CAMPO IMPERATORE – OPERAZIONE QUERCIA prima parte

L’operazione Quercia fu il nome in codice di un’ operazione militare durante la seconda guerra mondiale portata a termine il 12 settembre 1943 dai paracadutisti tedeschi della seconda fallschirmjager-division e da alcune SS del Sicherheitsdienst,  finalizzata alla liberazione di Benito Mussolini , imprigionato a Campo Imperatore  sul Gran Sasso per ordine di Pietro Badoglio dopo l’Armistizio di Cassibile. Il ministro Albert Speer, nel suo libro Memorie del Terzo Reich, ricorda la reazione di Adolf Hitler alla notizia dell’ arresto di Mussolini, descritta come una sorta di “fedeltà nibelungica”: “Non c’era gran rapporto in cui il Führer non chiedesse che fosse fatto tutto il possibile per ritrovare l’amico disperso. Diceva di essere oppresso giorno e notte dall’angoscia”.

La sera del 26 luglio 1943 Hitler convocò presso il suo quartier generale a Rastenburg,  denominato in codice la “Tana del Lupo”, sei ufficiali scelti tra tutte le forze armate del suo paese per un’operazione segreta. Giunti al suo cospetto, egli chiese loro se conoscessero l’Italia e, in caso positivo, di esprimere un giudizio sugli italiani: le risposte furono tendenzialmente improntate sul generico ottimismo e più di uno confidò nella fedeltà degli alleati all’asse Roma-Berlino. Uno di loro, di nome Otto Skorzeny 35 anni, comandante SS di un corpo di Kommando di stanza a Friedenthal,  sapendo che Hitler rimpiangeva la perdita dell’Alto Adige, a suo giudizio la più bella delle regioni alpine, che per ragioni politiche aveva permesso che restasse annessa all’Italia, disse sommessamente: “Führer, io sono austriaco”. Hitler lo guardò e gli ordinò di restare, congedando invece tutti gli altri. Cominciò così l’operazione Eiche (Quercia), la liberazione di Mussolini, deposto e arrestato in Italia.

Hitler spiegò a Skorzeny in tono di irritazione crescente che il suo alleato, Mussolini appunto, era stato tradito e arrestato, l’Italia era pronta all’invasione da parte degli Alleati, il re insieme con Badoglio aveva tramato la caduta del fascismo e ora i due meditavano di andare dagli Alleati consegnando il prigioniero Mussolini quale capro espiatorio della decisione di andare in guerra. Infine aggiunse, come riporta lo scrittore Charles Foley, curatore della biografia di Skorzeny: “Lei, Skorzeny, salverà il mio amico”. A ogni modo, sul resoconto di Foley, va fatta più di una tara, perché non aderente ai fatti e alla ricerca storico-documentale.Il sistema di controllo hitleriano prevedeva che i subordinati avessero compiti comuni in diversi reparti, in modo da controllarsi a vicenda. Perciò l’operazione fu eseguita dai paracadutisti e dalle SS insieme. I ruoli di comando vennero assegnati al maggiore dei paracadutisti e comandante del Lehrbataillon Harald – Ott Mors, al generale Kurt Student,  fondatore dell’arma dei paracadutisti e, come precisato, al capitano delle SS Otto Skorzeny. Vanno distinti però chiaramente due aspetti: 1) la parte spionistica era affidata al SD, di cui Skorzeny faceva parte, perché i paracadutisti non disponevano di una struttura di intelligence; 2) la parte militare era di competenza della Luftwaffe, e segnatamente sotto la responsabilità del generale Student.

Skorzeny attivò subito i suoi uomini a Friedenthal, stendendo la prima lista di equipaggiamento, che andava dalle mitragliatrici e granate alla moneta italiana, abiti civili, tinture per capelli e ad altre cose di questo genere (tutto poteva dipendere da un unico dettaglio, magari insignificante all’apparenza). Poi, il giorno dopo, con Student e il pilota personale di quest’ultimo, Heinrich Gerlach,  partirono per l’Italia in aeroplano.

Arrivati a Roma raggiunsero immediatamente Frascati,  dove si trovava il quartier generale del maresciallo Albert Kesselring,  comandante del gruppo di armate tedesche in Italia, tenuto all’oscuro della segretissima operazione Eiche, mentre tre giorni dopo arrivarono gli uomini del SD di Friedenthal. A pranzo con Kesselring emerse subito il problema del caso Italia: con Mussolini prigioniero, il re e Badoglio potevano contrattare la pace mentre contemporaneamente davano a intendere ai tedeschi, per guadagnare tempo, di voler continuare a combattere al loro fianco.

In questo clima di diffidenze reciproche si pose il problema di scoprire dove gli italiani tenessero Mussolini; la prima notizia arrivò inaspettatamente da una lettera d’amore di un carabiniere a una ragazza: il militare scriveva dall’isola di Ponza dicendo alla fidanzata che Mussolini era confinato laggiù. Da una breve indagine si capì poi che il prigioniero era stato subito trasferito da Ponza alla Spexia, dove un incrociatore lo aveva prelevato. Il governo italiano, proprio per la mancanza dei minimi requisiti di sicurezza a Ponza, aveva trasferito per tempo l’ex dittatore sull’ Isola della Maddalena presso la costa nord-orientale della Sardegna.

