Pavel Tonkov è diventato un’ombra, la sua bicicletta un’immaginazione. Non bastano gli attacchi, non bastaalzarsi e danzare sui pedali. Serve qualcosa in più, un ritmo massacrante, una scalata senza un attimo di respiro. La strada verso Montecampione deve diventare un inferno, una via Crucis rovente che si inerpica verso il cielo. Marco Pantani ha bisogno delle salite per vincere. Lui, la sua bicicletta e niente di più. Anche la bandana, quel giorno, è diventata un peso insostenibile, un ostacolo all’azione leggiadra verso la gloria. Il Pirata la getta al vento ai piedi della montagna vestita a festa di rosa; via anche l‘ultima borraccia, non c’tempo e spazio nemmeno per bere un sorso d’acqua fresca; via persino il piercing sul naso, un frammento d’argento divenuto macigno per la grandezza di ciò che sta per concretizzarsi. Pantani si è spogliato di quasi tutto quel che aveva. È rimasto da solo, con la sua bicicletta gialla e blu e quell’ombra ingombrante incollata alla sua ruota.
L’epilogo del Giro d’Italia 1998 assomiglia ad un duello all’ultimo sangue. Davanti c’è l’ultimo degli angeli della montagna, che si alza sui pedali, danza, rilancia, non si volta mai indietro. Dietro di lui l’uomo della steppa, un russo che spinge rapporti lunghissimi in pianura ma che sa difendersi anche in salita. Pantani contro Tonkov è più di una sfida, due filosofie opposte e contrarie, due destini paralleli sulla via di Plan di Montecampione. La Maglia Rosa è sulle spalle di Pantani dal termine della tappa di Selva di Val Gardena, una maratona dolomitica che ha esaltato il romagnolo ed ha risucchiato nel baratro Alex Zülle, il cronoman che voleva dominare alla maniera di Miguel Indurain. Dopo l’impresa tra Marmolada e Passo Sella, l’ostacolo più grande tra Pantani e il successo è diventato Pavel Tonkov, solido, compatto, poco emozionante ma senz’altro efficiente.
Il 4 giungo 1998 è l’ultima occasione per Pantani. L’obiettivo è quello di distanziare ancor di più Tonkov in vista della cronometro di Lugano, specialità in cui il russo eccelle e il Pirata arranca. I 19 km verso Montecampione diventano il palcoscenico di uno dei duelli più emozionanti nella storia del Giro d’Italia. Dopo pochi tornanti disegnati dal bollente serpentone di asfalto, Pantani inizia il forcing. Tonkov lo insegue, gli altri si defilano. Non c’è spazio per nessuno, in pedana salgono i due duellanti pronti ad affilare le armi. Il Pirata è una furia, scatta, rifiata, rilancia, non dà tregua alla propria azione, scruta l’orizzonte e la strada che sale verso il cielo. Tonkov è seduto, impassibile, un’espressione glaciale che nemmeno il caldo rovente di quel giorno riesce a sciogliere. La sua bicicletta è incollata alla ruota posteriore del rivale in rosa, i suoi occhi puntano dritto la danza radiosa e massacrante del Pirata. Il romagnolo è frenetico, non prende un attimo per rifiatare, getta via tutto quel che ha, di tanto in tanto controlla se quell’ombra ingombrante è ancora dietro di lui; Tonkov sembra soffrire ogni minimo scatto, ad ogni affondo di Pantani corrisponde una lama pungente conficcata nei muscoli. Il russo non dà segnali di sofferenza, il cricifisso che penzola sul petto è l’unico corpo in movimento nella sagoma possente e colorata dall’arcobaleno Mapei.
Marco Pantani e Pavel Tonkov a Montecampione
Col passare dei chilometri il monologo di Pantani e la sofferenza mascherata di Tonkov si fanno sempre più intensi. Si entra negli ultimi quattro chilometri. Dopo un centinaio di metri il russo perde qualche metro, Pantani non sembra accorgersene per quanto concentrato nel proprio forcing. Il tempo di aumentare leggermente la frequenza di pedalata e il sole torna a dipingere sull’asfalto l’ombra possente di Tonkov alla ruota della Maglia Rosa. Ai meno due chilometri e settecento metri il momento della svolta: Pantani si alza sui pedali, un altro scatto, l’ennesimo, quello decisivo. Tonkov inizia a perdere metri, la sua azione si fa improvvisamente pesante. Un altro giro di ruota e l’ombra del russo si distoglie nel catrame ardente di Montecampione. Pantani ha preso il volo, verso la cima, verso la gloria. Dall’ultima curva prima del rettilineo finale ha inizio il boato dei tifosi che sognavano l’arrivo in solitaria del Pirata. Marco si alza sui pedali per un ultimo scatto, quasi una volata. Sulla linea d’arrivo un sospiro, uno sguardo rivolto al cielo e l’espressione di chi ha dato tutto ciò che aveva. La vittoria è diventata trionfo, Pantani sta per entrare nella leggenda.
L’ultimo tassello del capolavoro in rosa del Pirata a Lugano, nella cronometro che sancirà definitivamente il vincitore del duello con Tonkov. Pantani può contare su un vantaggio di 1’28” ma il russo è uno degli specialisti delle prove contro il tempo. A Marco serve la crono della vita. I tecnici della Mercatone Uno vivono ore frenetiche, il Pirata prepara tutto nei minimi dettagli: accorgimenti millimetrici per sella e manubrio, materiali scelti con estrema precisione data l’altissima posta in palio. Sulla pedana di partenza Pantani è concentratissimo, affronta la prima curva come se fosse l’ultima. La posizione in bici è perfetta, un esempio stilistico nonostante il fisico minuto da scalatore puro. Tonkov arranca, le velleità di rimonta si disperdono nel confine italo-svizzero. Pantani riesce addirittura a guadagnare cinque secondi sul rivale, è l’apoteosi.
Il 7 giugno 1998, a Milano, il primo tassello di una doppietta che oggi, 20 anni dopo, è ancora leggenda. Il Pirata in Rosa, un’emozione che dura una vita.