LE NOSTRE MONTAGNE RACCONTANO. LA SORGENTE DI FONTE GRANDE A CELANO: UN TESORO A CIELO APERTO

Viaggio nel tempo tra i ruderi dellantico castello-recinto del Monte Tino e dei vecchi opifici del contado di Celano

di Angelo Ianni

La sorgente Fonte Grande si trova ai piedi del Monte Tino (1923 m) meglio conosciuto come Serra di Celano, in un’area posta nelle immediate vicinanze dei ruderi della vecchia Celano. Qui ancora si possono ammirare lunghi tratti delle mura di cinta e di terrazzamento con resti di torrette rompitratta e cisterne per la raccolta dell’acqua e, probabilmente, di due chiese (S. Agata e S. Bartolomeo) che dopo otto secoli testimoniano ancora l’esistenza dell’antico incastellamento risalente alla Celano antica distrutta verso la fine di aprile del 1223 da Enrico Di Morra dopo l’assedio personalmente condotto dall’imperatore Federico II di Svevia.

Essa era posta al limite inferiore del ”castello-recinto” di Monte Tino che con la “TurrisCelani”, a quota 1161 (Croce), scendeva a pianta triangolare, fino alla Fons Aurea(FonteGrande) poco sopra la ecclesiaSanctiJohannisCaputAquae(chiesa MadonnadelleGrazie) come illustrato in un grafico realizzato dall’amico Riccardo Bruno appassionato di storia locale. Il grafico è, per sua ammissione sproneper auspicabilieapprofonditericerchefuture”.

La sorgente è alimentata dall’unità idrogeologica del Monte Sirente, nel settore sud- occidentale del massiccio montuoso. Le acque emergono limpide e fresche direttamente dall’acquifero carbonatico, per questo Fonte Grande risulta essere una delle sorgenti più fresche dell’intera piana fucense (8. 4 – 8. 8 gradi centigradi con una portata di 200 – 230 litri al secondo). Nel corso dei secoli è stata definita con diversi appellativi: Fons Aurea nell’alto medioevo, Fonte di San Giovanni nel cinquecento, Fonte di San Francesco nell’ottocento, oggi conosciuta come Sorgente Santi Martiri o, per i celanesi, semplicemente Fonte Grande.

Secondo la tradizione

I Protettori di Celano Simplicio, Costanzo e Vittoriano dopo la loro condanna furono condotti dai soldati romani in prossimità di Fonte Grande, luogo della loro decapitazione. Furono proprio le tre teste recise dal carnefice a dar vita, cadendo, ad altrettante sorgenti d’acqua tuttora in attività e prodighe di questo bene prezioso.

Si racconta che quando nel 1923 furono rubate le urne contenenti le reliquie dei tre Santi, il ladro profanatore si allontanò dalla chiesa di San Giovanni, dove erano custodite, in direzione di Fonte Grande, portando con sé le tre urne sottratte. Giunto in prossimità della sorgente si vide sbarrare la strada da un’improvvisa fuoriuscita delle acque che gli impedirono di proseguire. Dopo vari successivi sforzi di superare l’ostacolo, decise di rifugiarsi nella stalla della Gualchiera dove, poco dopo, venne arrestato dai carabinieri.

Prime testimonianze storiche

Nel Medioevo – Nella descrizione di alcuni possedimenti nella Marsica del Monastero benedettino di Farfa (Chronicon Farfense), un documento del 1074 nomina alcuni insediamenti sparsi che formavano una vasta curtis monastica che comprendeva vari casali, denominata Auretinum (identificabile nel castrum Celano

fondato sul Monte Tino). Il Casale Cantalupo ad Molinarios indicava il luogo in cui erano situati i mulini e le abitazioni dei mugnai con i loro nuclei familiari. La data di fondazione di questi impianti non la conosciamo ma è possibile supporre che la loro

costruzione sia avvenuta nel periodo della ricostruzione del nuovo borgo sul Colle San Flaviano, dopo la distruzione della vecchia Celano ad opera dell’imperatore svevo Federico II.

In questo periodo storico il controllo del contado, da parte dei feudatari, veniva soprattutto dai mulini situati nei dintorni del centro abitato, sui fossati che ne delimitavano il perimetro o lungo i corsi d’acqua che ne lambivano le mura. Diversi impianti di macinazione furono edificati lungo il corso del rio generato dalle acque della Fons Aurea (oggi Fonte Grande). Nel corso dei secoli la sorgente ha rivestito un ruolo primario nella vita economica e sociale delle genti che hanno popolato il territorio circostante. Le prime attestazioni dellesistenza dei mulini nella contea di Celano sono riportate nellinventario dei beni del conte Ruggero nel 1387. Nel suddetto inventario viene fatta menzione di tre mulini denominati molino di ponte, molino di mezzo e molino albo, appartenenti al capitolo della chiesa di San Giovanni Battista di Celano, sui quali Ruggero II esercitava lo ius patronatus.

All’inizio del quattrocento si ha notizia di un altro mulino denominato lo molino Adriano sito in territorio et acquae Celani, appellativo derivante, probabilmente, da un antico affittuario. Le quote possedute di questo impianto erano divise in 4 parti:due appartenenti ai Monaci Celestini di San Michele Arcangelo, una e mezzo al capitolo della collegiata di San Giovanni Battista e la rimanente mezza quota ad alcuni privati. (A.P.C. reg. n.1).

