Contratti di fiume. WWF: “in Abruzzo mancano visione d’insieme e cabina di regia”

 

Si rischia di sciupare un’altra buona occasione per la solita carenza di programmazione

Tanti i progetti ma non sono stabiliti gli obiettivi da raggiungere quanto meno a livello di bacino

 

Recentemente c’è un gran proliferare, in Abruzzo come altrove in Italia, di “contratti di fiume” o “contratti di lago” e recentemente anche di “contratti di costa”. Si tratta di iniziative che diverse amministrazioni locali stanno promuovendo in attuazione della Direttiva Quadro 2000/60/CE, meglio nota – e non a caso – come “Direttiva Acque”. L’obiettivo primario deve necessariamente riguardare la salute ecologica dei bacini idrici interessati, con uno strumento di pianificazione sovracomunale in grado di ottimizzare risorse e risultati. Ma è indispensabile tenere conto del fatto che i contratti di fiume sono “strumenti” e non essi stessi “obiettivi” e che non ha alcun senso fermarsi ad alcune azioni d’immagine dove la “visibilità” pubblica diviene preponderante sui contenuti.

Il rischio che si sta correndo in Abruzzo è proprio questo: tanti (troppi?) contratti che a volte insistono su parti diverse dello stesso fiume o sui suoi affluenti senza che esista una visione complessiva per l’intero bacino idrico alla quale conformare i vari interventi. Un po’ come se si pretendesse di guarire un malato curando le varie parti del suo corpo con interventi autonomi e non coordinati. Una scelta assurda, verso la quale pure si sta andando senza riflettere. Sul fiume Pescara ad esempio sono tanti gli interventi programmati, l’uno indipendentemente dall’altro dai vari enti locali, destinati a non produrre effetti positivi, ma anzi, come ha dimostrato il passato, a peggiorare la situazione iniziale. È assurdo continuare ad intervenire sugli ecosistemi fluviali tenendo conto delle suddivisioni amministrative: non è un caso che tutta la pianificazione sui corsi d’acqua a livello nazionale e internazionale è impostata a livello di bacino, e non solo con i “contratti”.

Questo modello frammentario rischia di perpetuarsi a livello regionale per l’assoluta mancanza di un tavolo di coordinamento: non basta infatti affidare la delega ai contratti di fiume a un assessore (in Abruzzo a Dino Pepe), se le singole iniziative, più o meno valide di per sé ma comunque avulse da una visione d’insieme, non vengono rapportate a obiettivi di bacino, l’unica strategia per non inseguire assurdamente anche in questo caso finanziamenti a pioggia senza risultati concreti.

Dai contratti di fiume gli abruzzesi si attendono un processo di condivisione che porti in primo luogo al miglioramento dello stato di salute dei bacini idrici interni e quindi del mare, che va restituito a una tranquilla balneazione senza le “emergenze” che hanno contraddistinto le più recenti stagioni estive. E si aspettano un approccio che ripartisca la gestione lungo tutto il fiume affinché chi sta a valle non si debba fare carico di ogni problema. Obiettivi possibili solo attraverso una visione complessiva, condizione indispensabile per valorizzare il territorio anche attraverso percorsi fruitivi, attività di turismo responsabile o anche attività produttive ma che siano compatibili con la sicurezza delle popolazioni rivierasche e con la tutela del fiume. La parcellizzazione dei contratti e una visione legata a volte più alla vicinanza politica tra le varie amministrazioni che non alle problematiche da risolvere insieme rischiano di far naufragare nel nulla questi strumenti, privi come sono delle condizioni minime indispensabili per poter funzionare.

Oltre alla visione di bacino, è poi fondamentale che i contratti di fiume contengano i seguenti aspetti:

  1. definizione chiara degli obiettivi del contratto stesso che devono senz’altro contenere le condizioni del “buono stato ecologico” del corpo idrico interessato (fiume, lago…), come individuato nei piani di distretto o nei piani di bacino o sottobacino. Solo in questo modo sarà possibile “misurare” l’efficacia delle azioni attuate nell’ambito del “contratto”;
  2. individuazione di modalità chiare di responsabilizzazione dei sottoscrittori;
  3. trasparenza e facile accesso a tutta la documentazione oggetto del contratto da parte di tutti (in particolare i portatori di interessi generali);
  4. predisposizione di un chiaro piano d’azione condiviso e monitorabile;
  5. definizione di tempi certi per la realizzazione degli impegni e per il raggiungimento degli obiettivi (sia a breve che a lungo termine), nonché indicazioni sulle modalità per garantirne il rispetto;
  6. messa in comune di almeno una parte dei proventi derivanti da canoni di uso dell’acqua o da ricavi delle pertinenze fluviali e lacuali;
  7. possibilità di rivedere e modificare le azioni in relazione al raggiungimento degli obiettivi.

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