Redazione- Oggi siamo in compagnia di Mathias Buratto, giovane autore che spazia dalla scrittura creativa fino alla prosa e alla poesia, mantenendo intatto uno stile molto personale, poetico e dettagliato. Un autore che ricerca sempre e in ogni parola che scrive una forma armonica e poetica, di quando in quando arcaica, legata alle origini della nostra bellissima lingua, quella di Dante e di Petrarca, e che non disdegna, quando si presenta l’occasione, l’uso di parole desuete e non più di largo impiego. Ogni testo scritto da Mathias riesce a portarti per mano in un mondo alternativo, edificato su stati d’animo sempre coinvolgenti e ambientazioni così vivide che sembrano fuoriuscire dalle pagine. A mio avviso, è una vera e propria boccata d’aria fresca in un mondo (quello della letteratura) che, in questi ultimi tempi, è in parte prevedibile e monotono, ben lontano dai fasti passati che vedevano delinearsi forme alternative di espressione che non erano mai scontate. Questa però è la visione meramente personale di un uomo che ha amato e tuttora ama la letteratura, in ogni sua forma.
Tuttavia questa non è una dissertazione sulle mie preferenze, quindi procediamo come è d’uopo in ogni intervista che si rispetti.
Mathias Buratto nasce a Trieste, graziosa cittadina sul confine che separa l’Italia dalla Slovenia. Un’infanzia da agonista nel mondo del tennis l’ha visto crescere, sport che ha iniziato alla tenera età di cinque anni, ma che non è stato il solo: ha infatti praticato anche basket, pallamano e baseball. Oggi passa gran parte della giornata a scrivere e a correggere, ma non per questo ha perso la tempra atletica, marchio di fabbrica della sua fisicità fin dagli albori.
Ora però concentriamoci sul presente: come Mathias sempre ricorda con gratitudine e nostalgia deve i suoi natali artistici al mitico Teddy Reno. È grazie al talent scout Triestino, che presto compirà 98 anni, che Mathias ha mosso i primi passi nel mondo artistico. A cominciare proprio con la partecipazione al “Festival degli Sconosciuti”, la stessa manifestazione che ha scoperto, tra gli altri, Rita Pavone, Claudio Baglioni e Ivan Cattaneo. Successivamente Mathias ha anche trionfato nella manifestazione ed è così che si è fatto notare. Si potrebbe definire l’ennesima scommessa vinta, quella del noto cantate confidenziale che, ancora una volta, prima di tutti ha scoperto e riconosciuto il talento (ancora nascosto, secondo quanto sostiene Mathias) del giovane scrittore triestino.
Come ricorda l’autore stesso: “Ho conosciuto Teddy Reno quando ancora non ero certo su ciò che sapevo o non sapevo fare. Mi piaceva scrivere, cercare inedite prospettive per raccontare storie non comuni, ma il solo pensiero di credere in qualcosa di più mi spaventava, e non poco. Ciononostante, Ferruccio [nome di battesimo di Teddy Reno N.d.R.] aveva già visto in me capacità che, non per falsa modestia, nemmeno credevo verosimili. Mi sono fidato di lui e della sua spropositata esperienza e, dopo un po’, ho fatto mia la sua personalissima visione di me, malgrado la reticenza iniziale.”
Ora però entriamo nel vivo della conversazione con il giovane autore.
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D. “Ciao, Mathias, e grazie mille per aver accettato l’invito…”
R. “Grazie a te, è un onore e un piacere essere qui.”
D. “Direi che possiamo cominciare da quando tutto è iniziato. Nonostante sia passato qualche anno, parli ancora di Teddy Reno con grande affetto…”
R. “Credo che la riconoscenza sia molto spesso sottovalutata. Il mondo cambia, le persone si evolvono e non sempre i legami restano indissolubili, purtroppo, ma se non riconosciamo il giusto valore a chi ci ha aiutato non rimane che il nulla alle nostre spalle. Ferruccio è sempre stato amichevole e gentile, quasi paterno. Ho un bellissimo ricordo di lui e mai potrò dimenticare che è stato il primo a credere in me. Lui e Sylvia Pagni, ovviamente.”
