di Giancarlo Sociali
Chiedo al Parlamento italiano e soprattutto ai ministri del sud Italia di fare accurate indagini per poter riscrivere gli avvenimenti del Risorgimento, al fine di aggiornare i testi scolastici ed informare i giovani sulla vera storia dell’Unità d’Italia.
La frottola storica dei Mille di Garibaldi che arrivarono indisturbati fino a Napoli, sconfiggendo il terzo esercito più potente di Europa, è chiaramente una bufala scritta da pseudo letterati al servizio del potere savoiardo.
E’ risaputo ormai che l’Inghilterra avesse interesse ad occupare la Sicilia per la sua nuova posizione strategica nei confronti delle Indie, attraverso l’apertura del canale di Suez, tant’è che Garibaldi, ad occupazione avvenuta, fu accolto come un eroe a Londra e festeggiato come un conquistatore inglese.
Il procuratore Gratteri si chiede come è possibile che solo 1000 uomini abbiano potuto sconfiggere una porzione rilevante di borbonici. Da documenti originali si evince che erano stanziati in Sicilia oltre 25.000 uomini in pieno assetto di guerra. L’esercito borbonico aveva oltre 140.000 militari. Che cosa accadde allora? Accadde che lo Stato nascente italiano fece i primi accordi con la Mafia.
A Napoli infatti, si consacrò l’accordo Stato / criminalità organizzata. Vennero a patti Liborio Romano (per i Savoia) e Tore De Crescenzo (capi della criminalità organizzata al tempo): fedina penale pulita ed il comando della nascente Polizia cittadina capeggiati da De Crescenzo, in cambio di un ingresso indisturbato di Garibaldi nel Regno delle Due Sicilie. Fra i programmi dei Savoia c’era quello di liberarsene ad unificazione avvenuta, ma in realtà continuarono a servirsene per combattere, nei 30 anni successivi, quelli che furono etichettati come “Briganti”.
È storia che il primo campo di concentramento in Europa fu a Fenestrelle, luogo in cui furono deportati e lasciati morire di freddo e fame, o ancora sciolti nella calce viva, migliaia di meridionali dell’esercito duosiciliano e di semplici cittadini, alcuni dei quali arrestati con l’accusa di essere potenziali criminali, seguendo le teorie (smentite in seguito dalla comunità scientifica internazionale) dello pseudo-scienziato Cesare Lombroso, secondo il quale era possibile prevedere la tendenza al crimine di una persona dalle dimensioni del cranio.
Il sud italiano all’epoca rappresentava la terza potenza europea dopo l’Inghilterra e la Francia, e i 2/3 delle monete in oro circolanti sul territorio nazionale, erano del Banco di Napoli. Se la verità non fosse stata occultata, forse ci avrebbero fatto un film, canzoni come ha fatto De André per il massacro del Sand Creek. Massacro riferito a circa 175 persone. Eppure, l’invasione del Meridione, secondo alcune stime approssimative, costò la vita a circa 800.000 persone ma nessuno ne parla. Una vera guerra civile.
Nonostante l’assenza di questa verità sui libri di storia, esiste un’esposizione di antropologia criminale, inaugurata in occasione dell’Unità di Italia a Torino, il Museo del Lombroso. Nella struttura sono in mostra 684 crani di meridionali, 27 resti scheletrici umani, 183 cervelli, migliaia di fotografie di criminali, folli e prostitute, folcloristici abiti da “briganti”. Una galleria degli orrori progettata dal medico veronese, al quale Torino e lo Stato italiano hanno tributato, nel 2011, in occasione dei 150 anni dall’Unità d’Italia, anche l’onore di un museo.
Lombroso si definì ricercatore sperimentale, ma si rivelò incompetente nell’utilizzare i canoni della logica di John Stuart Mill, gli stessi che Charles Darwin applicò alla Biologia. Inoltre, ricorse a evidenti trucchi per far sembrare alcuni dati empirici, che smentirebbero palesemente le sue teorie.
Il suo amico Paolo Mantegazza fu disgustato da alcuni dei suoi cosiddetti “metodi scientifici”, e Andrea Verga, dopo anni di polemiche, gli fece un’obiezione alla quale non seppe rispondere. Vilfredo Pareto ne mise in discussione sia la serietà come ricercatore, sia la credibilità come socialista. Esiste un volume su Lombroso che rivela una scienza empirica ottocentesca italiana subordinata ai poteri forti: vertici militari e proprietari terrieri della pianura padana.
Il 3 giugno 2019, è stata depositata in Cassazione la nostra memoria (nostra come membri dell’associazione e simpatizzanti del “Comitato No Lombroso”) a cura degli avv. Gianluca Bozzelli (Napoli) e dell’avv. prof. Fabio Signorelli (Milano), dell’avv. Amedeo Colacino (Lamezia Terme), Caterina Egeo (Lamezia Terme), dell’avv. Enrico Allegro (Milano), avv. Francesco Antonio Schiraldi (Bari), ing. Domenico Iannantuoni per il Comitato No Lombroso (Milano). Il Comitato adira’ le vie legali connesse con gli uffici dei Diritti dell’Uomo presso la Corte di Strasburgo, decisione assunta con gli avvocati EGEO, COLACINO e BOZZELLI. E sia chiaro che i resti in mostra presso il Museo Lombroso non sono beni culturali, ma l’evidente RAZZISMO che esiste in Italia a discapito dei meridionale. Analizzando uno dei suoi tanti “ trofei “di guerra (il teschio del brigante calabrese Villella) il Lombroso trasse una sua folle teoria, e cioè che chi possedeva la fossetta occipitale interna, così come aveva riscontrato nel povero brigante, era un essere inferiore alla stregua di un animale e con forte predisposizione a delinquere. Caratteristica riscontrata frequentemente, per lo scienziato, nelle “genti del Sud”. Le sue teorie razziste divennero molto pericolose quando vennero utilizzate e poste al servizio di uno Stato italiano che del Sud non conosceva nulla, per sostenere e giustificare “scientificamente” ed ignobilmente la violenza della criminale Legge Pica, atta e reprimere il fenomeno del brigantaggio. Agli inizi del Novecento, la teoria fu usata per distinguere i milioni di emigrati (quasi tutti dal Sud) in “razze”, tant’è vero che a Ellis Island, l’isola dove sbarcavano gli emigrati, furono etichettati gli italiani del nord come “bianchi”, mentre gli italiani del sud in ”bianchi scuri” di razza inferiore. Come l’olocausto e le leggi razziali durante il Terzo Reich per teorizzare l’inferiorità della razza.
