Una storia che viene da lontano, la cultura dolciaria al servizio di una straordinaria creatività.
CAGLIARI – L’artista dolciaria Anna Gardu, originaria di Oliena (Nuoro), conosciuta per i suoi dolci gioiello marchiati “Horo”, è stata premiata dalle donne del Lioness Club come “Donna sarda 2018”, titolo che viene assegnato ogni anno a una figura femminile che si è particolarmente distinta per meriti artistici o professionali. La cerimonia si è svolta nella Sala del Consiglio Comunale di Cagliari in occasione della Festa della Donna. “Questa geniale e talentuosa artista – si legge nella motivazione del premio – riesce a trasformare gli umili ingredienti della pasticceria tradizionale sarda in vere e proprie opere d’arte. Anna riporta nei suoi dolci i simbolismi della nostra Sardegna nei suoi gioielli in filigrana-oro, nei ricchi costumi e nei fini lavori di ebanisteria ed intaglio dei maestri artigiani del legno”.
L’importante riconoscimento rappresenta un’ulteriore testimonianza di quanto sia apprezzato il talento creativo di una donna che da anni riesce ad esaltare la tradizione dolciaria sarda in tutto il suo splendore e miete successi ben oltre il ristretto ambito della Sardegna, un vero simbolo vivente di un’arte capace di raggiungere l’anima di chi osserva, ancor prima del palato. A livello nazionale una svolta importante nel suo percorso professionale e artistico vi è stata quando Vittorio Sgarbi, suo grande estimatore, la scelse per rappresentare l’arte sarda a Expo 2015 nel quadro della Mostra “Il Tesoro d’Italia”, all’interno del Padiglione Eataly di Oscar Farinetti. Lo stesso critico d’arte le ha conferito in quello stesso anno il riconoscimento speciale della Giuria del Premio “Pio Alferano”, che si tiene ogni anno a Castellabate, nel Cilento. In quell’occasione l’artista di Oliena ha realizzato la scultura in pasta di mandorle “Re Gall Murat”, un variegato galletto che poggia su una “timballa” decorata come una corona. La stessa timballa ha suscitato alla fine dello scorso anno un grande interesse anche in Giappone, in particolare alla mostra sull’artigianato artistico al museo di Arte e Design di Toyama, dove Anna è stata l’unica, tra le eccellenze internazionali, a presentare un’opera dolciaria.
“La timballa – spiega Anna Gardu – veniva considerata un tempo un dolce molto pregiato che era come consuetudine offerto in dono in occasione del battesimo al padrino e alla madrina del nuovo nato. Aveva la forma di torre o di cupola ed era plasmato con zucchero caramellato e con mandorle macinate. Nel mio paese lo faceva solo mia nonna, Annunziata Colli, scomparsa più di quarant’anni fa all’età di novant’anni. Era dotata di grande talento e aveva appreso l’arte della pasticceria da suo padre”.
È una storia che ha radici lontane quella di Anna, il cui pioniere è stato suo bisnonno Nicola Colli, origini genovesi, che proprio nel capoluogo ligure aveva frequentato una scuola di pasticceria acquisendo così quelle competenze che successivamente mise al servizio della tradizione dolciaria sarda. Avviò la sua attività nel 1890 e poi, una volta trasferitosi in Sardegna, l’affidò alle donne della casa, a cominciare dalla moglie Maria Corrias e dalle figlie, tra cui la stessa Annunziata. “Oggi il mio sogno – dice Anna – è quello di portare avanti quest’arte familiare sempre nel rispetto delle ricette ereditate dal passato, continuando a produrle con tutto l’amore e la passione che mi sono state trasmesse”.
Sono appunto le ricette antiche, che unite alla tradizione si trasformano in arte: dolci da ammirare, preziosi e raffinati come gioielli. Nella creazione dei suoi dolci vengono usati prodotti provenienti esclusivamente dalla Sardegna. Ed è proprio la sua terra, che per lei è “un contenitore magico e inesauribile di tesori”, ad alimentare la sua creatività, ad essere fonte continua di ispirazione, così come lo sono gli abiti e i costumi che venivano indossati in occasione delle feste del patrono. Sono soprattutto gli elementi decorativi a determinare la funzione estetica: nella pasticceria sarda essi comprendono decorazioni eseguite con la glassa reale, applicazione di piccoli disegni esterni al dolce (ad es. diavolini colorati, fiori e colombelle, confetti, petali di rose, ecc.). Le decorazioni quasi sempre tendono a richiamare i riti e gli elementi tipici della tradizione locale, in particolare il costume (sia maschile sia femminile) con i suoi gioielli che contribuiscono alla loro solenne eleganza.
Il dolce, in quanto simbolo della festa, doveva essere quindi plasmato in modo da rispondere a ben determinati canoni estetici. Anzi, spesso questa funzione, in alcune realtà, ha finito per essere ritenuta persino più rilevante di quella strettamente alimentare. D’altra parte non bisogna dimenticare che il legame con l’arte non costituisce una novità nella storia della pasticceria e più in generale della gastronomia. Già Marie-Antoine Carême, uno dei più colti cuochi della storia ed ispiratore della haute cuisine francese scrisse, intorno alla metà del IX secolo, che “le Belle Arti sono cinque, e cioè: la pittura, la scultura, la poesia, la musica e l’architettura. Quest’ultima ha per ramo principale la pasticceria”.