“Tutti gli uomini delle Istituzioni che devono confrontarsi con tematiche difficili, come la lotta alla mafia e alla criminalità organizzata, hanno paura. Ma quella paura non deve condizionare il nostro operato quotidiano, come hanno fatto i giudici Falcone, Borsellino, e anche Emilio Alessandrini, che lavorando in anni difficilissimi, nella lotta contro l’eversione politica, ha affrontato con grande coraggio quella battaglia”. Sono le parole con le quali il giudice Piergiorgio Morosini ha salutato gli studenti dell’Istituto Alberghiero Ipssar ‘De Cecco’ di Pescara, dopo due ore di confronto serrato svoltosi nella Sala Tinozzi della Provincia di Pescara, terzo appuntamento del Progetto ‘Educazione alla Legalità’, finanziato dal Miur, e organizzato dall’Alberghiero in collaborazione con l’Associazione ‘Falcone e Borsellino’. A coordinare i lavori è stata la Dirigente dell’Istituto Alberghiero Alessandra Di Pietro, alla presenza del Sottosegretario alla Giustizia Federica Chiavaroli, del Presidente della Provincia Antonio Di Marco e del sindaco di Pescara Marco Alessandrini. Numerosi gli ospiti presenti in sala, tra cui il Presidente del Tribunale Angelo Bozza, il Presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati abruzzesi Valentina D’Agostino, il Tenente Colonnello dei Carabinieri La Rocca, il Dirigente della Squadra Mobile Pierfrancesco Muriana, i rappresentanti di Guardia di Finanza e Guardia Costiera, il Presidente del Rotary Club Pescara Luca Romani, il Presidente dei Lions Maria Elena Degli Eredi, il Direttore della Banca d’Italia Saverio Cafiero, l’avvocato Scoponi, l’avvocato Domenico Cappuccili, Presidente dell’Ail, e l’avvocato Fabrizio Rapposelli, l’Ufficio Scolastico regionale con Daniela Puglisi, il Presidente della Commissione regionale Pari Opportunità Gemma Andreini, il Direttore del Centro Paolo VI Nicoletta Verì, e, infine, il Presidente e il fondatore dell’Associazione ‘Falcone e Borsellino’, Gabriella Sperandio e Leo Nodari. In platea gli studenti degli indirizzi Enogastronomia, Turistico e Accoglienza, e Sala.
“Il Ministero per l’Istruzione ha scelto per il 2017 il progetto di Educazione alla Legalità presentato dall’Istituto Alberghiero tra i tanti giunti dalle scuole di tutta Italia, assegnandoci il massimo punteggio, per ‘Qualità del progetto, innovatività e fruibilità del progetto, delle attività e delle metodologie proposte’, attestando dunque la bontà del lavoro di preparazione e l’impegno profuso dalla nostra scuola, con l’Associazione ‘Falcone e Borsellino’ nel portare avanti la divulgazione dei principi della legalità – ha sottolineato la dirigente Di Pietro -. Il senso della progettualità è quello di promuovere una cultura sociale nelle scuole fondata su valori forti, come la democrazia e l’integrità, il rispetto delle norme di comportamento, dunque l’educazione alla legalità che è un obiettivo trasversale a tutte le discipline e a tutti gli indirizzi ed è il presupposto fondante nella formazione del cittadino di domani. Il nostro obiettivo è educare i ragazzi al senso di comunità, e per questo, ogni volta, invitiamo anche altre scuole del primo e secondo ciclo. La scuola deve educare alla legalità, al rispetto delle regole, di se stessi, della propria autonomia, educare all’integrità e al merito, valori che sono fondamentali nell’azione formativa della scuola, sono la sostanza dell’identità relazionale. Il nostro obiettivo è far crescere cittadini migliori, persone autenticamente integre, che non solo parlano di legalità, ma la vivono nelle azioni e nei comportamenti quotidiani, vogliamo crescere persone che abbiano una forte determinazione a non accettare alcun compromesso, che non vogliano assuefarsi all’atteggiamento di malaffare dilagante che è percepito come inevitabile e in gran parte anche accettato. Ma far comprendere fino in fondo il valore della legalità è possibile solo con gli esempi positivi di persone, di testimoni, che hanno improntato la propria vita al rispetto delle regole. È importante la testimonianza di chi compie il proprio dovere non come atto eroico, ma come l’esecuzione di una personale, profonda, responsabilità civica. Dunque è fondamentale dare ai ragazzi il senso di cittadinanza positiva. La scuola è l’agenzia formativa per eccellenza, ma non è l’unica, abbiamo bisogno del confronto con i modelli positivi”. “Il Progetto dell’Istituto Alberghiero è un esempio di ‘buona scuola’, ovvero quella che si impegna per divulgare la cultura della legalità che significa – ha detto il Sottosegretario Chiavaroli – insegnare ai nostri ragazzi a non girarsi dall’altra parte e che tutte le regole vanno rispettate”. “L’Istituto