Augusto Bisegna
La violenta pandemia di Covid-19 ha portato con sé morte e dolore e con esse danni immani all’economia e al lavoro. Ma, come è capitato spesso nella storia dell’umanità, periodi di smarrimento e crisi come quello che stiamo vivendo portano con sé opportunità e accelerazioni di trasformazioni in positivo, che altrimenti stenterebbero a emergere: serve la capacità di saperle cogliere, evitando che il sacrificio di vite umane ed economico diventi vano. L’Abruzzo quest’estate ha registrato, specie nelle aree interne, una crescita impressionante di presenze turistiche, come mai era capitato. In particolare la nostra Marsica – dove il turismo è qualcosa di evocato solo in qualche convegno o malamente copiato e incollato nei programmi politici, senza la minima idea di che cosa esso significhi – ha visto presenze di tutto rispetto, ma ovviamente non era preparato ad accoglierle. In un bell’articolo l’amico Gianluca Salustri (autore di “Pane e Polvere”) ha raccontato la bellezza di questa terra – www.qualcheriga.it/.
E’ proprio da lì, dalla bellezza, dalle testimonianze culturali e archeologiche, dalla straordinarietà delle nostre montagne, dal patrimonio di biodiversità, dall’imponente giacimento gastronomico che questa terra offre che bisogna partire per provare a immaginare un territorio diverso, dove il lavoro non sia solo raccomandazione o emigrazione e pendolarismo, ma opportunità che nasce dal luogo in cui si vive, dall’innovazione, dalla creazione di prodotti, dalla valorizzazione delle eccellenze che sono presenti in loco, dal territorio stesso.
Ma il primo requisito per innescare un cambiamento positivo della nostra terra è pre-politico, culturale. Se le persone che vivono in questa Regione non riconoscono il bello che le circonda, la profondità storica dei suoi resti archeologici e culturali, se non vogliono imparare a riconoscere la bellezza delle montagne e dei boschi, delle pietre dei nostri paesi, degli odori della nostre terra, nessuna politica ci potrà salvare.
Basterebbe in realtà poco, sarebbe sufficiente fare come già stanno facendo tanti altri piccoli paesi del nostro entroterra appenninico, capaci di valorizzare e rendere attrattivo il territorio sotto il profilo economico e ripopolandolo, come sta facendo il giovane sindaco di Aielli Di Natale.
Ma la Marsica, come gran parte della provincia de L’ Aquila – salvo rare eccezioni – resta una terra dormiente, stanca e priva di visione, dove nei rinnovi delle amministrative si sta assistendo a un triste refrain, in ritardo anche rispetto al dibattito nazionale, sull’immigrazione. Come se i problemi atavici di questa terra fossero legati alle sorti di 50, 100 immigrati trasferiti in zona.
Nessun accenno alle infrastrutture né all’industria e all’artigianato o su come attrarre investimenti, nessun accenno alla valorizzazione del territorio o idee su scuola e formazione in generale, zero proposte sulla montagna e su come valorizzarla in un periodo in cui stiamo vivendo cambiamenti climatici epocali; anche quella poca economia legata al territorio, in particolare al periodo invernale, andrebbe ripensata dentro una destagionalizzazione capace di valorizzarla e creare opportunità turistiche anche in altre stagioni dell’anno. Manca un’idea concreta su come trasformare questa grande opportunità che inaspettatamente il Covid-19 ha dato a questa terra in termini turistici, così da renderla strutturale e duratura nel tempo.
Ma se togli l’acqua alle 12 del mattino, come capita in tanti paesi e frazioni della Marsica e dell’Aquilano, è complicato parlare di turismo, è molto più facile buttarla in caciara sull’immigrazione, tanto alla fine, come mi ha risposto un sindaco, “se vuoi venire qui ti metti il serbatoio!”. Per non parlare di internet: la pandemia, anche in questo ci ha dato una grande lezione, perché si è riusciti a mantenere un livello minimo di servizi solo là dove la rete era efficiente, dato che, se oggi non hai un collegamento internet degno di questo nome e una amministrazione pubblica smart e efficiente, è difficile stare in piedi. Ma i nostri amministratori questa realtà la ignorano del tutto.
Lo smart-working, in questo senso, apre delle opportunità di ripopolamento delle aree interne, ma ovviamente bisogna dare servizi di rete efficienti e qualità amministrativa, servizi all’infanzia e scuole efficienti a chi dalla città vorrebbe trasferirsi in uno dei nostri borghi dell’entroterra .
In tutto questo, infine, se non si opera una riqualificazione urbana, attenta alla tradizione, alla bellezza, ma proiettata in visione del futuro (antisismica, cablata, collegata, efficiente ed energicamente sostenibile), se non si ha una visione del proprio paese, della propria terra, tra 20/30 anni non ci sarà speranza e quella che oggi può essere un’opportunità l’avremo sprecata, restituendola all’oblio e allo spopolamento.
Basterebbe poco per fare qualcosa. Qualche indicazione in merito la offre Paolo Manfredi in “Provincia, non periferia. Innovare le diversità italiane” – ed. Egea: partiamo da zero, c’è solo da migliorare, ma tra quel “basterebbe” e quel “poco” ci sono decine di se che da anni aspettano una risposta: sta a tutti noi guardare con occhi diversi il bello che ci circonda e trasformarlo in energia positiva, capace di dare speranza e futuro a questa meravigliosa terra.