Dai Berardi ai Piccolomini ai Peretti

I feudatari della contea di Celano alla seconda metà del XIV secolo erano i Berardi che amministravano un ampio territorio comprendente, oltre ai paesi rivieraschi del lago del Fucino, anche la Valle Roveto, quella Subequana e la Baronia di Carapelle.

Dopo i Berardi e un breve periodo dei Colonna, nel 1461, anno dell’unione tra Maria d’Aragona, figlia del re di Napoli Ferrante d’Aragona, e Antonio Piccolomini, nipote di papa Pio II, la contea dei conti Berardi passò alla famiglia senese dei Piccolomini. Entro la metà del XVI secolo, durante l’edificazione della terza cinta muraria di Celano, i Piccolomini compresero l’importanza di aprire una nuova porta di accesso sul versante ovest, direttamente in direzione dei complessi artigianali. Porta Mastro Giulio permetteva agli abitanti del nuovo borgo di raggiungere agevolmente i mulini e la Gualchiera. A questo periodo (1591) risale una delle fonti storiche più interessanti, ossia l’atto di vendita della contea di Celano stipulato dai Piccolomini a favore di Camilla Peretti (sorella di papa Sisto V). Da questa attestazione è consentito dare una collocazione topografica degli impianti di macinazione esistenti sul territorio. Il primo impianto identificato come Molendium de Ponte di Ruggero II, era situato nel fondo della Sorgente di Fonte Grande, affiancato alla chiesa di Sancti Johannis Caput Aquae (oggi Santa Maria Delle Grazie). Tale mulino passerà indenne attraverso le vicissitudini dei secoli successivi, fino a raggiungere il XX secolo con l’appellativo di Molino da Capo. Il secondo, posto più a valle, nella contrada della Cotarda, è noto nel xv secolo come Mulino Adriano. Fu fondato dai Celestini di San Michele Arcangelo che detenevano la quota maggiore di possesso. I suoi ruderi vennero riutilizzati nel ‘700 per edificarvi un nuovo opificio denominato molino da Piedi. Anch’esso, come il molino da Capo, era ancora in funzione nei primi anni del xx secolo. Gli ultimi due mulini, denominati , de medium e Albo, di cui oggi sono visibili alcuni ruderi, si trovano in contrada Gualchiera nei pressi di Tre Ponti di legno.

Le acque della Sorgente di Fonte Grande hanno animato fino ai primi anni del ’900 i mulini, gli impianti della Gualchiera e della Cartiera di Celano. Probabilmente verso la metà del ‘600 con la costruzione della cartiera, venne riattivato il mulino di Mezzo, ancora esistente a Celano. Attualmente l’impianto si presenta come una costruzione a pianta rettangolare ad unico livello con relativo canaletto di carica. La vecchia struttura fu restaurata dopo il sisma del 1915 e più recentemente dalla famiglia Torrelli che ne risulta anche proprietaria.

Restauro della Gualchiera

All’inizio del XVII secolo (1608) Michele Peretti restaurò la Gualchiera e apportò modifiche al castello dove appose la sua iscrizione. All’imbocco di Via della Torre sono ancora visibili i ruderi dello stenditoio della Cartiera di Celano. Il famoso “Codice Lauri”, uno dei tre manoscritti apografi del “Trattato della pittura” di Leonardo da Vinci fu redatto su carta della Cartiera di Celano. Tutti i mulini feudali di Celano erano soggetti allo ius prohibendi: il feudatario obbligava i vassalli della contea a macinare le granaglie presso i propri impianti, dietro corresponsione di una quota di macinato e vietava a chiunque di costruire altri mulini senza il suo permesso. Lo stesso avveniva per la Gualchiera (macchina idraulica che serviva per pressare la lana), la conceria e le pincerie.

Nel 1850 un nuovo opificio sorse vicinissimo alla sorgente di Fonte Grande, a monte del mulino da Capo, il quale prese il nome dalla nobile famiglia che lo finanzio, cioè mulino Arezzo. All’inizio del novecento, in base alle norme contenute nel Regio Decreto dell’8 gennaio 1905, il comune acquisì tramite esproprio i mulini di Fonte Grande. Negli anni successivi al sisma del 1915, furono riaperti il Mulino Arezzo e da Capo. Nel 1930 il mulino Arezzo fu smantellato per far posto all’impianto di innalzamento dell’acqua potabile. (D. Pestilli 1998).

La stessa sorte al mulino da Capo che negli anni ’50 venne demolito per lasciar posto al fabbricato del mattatoio comunale, mentre un’abitazione privata ha inglobato, nella sua struttura ciò che rimaneva del mulino da Piedi. La struttura del mulino che sorge in località Gualchiera, è stata inglobata interamente da un’abitazione privata. Saettiera, canale di carica, con ruota di macina sono ancora ben visibili. Alla fine del XIX secolo, in epoca industriale, con l’avvento dei motori a combustione e l’energia elettrica per applicazioni artigianali, venne inventata la ruota a cilindri per la molitura dei cereali. Tutta una serie di accorgimenti tecnici modificò le strutture meccaniche: ruote, pale e ruote dentate in ferro, cinghie per la trasmissione della forza motrice,

turbine idrauliche ad altissimo rendimento collegati a generatori elettrici. Con questa nuova tecnologia, per la prima volta nella storia, fu possibile disgiungere il luogo di produzione dell’energia dal luogo di sfruttamento della forza motrice.

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