Il momento della partenza mi è sembrato arrivare all’improvviso.
Infatti l’unica notte trascorsa nella cabina alla quale ero assegnato mi è sembrata essere volata; o forse è stato trovare la barca in piena operatività già al mio risveglio a darmi questa impressione. Fatto sta che le otto circa di domenica 20 agosto 2017 mi hanno mostrato gli ultimi mancanti all’appello della sera precedente: un personaggio con un grosso libro in mano intitolato “Homo Deus” ed uno appena sceso da una Vespa. Michele, così si chiama quello del libro, mi è sembrato da subito avere la faccia di uno parecchio intelligente: complice forse il notevole tomo oppure anche il suo occhiale da intellettuale. E devo dire che questa prima impressione su Michele verrà poi ampliamente confermata: assieme anche a moltissimi suoi altri pregi, come il coraggio, la saggezza e la generosità. Ma andiamo piano, ci sarà il tempo e l’occasione per parlarvi adeguatamente di tutti i personaggi.
Il porto di Komize
Di Paolo, l’altro, mi ha subito colpito lo sguardo: l’ho trovato di primo acchitto severo. Ma magari mi è parso tale solo perché, scherzando (ma non troppo) mi ha subito redarguito criticando il fatto che fossi stato trovato da Michele a dormire nel letto decisamente spaparanzato, ad x. “Caro mio, non ci sei mica solo tu in barca sa’? Sarete in due in cabina, mica puoi dormì come te pare”: questa è stata esattamente l’inizio della prima conversazione tra me ed il capitano Paolo Cegna (nota, con il suo spiccato e caratteristico accento marchigiano). Io l’ho presa a sorridere e, poiché in effetti la sua osservazione era corretta, non mi sono sognato di replicare: che poi, dentro di me sapevo che, avesse piovuto, nei giorni successivi avrei sempre voluto dormire in sacco a pelo sotto le stelle. Voglio precisare che quella è stata l’unica nota critica che abbia ricevuto dal capitano: un po’ perché ho cercato di rigare dritto e non dare problemi, un po’ perché quella era stata soprattutto una impressione. Il capitano Paolo che avrei scoperto da li ai giorni successivi si sarebbe rivelato una persona assolutamente straordinaria: un vero marinaio saggio e colto, che la sa lunghissima sul mare, le barche, il diporto, le regate, persino sui materiali di cui le imbarcazioni sono fatte. Ho trovato in Paolo una figura autorevole, ma soprattutto ci ho rivisto tutte le migliori caratteristiche che da una vita ho sempre immaginato un capitano d’imbarcazione abbia: una aspettativa forse un po’ romanzata stile “Ventimila leghe sotto i mari” di Jules Verne pienamente confermata. E questo scoprire che nel mondo esistono persone come Paolo è stata una delle cose più belle che mi sono portato a casa da questa avventura.
Comunque, il tempo delle ultime pratiche burocratiche e di fare colazione al bar ed alle 9 circa è partita l’avventura: prendiamo il mare, come la regola vuole uscendo dal porto a motore. Partenza da San Bendetto del Tronto, direzione a me sconosciuta: quella sera avrei scoperto che la meta si trovava a sud rispetto alla latitudine del porto di partenza. Il primo porto d’arrivo sarebbe stato quello di Komize. Ma andiamo per ordine.
Ora prima di quel momento, avevo avuto solo un’altra esperienza in barca a vela. Ossia (come ho raccontato in un mio precedente articolo intitolato “FORTUNE D’ABRUZZO”) ho avuto l’opportunità di essere ospite sulla splendida “Trilli” del mio amico Massimo: una barca da regata, quel giorno settata per fare diporto, con cui dal porto turistico di Pescara ci siamo spinti sino alle acque di Ortona per poi, rientrare la sera stessa. Ho memoria di quel giorno come di uno dei più belli della mia vita, per diverse ragioni: l’improvvisata, la compagnia di amici e della mia amata, il caldo, degli ottimi spaghetti con la bottarga. E soprattutto, alla mia prima volta in barca a vela, aver ricevuto lo splendido regalo di avermi lasciato il timone per qualche istante (sotto l’attentissimo controllo del capitano); lasciarmi timonare peraltro, mentre andavamo a vela e la barca si trovava in leggera sbandata sulla mura di dritta: un’emozione pazzesca. Del mal di mare quel giorno nemmeno l’ombra.
Io al timone di Trilli
Comunque, vi ho raccontato della mia precedente ed unica esperienza con Trilli per farvi capire con quale, eehm, background, mi accingevo ad affrontare la mia prima traversata del mar Adriatico, con mare mosso e molto mosso: ci abbiamo messo circa 14 ore, andando quasi sempre a vela. La navigazione ovviamente era giudicata sicurissima dai capitani Paolo ed Alfredo ed infatti ChiaraF e Marina non hanno fatto nemmeno una piega, tenendo il mare come delle corazzate. Io, nonostante l’entusiasmo che non si è smorzato nemmeno per un secondo, dopo la prima ora beccheggi e sbandate, con quella che il capitano Paolo avrebbe definito poi “estrema dignità”, mi sono ritirato in silenzio e discrezione sotto coperta. E devo dire ho provato l’ebbrezza del mal di mare, per 12 ore consecutive almeno, nella mia bella cabina posta a prua. Sperimentando per ben tre volte che il gabinetto assegnato alla mia postazione funzionasse benissimo! Insomma, l’ho presa a ridere, anche se con lo stomaco capovolto: ma del resto, avevo messo in conto che sarebbe potuto accadere e, non ho litigato col mare nemmeno per un attimo. Anzi, dalla sera stessa saremmo diventati ancora più amici di come non lo eravamo già. E tra l’altro, quella spiacevole parentesi che ha caratterizzato la traversata non si più riproposta.