Alberghiero è cresciuto in modo straordinario negli ultimi anni nell’insegnamento dei valori della vita agli studenti – ha aggiunto il Presidente Di Marco – è anche noi amministratori dobbiamo dare il nostro contributo per essere Istituzioni utili”. A introdurre il giudice Morosini è stato il sindaco Alessandrini, il quale ha ricordato la carriera del magistrato, premio Borsellino nel 2009, titolare di numerosi processi a Cosa Nostra ed estensore delle sentenze relative ai capi storici della mafia, tra cui Riina, Provenzano, Brusca e Bagarella, per occuparsi anche delle infiltrazioni mafiose nella sanità, negli appalti per le opere pubbliche, nella politica e nella giustizia. “L’illegalità – ha detto il giudice Morosini parlando agli studenti – è la mancanza di rispetto verso gli altri, e trova la sua espressione nella cultura della prevaricazione, dell’arroganza. Per coltivare il senso della legalità occorre la nostra partecipazione al confronto sui problemi della nostra comunità. Due, tre decenni fa nel nostro Paese c’erano le strutture politiche che favorivano la partecipazione di tanti giovani al dibattito pubblico, alle iniziative sociali. Poi c’è stata la crisi delle ideologie e della politica, e oggi difficilmente i nostri giovani fanno attività politica, e questo è un problema per il paese, perché c’è una rappresentazione di tutto ciò che è impegno istituzionale che è troppo approssimativa, si tende a dare sempre un’eccezione negativa dell’impegno istituzionale e invece non è così, perché in politica, come in tutte le Istituzioni, c’è chi opera correttamente e correndo anche rischi. Dunque cerchiamo di non semplificare, gli esempi virtuosi ci sono, e se allora oggi non ci sono le strutture politiche, ci sono miriadi di associazioni che si occupano di iniziative antimafia nelle quali i nostri ragazzi possono dare il proprio contributo. Il non-voltarsi dall’altra parte è fondamentale nella cultura della legalità, ma non è facile e non è a costo zero, ma è importante per bloccare la cultura della prevaricazione e della prepotenza. La presenza della mafia e delle Organizzazioni criminali nel nostro Paese, come in Sicilia – ha proseguito il giudice Morosini -, è la storia della somma di fragilità sociali, economiche e istituzionali. Fragilità sociale, lo testimoniano le intercettazioni in cui oggi la mafia ai commercianti non chiede più i soldi come pizzo, ma posti di lavoro, perché alla mafia oggi si rivolge chi non ha lavoro, chi non riesce a trovarlo nel circuito legale e si rivolge al contropotere mafioso, e questa è la prova della fragilità sociale di un sistema che non riesce a rendere effettivo il diritto al lavoro e si fa scavalcare dalla mafia. La fragilità economica del nostro sistema si individua nella spartizione dei pubblici appalti, tra Cosa Nostra e le imprese del nord. Ricordiamo che la corruzione è un veicolo di insediamento delle organizzazioni criminali”. Poi il ricordo dei giudici Falcone e Borsellino: “Il mese di maggio – ha ricordato il giudice Morosini –, con i suoi attentati, è il momento legato alle commemorazioni, e ai giovani voglio ricordare la grande lezione di umanità ereditata da due magistrati. Quando oggi si parla dei magistrati Falcone e Borsellino sembra che abbiano vissuto in un ambiente pieno di amici, ma non è così, Falcone è stato molto isolato in magistratura, è stato osteggiato, invidiato, spesso diffamato. Quando ci fu il mancato attentato nella sua casa al mare, imbottita di tritolo che non esplose, alcuni magistrati dissero che era una messinscena che lo stesso Falcone avrebbe costruito per promuovere la propria carriera. E quando fu ucciso Falcone, Borsellino conosceva i rischi che anche lui correva, entrambi sono stati isolati nelle Istituzioni, gli avevano girato tutti le spalle, erano attaccati politicamente e giornalisticamente, ma hanno vissuto la loro solitudine con grande dignità e coraggio e hanno portato avanti ciò in cui credevano. Infine – ha aggiunto il giudice Morosini -, l’educazione è l’arma più potente contro le organizzazioni mafiose. Don Puglisi, parroco nel quartiere Brancaccio di Palermo, è stato ucciso dalla mafia proprio per la sua grande capacità educativa. Don Puglisi non insidiava gli affari dei mafiosi, non era un parroco che coltivava la delazione sui capi delle cosche, ma hanno deciso di ucciderlo perché Don Puglisi andava casa per casa per i ragazzi più bisognosi, più abbandonati, li raccoglieva e con loro portava avanti un programma educativo e questo faceva paura alla mafia perché educare significa anche formare una coscienza e insegnare ai ragazzi a saper dire di ‘no’ alle cose storte”.