Mathias quando ha vinto il Festival degli Sconosciuti
D. “Oggi, invece?”
R. “Vive a Lugano e le occasioni per vederlo sono pressoché nulle, purtroppo. Però non passa giorno che non gli rivolga un pensiero di gratitudine. Mi piacerebbe molto riabbracciarlo di nuovo.”
D. “A proposito di Sylvia Pagni [cantante, pianista e fisarmonicista di fama internazionale che ha spesso collaborato con Reno N.d.R.] ho saputo che hai cominciato a scrivere la sua biografia…”
R. “Abbiamo cominciato un paio di mesi fa. Lei mi manda dei messaggi audio e io li trascrivo uno dopo l’altro, per poi tessere la trama che fungerà da filo conduttore per tutto il racconto della sua vita.”
D. “Un lavoro che ti impegnerà molto…”
R. “Di certo non è facile: entrare nella vita di una persona in punta di piedi, mantenendo il rispetto che non solo è necessario ma fondamentale, è la parte senza dubbio più difficile. Le sono grato della fiducia e ancor di più per avermi permesso di conoscere la persona meravigliosa che è, oltre al suo virtuosismo artistico che tutti conoscono. Gli artisti sono spesso inarrivabili, vivono celati da un’aura di assoluto splendore. Incontrarli vis-à-vis e sempre una grande emozione, soprattutto quando puoi conoscere la loro anima.”
D. “A questo punto è impossibile non citare la tua amicizia con Roberto Cavalli, noto stilista fiorentino che è da poco scomparso…”
R. “Roberto è stato un grande amico, la seconda persona ad aver creduto in me. Lui mi ha insegnato tantissime cose, soprattutto l’umiltà e, non meno, l’amore per la moda, i colori, le stampe… un mondo magico e vagamente rarefatto. Potrei parlare di Roberto per ore e ore, raccontare aneddoti e ricordi fino a diventare noioso, ma la cosa più importante è una e una soltanto: è stato mio amico e gli ho voluto bene, e lui a me. Mi manca tantissimo.”
D. “Una curiosità su di lui?”
R. “Era una delle persone più romantiche che abbia mai conosciuto. Innamorato della vita, delle donne, degli animali… poi era entusiasta, solare e insolitamente avvicinabile, per uno stilista del suo livello. E quando ti apriva il suo cuore era incredibile. Mi conosceva da poco, forse mezz’ora, eppure avevo già il suo numero di cellulare e una proposta di sfilare per lui; mi conosceva da poco e mi aveva già mandato la prima bozza della sua autobiografia che avrebbe pubblicato qualche anno più tardi. [Just Me, edita da Mondadori N.d.R.] Conservo ancora il file come uno dei più cari ricordi.”
D. “Una dimostrazione di grande fiducia…”
R. “Che mi ha sempre lasciato sgomento. Voleva un mio parere e che gli dessi qualche consiglio. Per me era davvero troppo. Roberto si lasciava portare dal cuore, ed è stato il cuore a portarlo fin dove è arrivato.”
D. “Hai qualche aneddoto da raccontare?”
R. “Era impulsivo e sognatore, come me. Ricordo con grande nostalgia la prima volta che sono andato a trovarlo nell’ufficio stile che aveva a Milano. Era a San Babila e come si sono aperte le porte dall’ascensore mi sono trovato davanti Lupo, il suo Pastore Tedesco, (eh già, non aveva una grande fantasia per i nomi!) che, scodinzolando, mi chiedeva di essere accompagnato fuori: gli spazi chiusi gli andavano stretti! Lì per lì mi si è gelato il fiato: era un cane immenso. Poi Roberto mi ha spiegato che faceva sempre così e una volta era riuscito anche a trovare un passaggio e a uscire fuori. Roberto ne era innamorato: lo portava ovunque con sé. Un’altra volta, invece, al Giacosa [bar sito in Firenze che era di proprietà di Cavalli N.d.R.] come mi ha visto si è subito alzato e dopo un abbraccio mi ha invitato al suo tavolino. Mi ha offerto un aperitivo ed è stato lui a entrare nel bar e a servirmelo. Era umile, guardava le persone negli occhi e non dall’alto della sua posizione. Ed era molto generoso. Una volta gli ho scritto che una t-shirt era bellissima. Non ha detto nulla, dopo dieci minuti mi ha contattato la sua assistente chiedendomi dove avrebbe potuto inviarmi la t-shirt che mi piaceva. Me l’ha regalata. Non ho mai più avuto il coraggio di essere così specifico su cosa mi piacesse. Era un signore. Era il mio migliore amico.”
