” Ero una bambina, 5′ elementare alla De Amicis. A scuola mi portava in macchina mio padre, Vincenzo con Fabrizio mio fratello che faceva la prima. Ma quei giorni di fine febbraio, papà era spaventato e ci portava mal volentieri. Fu un sollievo per lui e per mia madre, quando la scuola venne chiusa. Sciopero generale. Sono ricordi di bambina, i fumogeni, il ritorno a casa precipitoso per evitare guai, quel battesimo importante fatto in casa, le chiacchiere dei genitori a bassa voce per non spaventarci. Solo dopo ho capito, letto, ricostruito, ascoltato le voci dei diretti testimoni. Furono giorni drammatici, la città era ferita, il capoluogo era stato difeso , ma con gli assessorati distribuiti tra L’Aquila e Pescara e faceva tanto male. E la città insorse. Sono trascorsi 50 anni, ero una bimba, ma so per certo che quella ferita non è rimarginata. E come avrebbe potuto? L’Aquila scopri allora la sua vulnerabilità e fragilità, di fronte a Pescara che con tutta l’area della costa cresceva con nuove e moderne economie. La politica cittadina subì una battuta d’arresto e si indebolì ulteriormente. Colpita dalla decisione di una maggioranza e avversata dalla città che si senti tradita. La federazione del PCI fu attaccata e saccheggiata, ci sarei entrata per la prima volta pochi anni dopo quei giorni di rivolta per riunioni ed incontri. Le porte di legno dei negozi di Piazza Palazzo hanno portato fino al terremoto le tracce di quegli attacchi. I racconti appassionati di Alvaro Iovannitti, di Petruccioli, di Federico Brini e di tanti compagni che vissero quei giorni, li ricordo a perfezione. Così come ho impresse nella testa le parole di Luciano Fabiani. Quella mediazione in quel momento era l’unica cosa possibile per salvare il capoluogo. La durezza e la difficoltà di quelle decisioni ce le portiamo ancora addosso. Non solo per la pervicace sindrome dello scippo che ancora oggi attraversa il sentimento prevalente della città, ma anche perché da allora la cesura tra costa ed aree interne si è ulteriormente aggravata. Al di là delle parole di circostanza, la nostra regione non è ancora Abruzzo. Ed i tentativi di acquisire sedi, uffici, istituzioni si sono susseguiti in questi 50 anni. All’indomani del terremoto tutta la regione si è stretta attorno a noi in una prova di umanità e di solidarietà straordinaria. Intanto però con i fondi dell’assicurazione del nostro ospedale si risanava la sanità regionale, e nella notte dei lunghi coltelli a maggio del 2009 alla Guardia di Finanza con urli e strilli Massimo Cialente impedì al governo Berlusconi di autorizzare lo spostamento di uffici e sedi universitarie. E persino nel tempo del COVID la classe dirigente regionale si è mostrata egoista e squilibrata, con la decisione dell’ospedale COVID di 13 milioni a Pescara. Dopo 50 anni, forse è il caso di darci un progetto nuovo, che faccia tesoro di ogni accadimento della storia e produca da lì una energia pulita. Le giovani generazioni poco sanno dei moti dell’Aquila, però avvertono, pur nell’amore verso questo luogo straordinario, che manca qualcosa, un’ambizione, un’idea, un progetto di una L’Aquila grande, guida di un territorio, terra madre e non Cenerentola.” Così Stefania Pezzopane Deputata Dem ricorda i moti dell’Aquila.