NOTE SU “LA PARABOLA DEI TRE ANELLI” DI ROBERTO CELADA BALLANTI

Il volume “La parabola dei tre anelli – Migrazioni e metamorfosi di un racconto tra Oriente e Occidente” di Roberto Celada Ballanti (Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, 2017) ricostruisce la storia, complessa e ricca di fascino, tra Medioevo ed età moderna, della Parabola dei tre anelli, novella che, traendo linfa dalle religioni del Libro – Ebraismo, Cristianesimo, Islam -, schiude in esse un elemento di perturbante problematicità. Si tratta della “lacuna” segnata dall’anello autentico confuso tra copie fatte forgiare da un buon padre – così nella versione del Decameron di Boccaccio – per non mortificare nessuno dei tre figli, ugualmente amati, il cui esito è l’indistinguibilità del gioiello originale, il dubbio su chi lo possegga e sul luogo in cui rinvenirlo. È il “vuoto” che, sospendendo la pretesa di un’origine esclusiva, ricorda alle religioni la vanità di ogni chiusura e intolleranza.

Tale è l’eredità più profonda trasmessa da quella favola, di cui pur sono note anche formulazioni medievali “apologetiche”. Dalla più antica redazione conosciuta, la parabola della perla caduta nella notte, contenuta in un dialogo tra Timoteo I e al-Mahdī nella Baghdad del secolo VIII, alla terza novella della prima giornata del Decameron, fino al dramma teatrale illuminista Nathan il Saggio di Lessing, il racconto, migrando, tra Oriente e Occidente, trasformandosi, varcando confini identitari, ridisegnando mappe geopolitiche, resta un riferimento essenziale per il dialogo tra le religioni. Ponendosi nella zona indefinita tra narrazione e speculazione, esso indica una via che ancora attende di essere percorsa fino in fondo. 

Il volume dedica un primo capitolo alla versione più classica della novella, che si trova nel Decameron di Boccaccio (terza novella della prima giornata) e, attraverso questa fonte, giunge a Lessing e al dramma teatrale illuminista Nathan il saggio (1779). Si tratta, com’è noto, di un racconto che narra la storia di un padre di tre figli (i tre monoteismi), il quale conia due copie di un anello al fine di non privilegiare nessuno di loro. I figli, alla morte del padre, si trovano nell’impossibilità di sapere quale dei tre sia l’anello autentico, che pure c’è ed è uno dei tre. Così, impossibile risulta sapere sul piano storico quale delle tre religioni sia quella vera. La verità, così, è dovunque, è universale.

La parabola degli anelli ha una storia complessa, per le sue origini quasi certamente orientali, legate alla Persia e alla cultura islamica, che si trapiantano in Occidente intorno al XII-XIII secolo attraverso la porta d’ingresso della Spagna islamica, finendo per contaminare la cultura ebraica e cristiana, come le numerose redazioni tra il 1100 e la metà del 1200 attestano. L’intenzione dell’autore è stata di ricostruire la storia della novella, mostrando quanto essa, nelle migrazioni e trasformazioni che subisce, appartenga a tutte le religioni del Libro, quasi a rappresentarne un ponte di riconoscimento e di traducibilità. Se ne conoscono, infatti, versioni islamiche, ebraiche e cristiane.

Prese, dunque, le mosse da un capitolo su Boccaccio, in cui viene svolta un’analisi della terza novella della prima giornata nell’orizzonte complessivo del Decameron, sostando sull’incipit dedicato alla peste e sulle prime tre novelle “teologiche”, segue un secondo capitolo che ricostruisce la storia del racconto e delle sue metamorfosi tra Oriente e Occidente, passando da Baghdad, dalla Spagna andalusa, dalla Francia, dall’Italia. Infine, il terzo capitolo è dedicato a Lessing e all’analisi di Nathan il saggio (1779), al centro del quale si trova la parabola degli anelli e una sua rivisitazione, arricchita di risonanze e implicazioni moderne.

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