LA VICENDA RELIGIOSO-SPORTIVA, A L’AQUILA,
DALLE ORIGINI ALLO SPORTING CLUB DEL TERZ’ORDINE FRANCESCANO (1958-1985).
di Enrico Cavalli
L’AQUILA – La recente storiografia sportiva, riconosce all’istituzione religiosa l’aver contribuito a sdoganare il fenomeno sportivo. Al di là dei miti olimpici, lo sport era visto come aspetto di deterioramento del corpo, sia dal punto di vista morale che materiale. A fine ’800, in alternativa alle attività sportive sponsorizzate dalle organizzazioni che facevano riferimento al liberalismo e al radicalismo laico, sorsero circoli per discipline a squadra ed individuali anche negli ambienti dell’associazionismo cattolico. E’ sintomatico, a questo riguardo, che nel 1913 i sodalizi laicisti tentassero di emarginare dal mondo della ginnastica le palestre gestite dai cattolici che volevano lealmente incrociare gli SportKlub asburgici.
Un certo tradizionalismo ecclesiale, critico nei confronti di certi aspetti delle fisicità, strumentalizzabili dai totalitarismi e dalle cosiddette “plutocrazie”, contribuiva a ritardare una comprensione del fenomeno sportivo nella sua dimensione di disciplina fisica ed intellettiva nello spirito di una leale competizione. Il contrasto post concordatario fra regime fascista e Chiesa cattolica, avvenuto nel 1931 sul terreno dell’educazione dei giovani, minando l’autonomia dei sodalizi religiosi che si andavano consolidando (prova ne sia la soppressione d’autorità della Federazione delle Associazioni Sportive Cattoliche), favorì la maturazione della pratica sportiva da parte di associazioni d’ispirazione cattolica, nonché il sempre maggiore interessamento, su questo terreno decisivo della pedagogia giovanile, degli stessi Ordini religiosi, in primis i Salesiani.
Nel secondo dopoguerra, mentre l’Azione Cattolica fondava il Centro Sportivo Italiano, la Democrazia Cristiana promuoveva la creazione delle associazioni Libertas. Questi organismi, espressione di quel collateralismo cattolico che si consolidò in quegli anni contrassegnati da una dura contrapposizione ideologica, furono i diretti concorrenti di omologhi collettori sportivi (UISP, AICS, ACSI, CSL, CNS, ecc.) che facevano capo alle macchine organizzative messe in piedi da altri partiti politici.
E’ in questo contesto che si collocano i discorsi ”sportivi” del pontefice Pio XII: l’invito, nel settembre 1947, agli accorsi in piazza San Pietro “per la conquista nella vita religiosa della maglia della vittoria”; la “benedizione” del trionfatore al Tour de France, Gino Bartali, in provvidenziale concomitanza con l’attentato a Palmiro Togliatti, nel luglio 1948; il monito alla stampa sportiva italiana il 10 novembre 1952 in preparazione delle Olimpiadi di Roma 1960, allorché disse che “lo sport è lungi dall’intralciare l’uomo, anzi, il perfezionamento morale e materiale dell’uomo deve promuoverlo di contro al materialismo moderno”.
Al clima dell’athleticism, cioè dello sport fisico inscindibile dall’etica, si ispirò l’attività nella miriade di campetti e piccole palestre delle innumerevoli parrocchie e conventi della penisola. Nell’Italia centro-meridionale il consolidamento degli organismi sportivo-religiosi avvenne nelle grandi aree urbane. In controtendenza l’Abruzzo, regione dove, a motivo della estrema pervasività sociale della Chiesa, i circoli e le espressioni sportive legate alle parrocchie e agli ordini religiosi denotano punte di avanguardia, per l’approccio degli stessi disabili alle pratiche ginnastiche.
Nel capoluogo di regione, dove rimangono salde e vivaci le radici dell’associazionismo cattolico anche dopo la fase bellica, emergeva il più importante posizionamento delle attività sportive entro la chiave religiosa. Recitano, a questo proposito, un ruolo importante i giovani prelati formatisi nell’era dell’arcivescovo Carlo Confalonieri, per il ruolo crescente della Libertas e per la stessa storica presenza degli Ordini religiosi: basti pensare alla palestra e al campo di tennis annessi al Collegio dei Gesuiti in via Camponeschi, o ai Salesiani, insediatisi alla metà degli anni Trenta al quarto di San Pietro, che tanti giovani ammaestreranno alla pratica sportiva.
L’Ordine dei Frati Minori Francescani di San Bernardino, più tardivamente intese curare gli slanci atletici dei giovani del centro storico, collocandosi a metà fra le discipline di massa dei Salesiani e quelle elitarie dei Gesuiti, questo soprattutto a causa della mancanza di spiazzi adiacenti al Convento. Nel rispetto di un codice etico di rigoroso limite dilettantistico e di equilibrata partecipazione alla competizione, nell’ottobre 1958, su impulso di quel grande educatore che fu Padre Casimiro Centi, la cui memoria è assai cara agli aquilani, nasceva lo Sporting Club del Terz’Ordine Francescano (TOF) di via Vittorio Veneto.
Colpisce, in un panorama sportivo comprensoriale imperniato sulle varie Associazioni, Unioni, Società, (massimamente del calcio e del rugby), la sigla Sporting, ad evocazione superficiale di circoli da piccolo cabotaggio, essendo invece la proiezione locale di terminologie in uso nelle espressioni agonistiche d’Oltralpe. I colori sociali furono, in omaggio al grande Santo Francesco, il bianco a fascia trasversale rossoblu, secondo la moda d’epoca, per i ragazzi; in tinta variabile, per le ragazze. Lo Sporting Club del TOF, nelle varie discipline sportive (calcio, pongismo e pallavolo), puntava alla promozione morale e sociale delle giovani generazioni aquilane, chiamate a testimoniare nella quotidianità i valori etici della pratica sportiva.
L’epilogo di questo grande sodalizio sportivo, avvenuto nel 1985, è da attribuire, oltre che a ragioni interne alla migliore prosecuzione della più grande associazione laicale di riferimento, ad un quadro socio-sportivo, sia a livello locale che in senso più esteso, che aveva subito una notevole trasformazione in senso consumistico. Trasaliva, all’interno dello Sporting Club del TOF, il convincimento d’una definitiva messa in discussione di quelle finalità di pura espressione fisica e morale che erano state alla base del progetto iniziale. Al di là del dato meramente sportivo, si tratta di una pagina, quella appena descritta, di un’aquilanità di cui oggi si avverte il bisogno civico, perché scritta da protagonisti attenti, in campo e fuori dal campo, alla salvaguardia dei simboli dell’identità territoriale, nel segno di una pratica sportiva inscindibile dai valori morali e al di fuori di ogni ideologismo a buon mercato.