IL RAPPRESENTANTE DEI LAVORATORI PER LA SICUREZZA IN AZIENDA E’ OBBLIGATORIO?

Uno dei più controversi argomenti in materia di salute e sicurezza riguarda il tema dei Rappresentanti dei lavoratori, della loro elezione, e della collaborazione degli organismi paritetici alla formazione erogata in azienda.

Sappiamo bene che tutta la materia dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, si muove sul crinale scivoloso dell’assenza, all’interno del nostro ordinamento, di una complessiva disciplina della rappresentanza sindacale ed è probabilmente anche da questa assenza che nasce l’ambiguità sostanziale della “non cogenza” delle norme di cui agli artt. 47 e ss del D.lgs 181/2008.

L’art 47 del D.lgs 81/2008 contiene innanzitutto un’’affermazione di natura quasi “ontologica” dell’istituto del RLS.

Recitano il primo ed il secondo comma dell’art. 47:

  1. Il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza è istituito a livello territoriale o di comparto, aziendale e di sito produttivo.
  2. In tutte le aziende, o unità produttive, è eletto o designato il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza

 

Ci si può chiedere quale possa essere il significato delle affermazioni, “è istituito”, “è eletto”, quasi che l’esistenza di una “rappresentanza dei lavoratori per la sicurezza” appartenesse all’essere stesso delle aziende e delle organizzazioni in genere.

Meglio forse sarebbe stato dire: “sarà istituito” il RLST o il RLS, così da rendere questa affermazione più aderente alla realtà. Infatti l’affermazione “è istituito”, quasi presuppone la “necessaria” presenza di uno più RLS all’interno dell’azienda. Ma questa “ontologia” aziendale del RLS è appunto lontana dalla realtà. Le stesse organizzazioni sindacali non fanno parte “ontologicamente” delle realtà aziendali. La costituzione di una “realtà” sindacale all’interno delle aziende è un “diritto” dei lavoratori, e questo diritto deve essere esercitato dai lavoratori stessi. E’ probabilmente in questa luce che dovrebbero essere interpretate le norme degli artt. 47 e seguenti. del D.lgs 81/2008 che infatti non sono sanzionate dal legislatore, ad eccezione del richiamo che l’art. 18 comma 1 lett. s fa dell’art. 50, sulla mancata consultazione del RLS nelle ipotesi previste dallo stesso articolo.

 

Diciamo quindi con chiarezza che: l’elezione o la nomina del Rls è un diritto dei lavoratori e come tale esso deve essere esercitato. L’esercizio di tale diritto non può in alcun modo essere supplito dal datore di lavoro o dai suoi collaboratori.

 

D’altra parte Il datore di lavoro o chi per esso, non può certo “eleggere” o “nominare” un RLS, Egli sarebbe “imputabile” di condotta antisindacale” secondo le previsioni dell’art.28 della L. 300/70.

Ci chiediamo allora perché ancor oggi filtra negli “ambienti” della salute e sicurezza la falsa, falsissima, informazione che il RLS si “deve” necessariamente eleggere/nominare e che questo sia “in qualche modo” riconducibile ad un obbligo del datore di lavoro appunto in materia di salute e sicurezza.

 

La seconda affermazione altra affermazione chiarissima in termini giuridici, che dipende dalla prima è la seguente:

Diremo poi, altrettanto chiaramente che, l’assenza in azienda del RLS o RLST non può in alcun modo essere sanzionata dagli organi di controllo. L’organo di controllo sanzionerà il datore di lavoro se ad es, gli RLS sono stati eletti o nominati e non vengono consultati o formati, Ma se gli RLS non ci sono, nel senso che i lavoratori non hanno provveduto alla loro elezione o nomina, l’organo di controllo non potrà applicare nessuna sanzione.

 

 

Certo il RLS è previsto all’interno del processo di valutazione dei rischi: conosciamo tutti l’art. 50 del D.lgs, 81/2008 e le norme che ne richiamano la partecipazione nei processi fondamentali della valutazione dei rischi. Ma il problema non è riconoscere l’importanza del RLS, che nessuno certo metterà in dubbio. Il problema è riconoscerne l’esistenza.

 

Per conseguenza, se i lavoratori non esercitano il loro diritto di “eleggere” o “nominare” un RLS, sul “Documento di valutazione dei rischi”, all’interno della sezione che si deve dedicare agli organigrammi, si annoterà esplicitamente che:

I lavoratori non hanno ancora esercitato il loro diritto di eleggere o nominare il/i RLS. Qualora il/i RLS vengano eletti o nominati, il Datore di Lavoro provvederà alla loro formazione secondo le previsioni dell’art. 37 del D.lgs 81/2008 e alla loro consultazione secondo le previsioni dell’art. 50 del D.lgs. 81/2008.

 

A parte il richiamo fondamentale al principio di tassatività delle norme penali, si potrebbe discutere se esista un “obbligo implicito” del datore di lavoro di “stimolare” l’elezione del RLS, durante il processo di valutazione dei rischi Ma anche qui…ubi lex non dixit….

