Chi sospetta di avere il coronavirus, accusando quindi febbre, tosse e altri sintomi associati e non si mette in quarantena, oltre all’imputazione per violazione dei provvedimenti dell’autorità, un processo per lesioni o tentate lesioni volontarie.
Se dovesse infettare persone anziane o comunque soggetti a rischio causandone la morte, l’imputazione potrebbe trasformarsi in omicidio doloso rischiando una pena non inferiore a 21 anni di reclusione.
Stessa pena si applica a chi è entrato in contatto con persone positive al coronavirus e incurante di tutto continua ad avere rapporti sociali o a lavorare con altre persone senza prendere precauzioni o avvisarle. Infatti, non avvertire amici e conoscenti con i quali si hanno avuto contatti negli ultimi giorni, causando il rischio concreto che contagino altre persone, potrebbe costare la stessa imputazione a titolo di dolo eventuale o quantomeno di colpa cosciente.
Se le lesioni superano i quaranta giorni di malattia il reato, come prevede la legge, è procedibile d’ufficio e si rischia la reclusione da tre a sette anni.
Chi è positivo e non lo dice a nessuno, continuando una vita normale uscendo ed avendo quindi rapporti con altri, assume una condotta connotata dal dolo diretto, in questo caso le imputazioni, oltre a quella di violazione dell’ordine dell’autorità, sono molto più gravi e vanno dal tentativo di lesioni e/o di omicidio volontario se si viene a contatto con soggetti fragili o a rischio fino all’omicidio volontario se ne deriva la morte. La legge è chiara, ma anche la giurisprudenza.
Ipotesi per le quali il legislatore applicano gli stessi principi dei casi delle persone sieropositive che, nella consapevolezza di avere la malattia, non avvisano il partner e non adottano le precauzioni per evitare il contagio.