Come ormai felicissima consuetudine a Cocullo -in provincia dell’Aquila- si svolge, in occasione della festività del primo maggio, il culto di San Domenico. La consuetudine vuole, però, come per altre usanze, che la devozione cristiana si intrecci inevitabilmente con il rito pagano. Così il culto per San Domenico, protettore dal morso dei serpenti, si intreccia con il rito arcaico dei “serpari”, manipolatori dei serpenti.
Durante le celebrazioni, nel borgo abruzzese, si assiste ad uno spettacolo unico e affascinante che richiama, ogni anno, migliaia di turisti ed altrettanti fedeli. È proprio così che piazze, vicoli ed ogni angolo del paese si popolano di serpari e serpenti che attirano la curiosità dei tanti visitatori. I cosiddetti “serpari”, dunque, raccolgono -proprio nei monti attorno al paese- nella stagione invernale, durante il loro letargo, i serpenti. In occasione della festività la statua del Santo, prima di essere portata in processione, intorno a mezzogiorno, viene completamente ricoperta dai serpenti. Prima della processione stessa, mentre si intonano canti popolari per le vie del paesino, i serpari mostrano i rettili ai visitatori, permettendo loro, vincendo ogni tipo di timore, di toccarli e maneggiarli.
Il corteo, poi, si allunga per le antiche vie di Cucullo trasmettendo ai presenti immagini suggestive ed emozionanti.
La festa dei serpari a Cocullo è sicuramente la più famosa celebrazione folcloristica abruzzese e allo stesso tempo la più misteriosa. Basti pensare, infatti, che l’origine stessa del rito è ancora incerta. La figura di San Domenico è invocata per proteggersi dal morso dei serpenti e dei cani affetti da rabbia, ma anche contro piogge, tempeste, malaria e per curare il mal di denti. E’ usanza dei fedeli che visitano la chiesa di San Domenico a Cocullo, infatti, tirare con i denti la catena di una campanella, presente all’interno del santuario, per proteggersi dalle malattie della bocca.
Il culto di San Domenico e il collegamento con i serpenti, invece, si sovrappone, frequentemente ma non in maniera del tutto attendibile, a due importanti elementi culturali che già esistevano nella zona di Cocullo.
La tradizione, in primis, del popolo dei marsi, che aveva al centro del suo culto la dea Angizia e l’importanza dei gruppi dei serpari, maneggiatori di serpenti e curatori, che popolavano la zona. Tale figura poi, invece, ha origine dal “ciarallo”. Questa era una figura sacra molto radicata nell’Italia meridionale nel tardo medioevo. Il ciarallo esercitava proprie tecniche segrete di cattura e di maneggiamento dei serpenti. Oggi i serpari conservano le antiche tecniche dei loro predecessori ma la figura scarale si è mutata in una forma laica di partecipazione al rito e rispetto della natura.
Il mistero della religione che si mescola nella consuetudine di riti secolari. La figura di San Domenico. Il fascino dei canti e del corteo che si snoda nelle viuzze del borgo aquilano. La suggestione che deriva dalla coesistenza di questi fattori. La paura. Quella consapevolezza, in parte nascosta, di un viaggio che ci condurrà a fare i conti con noi stessi. Un viaggio che ci condurrà a vincere i nostri timori. Quei rettili, apparentemente animali, che raffigurano i nostri limiti. Limiti con i quali confrontarsi. Limiti da superare. Sia che decidiamo di essere attori o spettatori i nostri occhi resteranno catturati dallo spettacolo che avremo davanti. I nostri occhi resteranno vigili, attenti. Indagheranno e comprenderanno. Non è forse questo il vero messaggio?
Forse, o almeno è lecito pensarlo, è proprio per questo che i serpenti non devono coprire gli occhi del Santo. Probabilmente è li che l’attenzione deve essere focalizzata. Occhi aperti e sempre vigili. Occhi che indagano. Occhi che hanno il coraggio di guardare oltre. Occhi che hanno il coraggio di guardarsi dentro insegnandoci, se necessario, che i limiti sono solo nella nostra mente.
Alex Amiconi