Skorzeny riprese le ricerche e seguendo alcune indicazioni dello spionaggio tedesco sbarcò alla Maddalena con un sottoposto, il tenente Warger (che parlava benissimo l’Italiano), entrambi travestiti da marinai. Warger ebbe l’ordine di girare per le osterie fingendosi ubriaco e, durante una discussione da taverna, con un innocuo: “Scommettiamo che il Duce è morto?”, riuscì ad avere l’informazione che cercava. Un ortolano del posto, che forniva quotidianamente Villa Weber di frutta e verdura, accettò la scommessa e portò il tedesco, di sera, a vedere il Duce che passeggiava in terrazza con la scorta. Il finto marinaio tedesco perse la scommessa, ma Skorzeny poté preparare il suo piano.

Skorzeny chiese un ricognitore Heinkel 111 per fotografare la zona dall’alto, ma un’avaria costrinse il pilota all’ammaraggio (risulta totalmente fantasiosa la versione in seguito diffusa da Skorzeny dell’intercettazione e dell’abbattimento da parte di caccia inglesi). Precipitato in mare Skorzeny racconterà di essere riuscito a recuperare dalla carlinga dell’aereo che stava per inabissarsi, la macchina fotografica. Mezz’ora più tardi i tedeschi vennero salvati da una nave italiana: Skorzeny si trovò alquanto a disagio per dover giustificare la sua presenza. Ma i naufraghi non furono interrogati troppo minuziosamente e ben presto, con scarpe bianche e pantaloni corti prestati dall’equipaggio, Skorzeny fu di nuovo sulla terraferma, in Sardegna. Fu ricevuto dai commilitoni e venne inviato subito in Germania, dove sollecitava un’azione di forza scontrandosi però con l’informazione fornita dall’Abwehr dell’ammiraglio Wilhelm Canaris,  secondo cui Mussolini era invece sull’Isola d’Elba. Hitler si convinse subito dell’esattezza delle indagini di Skorzeny, cancellò l’incursione sull’Elba e gli chiese come suggeriva di prendere il prigioniero. Skorzeny prospettò una soluzione che prevedeva una finta visita di cortesia di una flottiglia di motosiluranti tedesche alle autorità italiane e quindi, finite le procedure d’etichetta, un’unità d’assalto della Kriegsmarine  si sarebbe mossa verso villa Weber. Il capitano SS non si curò affatto dell’aspetto tutt’altro che secondario di quello che era a tutti gli effetti un atto di guerra contro un Paese alleato. Nell’ultima ricognizione nei pressi della villa Weber i tedeschi si imbatterono in una guardia che portava un pacco di biancheria e, nascostisi, notarono che le sentinelle alla villa, che pure c’erano, erano sin troppo rilassate. E infatti Mussolini era stato trasferito, poche ore prima che scattasse il piano tedesco per liberarlo. Il 27 agosto, proprio il giorno prima dell’attacco previsto da Skorzeny per la liberazione del dittatore deposto, un idrovolante della Croce Rossa aveva lasciato le acque della Maddalena con a bordo il prigioniero: destinazione ovviamente ignota. Non restava che annullare l’incursione nell’isola e la battaglia che avrebbe avuto conseguenze imponderabili.

Skorzeny riprese a tessere la sua tela. HERBERT KAPPLER, , capo della Polizia tedesca a Roma, venne a sapere da un messaggio cifrato che attorno al Gran Sasso erano state “ultimate le misure di sicurezza”: firmato Gueli; le spie tedesche dicevano che l’ispettore generale Giuseppe Gueli, ex questore di Trieste, era il nuovo funzionario responsabile della sicurezza di Mussolini. La notizia interessò Skorzeny il quale si gettò sulla pista, che si rivelò proficua: sull’altopiano del Gran Sasso chiamato “Campo Imperatore ” era stato costruito di recente un centro di sport invernali, il cui albergo era raggiungibile solo tramite la Funivia che parte da Assergi; un luogo dunque, l’altopiano, difficile da raggiungere e facilmente difendibile, con i requisiti necessari per custodire un personaggio dell’importanza di Mussolini. Bisognava ora avere delle prove: queste vennero dal capitano medico Leo Krutoff,  il quale fu incaricato di recarsi a Campo Imperatore per un sopralluogo, con la scusa di dover organizzare la convalescenza nell’albergo di soldati tedeschi malati di malaria (questo fu almeno quanto viene detto all’ignaro ufficiale medico). Krutoff tuttavia, quando giunse nel paesino di Assergi per prendere la funivia, fu bruscamente bloccato da alcuni carabinieri che gli spiegarono che la zona del Gran Sasso era stata dichiarata “zona militare”; quindi era impossibile salirvi. Kappler, a sua volta, inviò l’ufficiale delle SS Erich Priebke, il quale riferì di strani movimenti che potevano avvalorare il sospetto che proprio lì vi fosse Mussolini. Skorzeny racconterà di aver deciso di sorvolare la zona con un ricognitore,  e di aver scattato alcune foto con una macchina manuale (quella dell’Heinkel 111 secondo lui si era inceppata), ma si tratta di una versione falsa: le foto vennero prese dal capitano pilota della Luftwaffe Gerd Langguth. Con la firma dell’armistizio niente più ostacolava l”operazione Eiche, se non il dubbio se davvero l’ex Duce fosse a Campo Imperatore. L’Italia ora era zona nemica, ma Campo Imperatore sembrava davvero irraggiungibile. A così alta quota un lancio dei paracadutisti sarebbe stato vanificato dalle correnti ascensionali ed era necessario impadronirsi della funivia prima che gli italiani potessero isolare l’albergo. Un audace piano elaborato dal maggiore Harald Mors, su incarico del generale Student, previde dunque l’atterraggio sul pianoro di alcuni alianti df 230 con un centinaio di paracadutisti. La sera prima dell’azione la radio alleata comunicò che Mussolini sarebbe stato consegnato loro dagli italiani.

 

( Cicchetti Ivan )

 

 

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