Questa foto ha 45 anni. L’ho scattata non lontano dal borgo aspromontano di Careri (Reggio Calabria), nei giorni della terribile alluvione che sul finire di dicembre 1972 e l’inizio di gennaio 1973 sconvolse la provincia di Reggio Calabria. Scrivevo per il Giornale di Calabria, che era nato nell’aprile del 1972 e ancora non si stampava nello stabilimento di Piano Lago di Mangone (Cosenza), ma a Roma nella tipografia di Momento Sera. Mandavamo tutto nella capitale, dove in via Due Macelli c’era la Redazione Centrale. Gli articoli li dettavamo per telefono. Le foto venivano inviate per “Fuori Sacco”, consegnando la busta al Capotreno. Le più urgenti inoltrate attraverso il servizio Telefoto delle Poste Centrali, che ovviamente era attivo solo nei capoluoghi.
Tempi ben diversi da quelli attuali! Io ho sempre avuto il…vizio di camminare in “compagnia” della macchina fotografica. Come si fa oggi con i cellulari… tanto per capirci. In effetti da quando poco più che sedicenne, negli anni Sessanta, avevo iniziato a fare il Corrispondente per quotidiani regionali e nazionali, portavo sempre con me la mitica Rolleiflex per documentare anche fotograficamente i fatti di cronaca. Mentre con la Cinquecento mi arrampicavo tra mille difficoltà, frane, torrenti di fango, pioggia battente, vento, freddo, dopo una curva ho visto su uno spiazzo questo pastorello al quale era stato affidato dai genitori il compito di badare alle pecore sopravvissute. Sono sceso dalla macchina. Gli ho chiesto se aveva bisogno di aiuto. “No, grazie”, mi ha risposto. Il suo volto, i suoi occhi raccontavano … E anche per questo gli ho chiesto se potevo scattargli una foto, per documentare il ruolo che i bambini stavano svolgendo in quei giorni tristi e drammatici. Come i grandi. Ragazzo di poche parole. Con un cenno della testa mi ha fatto capire che sì, potevo. Così è nata questa foto.
L’ho custodita con tanta cura e ammirazione per quel bambino che troppo presto ha conosciuto le asperità della vita dei pastori. E mi è venuto alla mente Corrado Alvaro e quanto scriveva nel libro “Gente in Aspromonte”, considerato tra le più alte espressioni della letteratura meridionalistica e tra le più significative del nuovo realismo del Novecento. “Non è bella la vita dei pastori in Aspromonte, d’inverno, quando i torbidi torrenti corrono al mare, e la terra sembra navigare sulle acque. I pastori stanno nelle case costruite di frasche e di fango, e dormono con gli animali. Vanno in giro coi lunghi cappucci attaccati ad una mantelletta triangolare che protegge le spalle, come si vede talvolta raffigurato qualche dio greco pellegrino e invernale. I torrenti hanno una voce assordante”.
Assordante, come quella alluvione vissuta drammaticamente anche dal piccolo grande uomo dell’Aspromonte. Ho visto in lui una maturità che mi ha commosso. Profondamente. Gli ho ripetuto se potevo fare qualcosa per aiutarlo. E lui ancora con umiltà ed estrema cortesia: “No, grazie”. Sono risalito in macchina per raggiungere il vicino paese e realizzare il reportage per il Giornale di Calabria. Davanti ai miei occhi una condizione drammaticamente sconsolante. Scarsi e in netto ritardo i soccorsi. In quella desolante condizione generale mi aveva sorpreso la grandissima dignità con la quale la gente affrontava la situazione. Tutti si davano da fare. Con coraggio. Cercavano di salvare il poco che c’era rimasto e che la furia delle acque aveva risparmiato. Bilancio catastrofico per la provincia di Reggio Calabria. Danni pesantissimi. Una nuova tragedia dopo la sconvolgente alluvione del 1951.
E purtroppo non è stata l’ultima. Anche negli anni successivi al 1972-73 e di recente si sono registrate alluvioni devastanti. Il territorio merita maggiore attenzione! Facendo al ritorno la stessa strada non ho più visto il pastorello. Speravo di incontrarlo. Fermarmi ed abbracciare quel piccolo grande uomo del profondo Sud che non si arrende neppure davanti alle ricorrenti catastrofi naturali. In Calabria, nella tanto martoriata Locride, c’era e c’è gente che nei momenti più difficili riesce a trovare la forza per non soccombere definitivamente. Cade e si rialza, perché ci sono radici robuste e voglia di ripartire. Nonostante tutto.
*già Caporedattore TGR Rai