PREMIO KAOS 2016, LIA LO BUE FINALISTA CON "LA STANZA DEI RICORDI". L'INTERVISTA: LE DONNE HANNO TANTO DA RACCONTARE

Continuiamo a scoprire e conoscere le cinque finaliste del Premio letterario Kaos, il festival itinerante dell’editoria, della legalità e dell’identità siciliana che si svolgerà a Racalmuto il 28, 29 e 30 ottobre 2016 nei locali del Castello. Oggi incontriamo e intervistiamo Lia Lo Bue, autrice del romanzo “La stanza dei ricordi” (Algra editore, pagg. 108, € 10.00).

Finalista al premio Kaos 2016: un commento…

Non mi aspettavo assolutamente di essere inserita tra i 5 finalisti del premio Kaos. Ho chiesto all’editore Alfio Grasso di inviare le copie quasi per gioco. Mi sono detta perché no? Ho 53 anni ma a livello di scrittura ho iniziato da poco a muovermi in questo mondo che anche da piccola esercitava grande fascino su di me al punto da sognare che un giorno avrei scritto qualcosa di bello che mi avrebbe reso famosa. La letteratura crea e regala sia a chi legge sia a chi scrive grandi emozioni.

Assieme a lei altre quattro scrittrici: curiosa coincidenza secondo lei?

Perché stupirsi? Qualcuno si sarebbe meravigliato se la scelta fosse ricaduta su cinque scrittori? Una mia amica sostiene che gli uomini sappiano scrivere meglio delle donne: io non lo credo affatto. La ricchezza interiore delle donne è enorme e dopo secoli di mutismo forzato o di racconti nel chiuso di quattro mura con altre donne, adesso, la nostra voce chiede ed esige di uscire allo scoperto e di essere ascoltata da tutti. Abbiamo tanto da raccontare: ciò che viviamo in prima persona come donne e ciò che hanno vissuto prima di noi le nostre antenate. Siamo imbevute del nostro passato che diventa arma potente per vivere meglio il presente e preparare un futuro accogliente. Quindi non la ritengo una coincidenza: semplicemente le donne siciliane hanno tanto di interessante da dire.

 

“La stanza dei ricordi” è il suo primo romanzo?

La stanza dei ricordi, scritto in un arco di tempo che va dal 2013 al 2016 è stato pubblicato agli inizi di maggio di quest’anno poche settimane prima dell’altro mio romanzo La bellezza dell’acqua uscito agli inizi di giugno e presentato ad Una marina di libri a Palermo. Il 2016 si è rivelato un anno molto proficuo per me: infatti, oltre ai due romanzi, ha visto la luce anche una silloge poetica dal titolo Battiti di ciglia.

Facile passare dai versi alla narrativa?

Passare dalla poesia alla prosa e viceversa non è stato problematico. Personalmente non  vedo barriere tra i due generi: sono solo diverse modalità di espressione. In fondo, se ci pensiamo bene, sia la poesia sia la prosa sono sempre idee e sentimenti espressi in parole. Non ho incontrato particolari difficoltà anzi cercare di esprimere in modo esteso e compiuto ciò che di solito ero costretta dalla poesia in quanto tale ad esprimere in modo sintetico quasi ermetico mi ha regalato una sorta di tranquillità, di piacevole abbandono. Ho avuto  la sensazione di potermi sdraiare sulle frasi lunghe, complesse, sintatticamente articolate dopo essere stata tanto tempo seduta, seppur comodamente sulla sedia della poesia, essenziale, scarna, evocativa. Tra l’altro, una delle composizioni che più amo scrivere è lo haiku: poemetto giapponese di 3 versi e di 17 sillabe, quindi il massimo della sintesi. Sì, scrivere La stanza dei ricordi ha soddisfatto la mia sete di parole e di dettagli, di descrizioni e di dialoghi, di narrazione e di musica, perché le parole in qualunque modo le usi in letteratura alla fine sono sempre e comunque musica.

 

Tornando al romanzo, quando la trama e i personaggi hanno cominciato a prendere corpo?

