Sono rattristato dal fatto che -a Roma- abbiano del tempo da dedicare per chiederci di chiudere il punto nascite di Sulmona. Un “no” alla proroga dell’apertura che ci destabilizza e demoralizza, soprattutto alla luce di quanto si è fatto per tenerlo aperto, con un movimento di piazza che ne contrastò la chiusura.
Questa pandemia ci ha insegnato -come se ce ne fosse stato bisogno- che la salute, oltre ad essere un diritto, rappresenta anche un asset strategico per il nostro paese. Si parla sempre di spopolamento delle aree interne, di desertificazione, di innalzamento delle età media; questi interventi non fanno altro che rendere meno gestibili questi territori, spogliandoli di qualsivoglia servizio. Se diventa impossibile nascere a Sulmona, dove partoriranno le donne dell’immediato circondario montano?
Il ministero dice che siamo sotto la soglia dei 500? Mi dissocio da questa affermazione: i servizi essenziali, per essere tali, non devono basarsi semplicemente su un rigido calcolo numerico, ma devono tenere conto di moltissimi altri fattori come l’accesso alle autostrade, l’accesso ad una rete mobile, la prossimità dall’ospedale più vicino.
L’ospedale più vicino -per i peligni- dove partorire si troverebbe quindi in Marsica, a L’Aquila oppure a Pescara, ma non a Sulmona. Una situazione impraticabile per chi deve scendere dai paesi più remoti -oppure- durante una situazione di emergenza come precipitazioni nevose importanti o peggio un terremoto.
La ratio orografica che il Ministero detiene deve essere rivista, perché lo spopolamento continuerà in maniera repentina con la mancanza di servizi essenziali come quello del punto nascite. Il nostro impegno deve andare in direzione contraria alla spoliazione del territorio peligno.