” ancor la terra resta tetra al ricordo di coloro che ha nascosto, e che non ha ridato piu’ alla vita” (Cicchetti Ivan)
MARIO CAPUANO
I motori erano la sua passione, ma aveva scelto, come il padre, la professione di medico. Per la sue idee democratiche era stato sottoposto a vigilanza dalla polizia fascista. Chiamato alle armi, Mario Capuani, sul fronte occidentale, dà il meglio di sé nella cura dei feriti e, quando è congedato, è nominato presidente dell’Opera Maternità e Infanzia. Al suo paese si fa fama di dottore dei poveri e al tempo stesso, il suo studio medico di Teramo diventa punto di riferimento degli antifascisti della provincia. Capuani fonda il Partito d’azione teramano, s’impegna nella raccolta di fondi a sostegno dei perseguitati politici, diffonde la stampa clandestina e, quando Mussolini cade, con comunisti, cattolici, socialisti e democratici getta le basi di quello che, dopo l’8 settembre 1943, diventerà il “Comitato insurrezionale”. Mario conosce come pochi i monti sopra Torricella Sicura ed è lui che propone la zona di Bosco Martese come roccaforte della guerriglia. È qui che i tedeschi, guidati da fascisti teramani, attaccano in forze il 25 settembre, subendo una sanguinosa sconfitta. Si rifanno due giorni dopo arrestando Capuani ed eliminandolo con un colpo alla nuca. È questo il decreto col quale, nel 1980, il Presidente della Repubblica Sandro Pertini ha concesso la Medaglia d’oro a Mario Capuani: “Ideatore di un complesso piano di resistenza armata contro gli oppressori, si imponeva sin dai primi giorni per la sagacia nell’organizzazione e l’ardimento nell’operare. Trasformava, con grande sprezzo del pericolo, il suo studio medico in deposito d’armi e centro di coordinamento e informazioni di ogni attività patriottica della zona di Teramo. L’ 8 settembre 1943, con audace colpo di mano, si impadroniva della località Bosco Martese, rendendola luogo fortificato e centro di resistenza partigiana, dando così inizio alle attività belliche che si conclusero con la liberazione di Teramo, il 17 giugno 1944. Catturato la notte del 27 settembre 1943 ed invitato a collaborare ed a fornire i nomi dei compagni d’arme, opponeva sdegnoso rifiuto e veniva trucidato con un colpo alla nuca sul luogo dello scontro al grido di «Viva l’Italia libera! »”. A Mario Capuani, nel 1952, era stato eretto un monumento nella Villa comunale di Teramo; lo ricorda pure una lapide murata all’esterno della Civica Residenza. Molte le iniziative in sua memoria nella Provincia che, il 15 settembre 2005, il Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, ha insignito della Medaglia d’oro al merito civile per il contributo dato alla Resistenza.
ANDREA CASCELLA
Mobilitato nell’Esercito durante la Seconda guerra mondiale, fece parte delle nostre truppe d’occupazione in Francia. Dopo l’armistizio si diede alla macchia in Valsesia ed entrò, quindi, nella Resistenza. Aggregatosi alle formazioni garibaldine, Andrea Cascella divenne comandante della 15ma Brigata “Rocco”, particolarmente attiva nella zona di Arona (Novara), nei primi mesi del 1945. Dopo la Liberazione Cascella, con la collaborazione del fratello Pietro, si dedicò alla scultura e finì per stabilirsi a Milano, diventando un esponente dell’Astrattismo europeo. Tra le sue tante opere ne ricordiamo alcune dedicate alla Resistenza e, in particolare, nel Novarese, i Monumenti ai Caduti della Libertà nel cimitero di Romagnano Sesia e in quello di Casale Corte Cerro. Nel 1985 Cascella ha realizzato a Milano, in piazza Leonardo da Vinci, la grande fontana dedicata alla pace.