La struttura del romanzo per come è poi stato pubblicato prende corpo non contemporaneamente alla stesura del libro ma in seguito al suggerimento di un mio amico e collega che stimo molto: il prof Campanella autore tra l’altro anche della prefazione. In origine l’opera era una raccolta di racconti con persino un titolo diverso ed era stata scritta sull’onda delfuror scribendi seguito a un laboratorio di scrittura svolto con colei che ritengo la mia maestra e mentore Beatrice Monroy (vincitrice premio Kaos 2014ndr). Ad un certo punto i racconti scritti erano diventati tanti ognuno ambientato in un luogo o quantomeno ad un luogo legati. Il prof campanella a cui avevo chiesto di leggerli per sapere se c’era qualcosa di buono in loro mi ha suggerito di renderli più compatti, di dar loro unità utilizzando una cornice narrativa e io forse influenzata dal canterbury tales che stavo spiegando in classe ho pensato di accettare il suggerimento e inserire questa frame work partendo da un fatto reale, una sorta di viaggio, quasi un pellegrinaggio nel luogo del mio passato. Credo che l’opera abbia tratto da questa modifica e dall’aggiunta dei disegni della pittrice Dolores Silveira una completezza che prima non aveva.

La sofferenza dà una particolare sensibilità alla facoltà creativa? Attraversa anche il suo romanzo?

A volte scherzando mi dico che non mi sembra di conoscere scrittori che in un modo o nell’altro non abbiano sofferto e mi vengono in mente Leopardi o Pascoli, Emily Dickinson e Keats per non parlare delle meravigliose Alda Merini e Antonia Pozzi. La sofferenza, benché non augurabile a nessuno, ha un suo vantaggio e una sua ragion d’essere: affina la sensibilità e ci permette di cogliere il bello che ci circonda anche si deve cercare ovunque per farlo venire alla luce. Nel mio caso sono sicura non sarei qui senza la mia sofferenza. Sarei stata presa da mille altre cose e interessi e invece il ripiegamento su me stessa, l’analisi profonda degli eventi e delle emozioni e  delle reazioni che questi provocavano in me, la riflessione sulla vita in generale e la solitudine vissuta sulla mia pelle nei periodi di sofferenza e dolore fisico o psicologico mi hanno regalato la capacità di vedere con occhi diversi la vita e il mondo intorno a me e anche una forza che deriva soprattutto dall’accettazione di tutto ciò che l’esistenza mi regala. Il dono più grande della sofferenza è stato anche il nuovo valore che ho imparato a dare alla solitudine che per me è “stare in compagnia di me stessa”

Il libro, che non è autobiografico o perlomeno non lo è del tutto perché oscilla sempre tra il vissuto e il sognato, tra l’incubo e il sogno, tra la realtà e l’immaginazione, tra il futuro e il passato, mi ha dato una grande spinta per andare oltre … oltre anche me stessa e la sofferenza che, mio malgrado, scorre tra le pagine, velata di salvifica autoironia.

 

A chi dedica questo romanzo? soprattutto verso chi spera ne arrivi il messaggio?

Il romanzo è dedicato, come si può leggere prima della prefazione, ad una mia grandissima amica che non c’è più e di cui conserverò per sempre il ricordo e l’amore. Mi è stato chiesto durante una presentazione se pensavo che il romanzo, in quanto quasi memoriale o apparentemente autobiografico, potesse essere interessante per eventuali futuri lettori. La domanda mi ha fatto riflettere molto sul perché ho deciso di scrivere e di scrivere proprio La stanza dei ricordi e la conclusione a cui sono giunta è che se ciò che scrivo riesce ad abbandonare la sua configurazione di racconto personale e intimo per toccare il cuore di chi lo legge che nelle mie parole si ritrova, si identifica, si commuove, ricorda e rivive, allora scrivereLa stanza dei ricordi ne è valsa la pena. Quando una storia da personale riesce a diventare universale, toccando il cuore di chi la legge, deve essere scritta. Il mio messaggio è che non siamo nulla senza il passato ma è nel presente che bisogna vivere giorno dopo giorno, altrimenti non avremo futuro. Penso che il messaggio valga per tutti. Giovanni Zambito.

 

 

 

 

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