Potrebbe essere “buona prassi” nei rapporti sindacali mettere “in bacheca” un richiamo a questo diritto, richiamo che peraltro potrebbe seguire a quanto i lavoratori hanno appreso dell’istituto del RSL durante i corsi di formazione generale sulla salute e sicurezza

 

Diversamente da tutto quanto abbiamo osservato sopra, l’istituto del RLS verrebbe svilito della sua funzione. Infatti accade molte volte, specie delle medie e piccole imprese, che sia lo stesso Datore di lavoro, falsamente informato, a scegliere il RLS e perciò a mandarlo, obtorto collo, a frequentare il previsto corso di 32 ore di cui all’art. 37 del D.lgs 81/2008.

Anche sul numero delle ore che gli RLS devono frequentare ci sarebbe ampiamente da discutere. Perché se si tratta di grandi imprese, si possono e si dovrebbero farne anche di più (ad es le 40 ore. previste per gli RLSA). Ma un dipendente di una piccola impresa ad esempio dei servizi con 5/6 dipendenti, o il dipendente di un ufficio, cosa può trarre da 32 ore di formazione in gran parte generica e non specifica sulla sua tipologia di lavoro, al netto dei crediti formativi riconosciuti dall’accordo Stato Regioni del 07/072017 dell’ormai futuristico “Libretto formativo del cittadino” ….

 

C’è poi la “vexata quaestio” della collaborazione che “dovrebbe essere richiesta agli organismi paritetici per lo svolgimento della formazione di cui all’art. 37 del D.lgs 81/2008.

Il comma 12 dell’art. 37 del D.lgs 81/2008 dice espressamente che: la formazione dei lavoratori e quella dei loro rappresentanti deve avvenire, in collaborazione con gli organismi paritetici, ove presenti nel settore e nel territorio in cui si svolge l’attività del datore di lavoro…..”.

Tale norma, è stata ripresa ed interpretata più volte: dalla circolare del Ministero del lavoro n. 20 del 29 luglio del 2011, dall’Accordo stato Regioni del 25/07/2012 (accordo di interpretazione degli Accordi 221 e 23 del 12/2011) ed infine, con la nota del 08/06/2015 sempre del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali.

 

Ora è proprio quest’ultima nota che ci interessa. Una “nota” che solo la cavillosità insita nel nostro modo di approcciare le norme, impedisce di riconoscerne la “chiarezza”. Testualmente:

……”(omissis) è tuttavia opportuno precisare che il legislatore non ha previsto alcuna sanzione per la mancata osservanza del comma 12 dell’art. 37 cit.

Alcuni Uffici, tuttavia, applicano all’ipotesi di formazione impartita dal datore di lavoro, senza la collaborazione di un organismo paritetico, la sanzione per la violazione dell’art. 37, comma 1, del D.lgs. n. 81/2008 ritenendo la formazione “non sufficiente ed adeguata”.

Tuttavia, si ritiene che i termini di adeguatezza e sufficienza della formazione non debbano tanto accertarsi in base all’attuazione e/o alle modalità del rapporto collaborativo con gli organismi paritetici, ove presenti, quanto piuttosto in relazione al rispetto di quanto previsto nell’ accordo Stato-Regioni del 21 dicembre 2011.

 

Di conseguenza, laddove un datore di lavoro eroghi una formazione senza la collaborazione di un organismo paritetico non può essere sanzionato, anche per i principi di legalità, tassatività e ragionevolezza, in base al combinato disposto dei commi 1 e 12 del citato art. 37 d.lgs. n. 81/2008, ritenendo che la formazione sia “non sufficiente ed adeguata”.

 

Ora, di fronte a tale chiarezza interpretativa, e di interpretazione autentica si tratta, ci chiediamo cosa vi sia ancora alcune volte da dibattere.

La collaborazione con gli organismi paritetici, ( e solo con quelli, poiché l’Accordo Stato-Regioni del 7 luglio 2016  se da lato ha confermato  tale collaborazione, dall’altro la circoscrive solo  agli “organismi paritetici” cosi come definiti all’art. 2, c. 1, lettera ee), del D.Lgs. n.81/2008) non è requisito cogente della normativa della salute e sicurezza.

 

Il datore di lavoro può non chiedere la collaborazione degli organismi paritetici, anzi, a mio parere non dovrebbe chiederla, poiché questo è un appesantimento “burocratico” di cui non si sentiva, e non si sente l’esigenza.  Perché mai un datore di lavoro, dovrebbe chiedere la collaborazione degli organismi paritetici sull’organizzazione della formazione? Per fare che cosa? Gli accordi Stato/Regioni chiariscono puntualmente gli argomenti da trattare da cui si si desumerà l’adeguatezza della formazione. L’organizzazione della cd. “micro-progettazione” dovrà poi essere tracciata dal “formatore”, che sappiamo non può essere un formatore “qualunque” ma qualificato secondo il Decreto del 06/03/2013.

L’efficacia della formazione è un argomento diverso dall’adeguatezza e necessita di una trattazione specifica, ma certamente la richiesta di collaborazione agli organismi paritetici non fa parte dei requisiti di “efficacia” della formazione.

 

Per concludere direi che quando si parla di “semplificazione” degli adempimenti e di “aiuto” alle imprese nell’applicazione delle normative sulla salute e sicurezza, bisognerebbe guardare sempre all’aspetto “applicativo” delle stesse e non hai “desiderata” di chi scrive le norme come “punto di caduta” tra varie visioni della realtà.

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