Il mare va sempre rispettato, perché è enormemente un’entità più grande di noi: ma il mare è mio amico ed io gli voglio bene, lo rispetto e gli sono grato.
Ad ogni modo, intorno alle 22 di sera siamo arrivati a Komize. Era notte e, poiché non avevamo ancora “fatto dogana” in Croazia, non potevamo scendere a terra e quindi siamo rimasti ormeggiati al “corpo morto in acqua” (in pratica una boa ancorata al fondale da un cavo in acciaio) a qualche centinaia di metri dalla terraferma isolana. In questi casi il capitano mi ha spiegato che si sta all’ormeggio issando bandiera gialla, che segnala alle autorità marittime portuali locali che appunto trattasi di imbarcazione che deve ancora denunciarsi presso la dogana. A Komize in ogni caso non saremmo stati poco il giorno dopo (passeggiatina, doccia ed un po’ di spesa per la cambusa), poiché l’indomani abbiamo presto ripreso il mare alla volta di..vi racconterò nel prossimo articolo.
La prima foto che ho fatto appena ho aperto gli occhi, esattamente dal punto in cui mi ero messo a dormire: non male come risveglio!
Posso dirvi però che il mio stomaco era ok già all’arrivo in porto, come vi dicevo prima. Li abbiamo consumato la prima cena da equipaggio, tutti assieme: una pasta con sugo al tonno, che sapeva di entusiasmo misto a stanchezza per tutte quelle ore di mare importante. Li ho notato molto bene come i pasti uniscano in maniera particolare un equipaggio. Si scoprono i gusti altrui, si condivide un bicchiere di birra, si parla e ci si confronta, si condividono esperienze. Certo, ci vuole anche quel pizzico di fortuna nel beccare compagni e compagne con cui si riesca non solo ad andare d’accordo, ma anche addirittura a stare in benessere. Per me è stato assolutamente così, anche perché con me c’era ovviamente lei: “ogni tanto scendevo a controllare se eri vivo!” la sua affermazione mentre cenavamo, con tanto di risata generale. “Ah, ma ci sei! Pensavo che ti avessimo perso a mare” rincara la dose Gianluca, sempre ovviamente con la sua simpatia travolgente e gradevole.
Teresa, Catia, Carlotta, Michele, Alberto, Gianluca, lei ed il capitano Paolo: quella sera è stata uno dei tantissimi e gustosi momenti di felicità impressi nella mia mente. Mi sentivo a casa, anche se praticamente tutti voi eravate quasi dei completi sconosciuti. Ma intuivo il magnetismo, di cui poi ho trovato larga conferma.
Per concludere quella sera, ho fatto una chiacchierata (una delle tante), la prima, col capitano: guarda caso lui poco prima si trovava al telefono con il precedente proprietario niente popò di meno che di Trilli, la prima barca a vela su cui sia mai salito e di cui vi parlavo prima. Certe volte la vita crea dei ponti stranissimi, quasi assurdi, ma veramente molto interessanti.
Mi ha detto anche tante altre cose il capitano: mi conosceva da pochissimo e già mi dispensava pareri, esperienze e considerazioni sulla vita in generale; che tutt’ora a distanza di ormai molti giorni, mi danno ancora molto da riflettere. Del resto penso siano proprio cose di questo tipo che caratterizzano un capitano, d’imbarcazione e di vita.
E però mi ha spiegato anche alcuni tecnicismi, i primi dell’avventura. Io gli ho chiesto se fosse normale trovare un mare simile, diciamo una cosa ordinaria: ma lui mi ha spiegato che no, in effetti non è così. E’ che quel giorno tirava la bora ed anche abbastanza forte. Mi ha spiegato che, seppure in sicurezza, abbiamo fatto bene a salpare, perché mentre ci trovavamo li a parlare in quel momento, nel frattempo a San Benedetto il tempo era di molto peggiorato: e se non fossimo partiti, magari avremmo perso diversi giorni di vacanza fermi in porto. Anche perché, la bora tira sempre a giorni dispari: se non si fosse placata subito, sarebbe durata almeno tre giorni. Durante questi discorsi, sotto coperta in zona soggiorno, con la calda luce gialla delle lampadine, il vento a soffiare fuori e la barca che ancora un poco oscillava beh, io mi sentivo dentro la “Perla Nera” del film “Pirati dei Caraibi”. Ma tutto questo fondamentalmente penso, solo perché sono un inguaribile sognatore ad occhi aperti.
Quella sera ho dormito per la prima volta sotto le stelle, in mare: soffiava la bora a 30-35 nodi mi ha detto Paolo, ma nel mio sacco a pelo protetto da ChiaraF, stavo a dio. Ricordo di essermi addormentato guardando il cielo stellato, le luci sugli alberi delle barche oscillare da un lato all’altro e, avendo nelle orecchie le decine di “din din din” delle campanelle di tutte le barche presenti in quel porto suonate dal vento.
Al prossimo articolo di questa avventura Croata, amici ed amiche.
Di Andrea Cilli