La devastante epidemia di Ebola, che ha colpito l’Africa Occidentale dal 2013 al 2016, ha causato 28,610 casi, tra cui 11,308 morti. La rapida diffusione del virus ha rappresentato una sfida per la sanità pubblica, mai incontrata nelle precedenti epidemie del virus. Le principali preoccupazioni sono state il rischio della trasmissione interumana e definire le reali vie di trasmissione del virus Ebola. Gli studi sui pazienti affetti da malattia da virus Ebola evacuati in Europa e negli USA hanno suggerito l’idea che Ebola possa provocare danni ai polmoni, anche se ancora mancano prove reali della capacità del virus di replicare in questo organo.
Lo studio effettuato da Biava et al. e pubblicato il 5 Gennaio 2017 sulla rivista scientifica PLOS Pathogens indaga riguardo la presenza del materiale genetico del virus Ebola nei polmoni e nel sangue, durante il trattamento e la guarigione di un operatore sanitario, evacuato dall’Africa Occidentale e trattato a Roma, in Italia. Il paziente ha mostrato una persistenza dei markers di replicazione virale all’interno del tratto respiratorio. I ricercatori hanno monitorato i livelli degli RNA viralidi Ebola (RNA a polarità positiva e RNA a polarità negativa), già precedentemente associati con la replicazione virale, e li hanno comparati con i livelli presenti nel sangue. Hanno scoperto che l’RNA virale e i markers di replicazione virale permangono nel polmone fino a 5 giorni dopo la loro eliminazione dal sangue. Questi risultati suggeriscono la possibilità che Ebola replichi nell’apparato respiratorio. E’ possibile che i polmoni forniscano semplicemente un ambiente protetto all’interno del quale l’RNA virale può resistere più a lungo rispetto a quanto osservato nel sangue, anche se gli scienziati scartano fortemente questa ipotesi in quanto hanno evidenziato la presenza dell’RNA virale totale e di entrambi i markers di replicazione, sostenendo l’ipotesi di una replicazione virale attiva.
L’autore Giuseppe Ippolito, dell’INMI ha detto: “Questi risultati suggeriscono un ruolo importante del tratto respiratorio nella patogenesi della malattia da virus Ebola e potrebbero avere nuove implicazioni nelle procedure di prevenzione e nelle misure di controllo, specialmente per gli operatori sanitari e le famiglie, i quali sono i primi a fornire cure dirette e indirette ai pazienti affetti dal virus. Inoltre, aumentano anche le preoccupazioni riguardo al rischio della trasmissione interumana e al bisogno di ridisegnare le misure di prevenzione.”
Il coautore, professore Alimuddin Zumla dell’University College di Londra ha dichiarato che “queste scoperte sono significative e potrebbero spiegare la rapida diffusione del virus durante l’epidemia, come anche quei cluster che sono stati notificati e per i quali non è stata identificata nessuna catena di trasmissione”. Ha inoltre aggiunto che “ulteriori studi saranno necessari per comprendere al meglio il ruolo di EBOV nella patologia del polmone, e il ruolo specifico della trasmissione tramite aerosol. Le mancate opportunità di ricerca durante l’epidemia del virus evidenziano il bisogno critico di finanziatori e di governi che siano in grado di costruire e implementare le capacità degli operatori sanitari e dei ricercatori al fine di condurre ricerca di base, ricerca sulla patogenesi e trial clinici durante le epidemie.”
Secondo l’opinione del professor Gary Kobinger, co-autore dell’Université Laval in Quebec, Canada: “Questi risultati hanno necessariamente bisogno di ulteriori ricerche sulla patogenesi dell’infezione da EBOV nell’uomo, mirate a identificare e sviluppare le appropriate misure di intervento per migliorare gli esiti dei trattamenti.”
Maria Capobianchi dell’INMI ha detto: “La quantità di RNA a polarità positiva (cRNA/mRNAs) non riflette solo la trascrizione virale, ma è anche un segno della replicazione del genoma virale. Questo studio dimostra come l’identificazione dei markers di replicazione possa essere utilizzata anche su campioni biologici umani”.
