di quarantena forzata, i propri affetti a prescindere da una loro categorizzazione.
Sulla possibilità che le parole ci aiutino a riflettere sulla pandemia e sulla sua narrazione per interpretare il mondo nel quale essa si è diffusa e ha provocato i problemi che stiamo vivendo interviene anche l’Accademia della Crusca, che sul tema nel proprio sito rilancia alcuni interventi significativi e chiarisce il senso di alcune parole .
La pandemia ha cambiato il linguaggio : ““Il Coronavirus viaggia nei droplet ma permane anche in aerosol, e gli asintomatici non sono meno pericolosi per cui più ancora delle FFP2 è raccomandato il distanziamento sociale”. Oppure. “Zoom va bene per la Didattica a distanza, ma dopo il bollettino delle 18 vediamoci per un aperiskype”. Forse. Ma non è detto perché , secondo il nostro assunto iniziale , frasi come quella che abbiamo appena ricopiato da alcuni socials non ci aiutano a capire , a narrare e a interpretare la realtà . E non ci aiutano a dirimere la complessità della realtà mentre altre banalizzandola non ci permettono di guardare appunto sempre alla complessità in modo non solo interpretativo ma anche propositivo per un viaggio nel futuro che diventa ogni giorno sempre più necessario per capire il cambiamento che comunque la pandemia sta determinando , sia in positivo che in negativo .
Ed ecco perché bisogna fare attenzione alle parole che infettano più del virus . Il cinema e la letteratura anche in questo caso sono premonitori anche se un film è solo un film e un romanzo è solo un romanzo . Anche se come si dice, spesso la realtà supera la fantasia Ecco perché ricordiamo qui che l’idea del linguaggio veicolo d’infezione era apparsa nel film Pontypool – Zitto o muori (2009) di Bruce McDonald, tratto dal romanzo Pontypool changes everything di Tony Burgess. Un film indipendente, a basso costo, che gioca e talvolta irride le dinamiche dello zombie-movie. Il titolo si riferisce a una cittadina canadese in cui lavora il protagonista Grant Mazzy, uno speaker radiofonico. Ed anche nel romanzo L’alfabeto di fuoco (2018), dello scrittore americano Ben Marcus, pubblicato in Italia da Black Coffee. In una società straniante e asettica, priva di riferimenti geografici e temporali, i cittadini adulti sono minacciati da un morbo misterioso e letale. La malattia non ha un nome, ma di certo si sa che a diffonderla sono i bambini e gli adolescenti. E non con tosse o starnuti, ma attraverso le parole. Le parole dei figli infettano inesorabilmente i padri e le madri. Il protagonista è un uomo piuttosto comune che è stato contagiato dalle cose “gentili, cattive, stupide” dette da sua figlia adolescente. Il libro descrive gli effetti della malattia: deperimento, letargia, chiazze rosse sul corpo. Descrive le vittime come corpi prosciugati, dissalati. Quando l’epidemia diventa incontrollabile gli adulti vengono internati in strane strutture, mentre il mondo libero resta nelle mani degli immuni bambini, di cui a parte qualche immagine rubata, nessuno sa più nulla.
di Valter Marcone
(2)precedentemente ricercatore a tempo indeterminato (2004-2011) e poi professore associato (2011-aprile 2016) nello stesso ateneo. Insegna Storia della lingua italiana, Didattica della lingua italiana, Linguistica italiana, Lingua italiana e media.