Il Sud Italia non era arretrato come lo si dipinge nei libri di Storia: dal 1735 al 1860 esso ha portato in dote all’Unità d’Italia 100 primati in tutti i campi scientifico/tecnico/medico. Questa ascesa purtroppo (e paradossalmente) si è interrotta proprio con l’unificazione del Paese, che ha costituito un punto di non ritorno nel processo di degradazione del Mezzogiorno. E qui inizia e non termina mai l’origine del razzismo contro il meridionale. Dalla teoria lombrosiana e dal Museo dedicato, riaperto addirittura per il 150° dell’Unità, dopo che era stato chiuso da Benito Mussolini perché considerato razzista verso il Meridione. Non faccia meraviglia, quindi, la “levata di scudi” di tutti i meridionali nel chiederne la chiusura, non per obliare la Storia ma perché dedicare un museo a Lombroso è come dedicare un campo di concentramento alla memoria di Josef Mengele. (da lettera di Patrizia Stabile giornalista di Napoli)
Ed oggi speriamo di veder restituito il cranio del calabrese Villella, dopo che la sentenza di secondo grado nel maggio del 2017 ne ha negato la restituzione al suo paese natio, Motta Santa Lucia che. assieme al comitato NO LOMBROSO. si è contrapposto nel procedimento giudiziari), ed attendiamo giustizia dalla Corte di Cassazione, e se questa dovesse negarla attenderemo quella di un tribunale o istituzione europea o mondiale.
Giuseppe Villella, che ricordiamo essere stato un semplice bracciante con un passato di ladro di ricotte e che, invece, la criminosa legge Pica del 1863, volle trasformare in un pericoloso brigante nemico del nuovo Stato costituito, dell’usurpatore sabaudo. L’uomo fu rinchiuso, dopo un sommario processo, nel carcere di Vigevano, e morì poco dopo di tifo, tosse e diarrea scorbutica.
Il cranio di questo povero “pecoraro”, tenuto macabramente come fermacarte sulla scrivania del Lombroso ed ora esposto in una delle nove sale del Museo degli orrori, fu l’oggetto simbolico delle assurde, ridicole ed errate teorie lombrosiane che, assieme alle altre ipotesi di pseudo scienziati e studiosi, (i cosiddetti “antropologi positivisti” tra i quali i colonizzati e traditori della loro terra, i siciliani Niceforo Alfredo e Giuseppe Sergi, e il cosentino Pasquale Rossi), saranno alla radice di un pregiudizio fortemente antimeridionale. Pregiudizio che dall’Unità d’Italia ha alimentato anche l’azione di qualche movimento politico. Così come alcune leggi del Medioevo sancivano che se due persone fossero state sospettate di un reato, delle due si sarebbe dovuta considerare colpevole la più deforme, Lombroso volle convincere che la costituzione fisica fosse la più potente causa di criminalità.
Per l’Università “quel teschio è un bene culturale”, “la prova che la scienza procede anche per errori“. Ed esiste persino un progetto per l’espansione della struttura.
E che ne è della violazione della normativa vigente in materia di trattamento e conservazione dei resti umani e di tutela del sentimento di pietà verso i defunti?
E che ne è della solidarietà degli altri Comuni meridionali, se la maggior parte non ha neanche aderito al Comitato NO LOMBROSO ?
Si possono continuare ad accettare teorie aberranti che sostengano una inferiorità razziale dei “meridionali dolicocefali, con cranio allungato, quindi pigri, ipocondriaci, in contrapposizione ai nordici brachicefali con cranio quadrato, con più materia encefalica, quindi iperattivi ed efficienti”?
“E’ noto quale ideologia sia stata diffusa in forma capillare dai propagandisti della borghesia nelle classi settentrionali: il Mezzogiorno è la palla di piombo che impedisce i più rapidi progressi allo sviluppo civile dell’Italia; i meridionali sono biologicamente degli esseri inferiori, dei semibarbari o dei barbari completi, per destino naturale”. Così denunciava Antonio Gramsci nel 1926 e, ad oggi, non è cambiato nulla e la questione meridionale conserva il suo substrato razzista e la sentenza di secondo grado lo dimostra.
Cento città italiane mosse contro il museo, anche uno spettacolo teatrale (che speriamo possa presto avere il finanziamento della regione Calabria), sono tra le iniziative di spicco che cercano di portare l’attenzione a supporto della chiusura del “museo della vergogna” la cui esibizione macabra di teschi non si discosta dall’esposizione tribale dei trofei di guerra dei soldati dell’Isis.