Antonino Di Caro, dello stesso Istituto, evidenzia come questo tipo di studi sia realmente necessario per raggiungere una comprensione più ampia della patogenesi virale e come possa essere effettuato solo in laboratori di biosicurezza di livello 4 (BSL4), che forniscono il più alto livello di contenimento disponibile.
Nicola Zingaretti, Presidente della Regione Lazio, ha detto: “Siamo orgogliosi dei risultati ottenuti dall’INMI, il punto di riferimento regionale per tutte le attività nel campo delle malattie infettive”.
Ranieri Guerra, direttore generale della Prevenzione Sanitaria, Ministero della Salute, ha commentato: “Questi risultati ripagano tutti quegli sforzi economici sostenuti dalle autorità sanitarie italiane per mantenere attive e operanti le strutture di bio-contenimento e per allestire un sistema di allerta dimostratosi efficiente per patogeni ad alto rischio per la sanità pubblica. Confermano che la ricerca clinica è parte integrante del nostro sistema di reazione e gestione delle emergenze sanitarie e valorizza l’eccellenza delle nostre istituzioni, capaci non solo di guarire ma anche di innovare”.
Giovanni Leonardi, direttore generale per la Ricerca, Ministero della Salute, ha dichiarato: “INMI ha gareggiato e vinto per la partecipazione a sei Progetti Europei, finanziati dal Direttorato per la Ricerca (Horizon 2020 & IMI Project) della Commissione Europea, a un progetto finanziato dalla US Food and Drug Administration, ed a uno finanziato dal Ministero degli Affari Esteri Italiani, all’interno dei progetti avviati in risposta all’epidemia da virus Ebola. Si è confermato
quindi come centro di riferimento di livello mondiale, a riprova dell’alto livello scientifico degli istituti di ricerca italiani.”
Marta Branca, direttore generale dell’INMI: “Sono molto soddisfatta dei risultati positivi ottenuti dall’Istituto e del contributo che noi costantemente forniamo alla comunità scientifica. Questi risultati permetteranno alle attività dell’INMI in Italia e all’estero di far fronte a infezioni classiche ed emergenti. Sono molto orgogliosa della posizione che ricopro all’interno dell’Istituto”.
Beatrice Lorenzin, Ministro della Salute, ha aggiunto: “Sono molto contenta di questi brillanti risultati dell’Istituto Nazionale per le Malattia Infettive, che in modo efficiente e con determinazione ha lavorato durante l’epidemia in tutti i paesi coinvolti e in Italia. Le attività dell’Istituto sono confermate da circa 50 articoli pubblicati nelle più importanti riviste scientifiche, permettendo all’Italia di contribuire significativamente alle conoscenze sul virus Ebola. L’Italia durante l’epidemia di Ebola era presidente di turno della Commissione Europea e si è trovata a coordinare gli interventi di prevenzione e risposta. A livello nazionale ha messo in atto sistemi avanzati di controllo e protezione della comunità riuscendo a gestire al meglio gli allarmi ed i casi sospetti. Inoltre, si è trovata ed si è trovata a farsi carico di due casi di Ebola in operatori sanitari che prestavano la loro attività in Sierra Leone. Entrambi i casi sono stati presso curati al meglio presso l’Istituto Spallanzani e sono guariti. Ebola è stato un importante stress test per il servizio sanitario italiano ed è stato brillantemente superato. Questi risultati, che ci hanno resi famosi nel mondo, vanno a vanto del Pese che dimostra di essere in grado di rispondere in maniera eccezionale alle emergenze e dell’Istituto Spallanzani che rappresenta un eccellenza nel settore delle malattie infettive e si conferma assoluto punto di riferimento per tutta l’area del mediterraneo.”
Giuseppe Ippolito ha concluso che queste ricerche non possono essere effettuate su modelli animali e richiedono una stretta cooperazione fra ricercatori, sia laboratoristi che clinici, e fra le infrastrutture che possono facilitare queste interazioni. La condizione dell’INMI è unica e può essere aperta ad ulteriori collaborazioni con istituti internazionali.