MARIO CELIO
Chiamato alle armi, aveva partecipato come caporale carrista alle operazioni belliche in Africa settentrionale. Al momento dell’armistizio il giovane si trovava dai suoi, in licenza di convalescenza. Non esitò a lasciare Avezzano per prendere parte alla Guerra di Liberazione, nella quale si distinse, a più riprese, per il suo coraggio. Fu fucilato all’Aquila, dopo il fallimento di un tentativo di liberare i detenuti politici rinchiusi nel carcere di Avezzano e in procinto di essere deportati in Germania. Per portare a compimento la sua azione, Celio finse di arruolarsi nell’unità fascista “La Duchessa”, ma il colpo non gli riuscì. La massima ricompensa al valor militare alla memoria di Mario Celio ha questa motivazione: “Magnifica figura di intrepido combattente attaccava da solo, in diverse occasioni, soverchianti forze nemiche, infliggendo sempre a queste gravi perdite in uomini e materiali. Gravemente ferito veniva catturato e condannato a morte. Riuscito ad evadere riprendeva la lotta, catturato una seconda volta e nuovamente evaso, ritornava a combattere. Nel corso di un’audace impresa da lui organizzata per liberare alcuni partigiani dal carcere in cui erano detenuti, scoperto e circondato dalle guardie armate, apriva contro queste il fuoco abbattendone due e ferendone altre, finché dopo strenua lotta, esaurite le munizioni, veniva per la terza volta catturato. Sottoposto a torture e sevizie, teneva contegno fiero e superbo; condannato a morte affrontava il plotone di esecuzione con il coraggio degli stoici e la serenità dei martiri più puri”.
PASQUALE COLAGRANDE
Nel settembre del 1938 il giovane magistrato era stato inviato a Ferrara come sostituto procuratore del re. Di sentimenti democratici, non aveva tardato a prendere contatto con gli antifascisti del luogo e, nel 1941, aveva aderito al Partito d’Azione clandestino, che avrebbe poi rappresentato nel primo CLN di Ferrara, costituitosi dopo l’8 settembre 1943. Alla caduta del fascismo, il 25 luglio del 1943, Colagrande si affrettò a recarsi di persona alle carceri di Piangipane, ordinando l’immediata scarcerazione di tutti i detenuti politici che vi erano trattenuti. Questo suo gesto non fu dimenticato dai fascisti ferraresi che, un mese dopo l’armistizio, arrestarono il procuratore insieme con altri resistenti. Rinchiuso in carcere, Colagrande rifiutò di evadere secondo la proposta che gli aveva fatto il direttore della prigione che, tenendo in considerazione il ruolo del magistrato, avrebbe chiuso un occhio. “Salvarsi? O tutti o nessuno” rispose il prigioniero che, nella notte tra il 14 e il 15 novembre fu fucilato con altri dieci patrioti davanti al Castello estense di Ferrara, dove una lapide lo ricorda con i suoi compagni di martirio. La strage fu perpetrata dai repubblichini per ritorsione all’uccisione del federale di Ferrara, Igino Ghisellini, che molto probabilmente fu vittima di una faida tra fascisti. Del sacrificio di Colagrande, Piero Calamandrei ebbe, a suo tempo, a parlare in questi termini: “Pareva che dicesse il magistrato: la Legge, anche quella del sacrificio, è uguale per tutti. E poiché gli altri non si salvarono, egli uscì dalla porta del carcere, a passo sicuro, incontro al plotone di esecuzione, prima di tutti gli altri”. Il 22 novembre 2005 la città dell’Aquila ha ricordato con una solenne cerimonia (era presente anche il vice presidente del Consiglio superiore della Magistratura, Virginio Rognoni), il sacrificio di Pasquale Colagrande e del suo amico magistrato Mario Tradardi, caduto combattendo contro i tedeschi sulla “linea Gotica”. A Colagrande sono state intitolate vie a Ferrara e all’Aquila.
( a cura di Cicchetti Ivan)