D. “E per quanto ne so, non hai conosciuto soltanto Cavalli…”
R. “Ho avuto il privilegio di conoscere diversi artisti, anche internazionali come Tim Rice e David Guetta, anche se nessuno così bene come Roberto. Per me era un mito.”
D. “Poi c’è stato SDO…”
R. “Stefano D’Orazio era una persona eccezionale che non si è risparmiata a darmi consigli e a incoraggiarmi. Il terzo a credere in me. Lui ci ha lasciati troppo presto. Era un uomo per bene, gentile, ironico e dal cuore grande. Lui non era la star, era l’amico che già conoscevi anche quando eravate sconosciuti. Fin dal primo istante mi ha trattato senza mantenere la minima distanza, a proposito dell’aura che dicevo prima. E dire che mi sono avvicinato a lui senza essere presentato da nessuno.”
D. “E ti ha rivolto la parola?”
R. “Lui per primo. Io ero troppo emozionato! Persone come lui sono rare. Sensibile come pochi, alla mano, sempre sorridente e dedito allo scherzo. Ho conosciuto tutti e cinque i “Fab Four Italiani” [I Pooh con Riccardo Fogli N.d.R.] in momenti diversi, ma Stefano… con lui è stato speciale. Era unico, davvero.”
D. “Ora lasciamo i ricordi, anche perché ti vedo provato, e passiamo al tuo lavoro. Dopo varie esperienze e non poche tribolazioni hai pubblicato dapprima una favola, Abi & Nibor, (edita da Costa Edizioni). Possiamo cominciare da qui?”
R. “Fa sorridere pensare a una favola ai giorni nostri, lo so. L’ho scritta dietro consiglio di Sylvia Pagni ed è stata la cosa più difficile che abbia mai fatto. Mantenere il giusto equilibrio tra retorica e interesse è stato solo il principio. Mi esplico meglio nelle storie dal retrogusto drammatico e, a dire il vero, nemmeno la favola ne è del tutto esente; è un po’ il mio marchio di fabbrica. Sinceramente, non credo molto nel lieto fine. Per quanto lo desideri nei testi (o film) non scritti da me, quasi mai però lo valuto in un mio lavoro. Credo che un finale ti debba entrare nel cuore, far riflettere, emozionare… e quasi mai al lieto fine si accorda tale capacità. Quantomeno io non ci riesco.”
D. “Sei una persona che ricerca il dramma ovunque?”
R. “Assolutamente no, nella vita sono l’esatto opposto. È solo ciò che scrivo che ne risente, un modo per scatenare emozioni nel cuore e nell’anima di chi legge.”
D. “Quindi procediamo con il primo racconto che hai pubblicato su Amazon…”
R. “Quel giorno a Venezia. Un racconto già pubblicato online che ho pensato di ambientare in una della città che più amo al mondo e, forse, in assoluto.”
D. “Un racconto dal background drammatico…”
R. “Dopotutto ne sono l’autore! Dramma e romanticismo sono parti della stessa emozione, senza dimenticare la nostalgia, altro elemento per me imprescindibile. Mia nonna ha sempre detto che sono l’ultimo dei romantici.”
D. “Impossibile non accorgersi della grande sensibilità che hai rivolto al personaggio principale, Karl, e alla sua cecità…”
R. “Devo parlare ancora una volta di mia nonna: lei era non vedente. L’intero racconto è un omaggio a lei. Ricordo ancora la mia prima intervista che ho fatto presso una rete televisiva locale. In quella particolare occasione ho parlato di lei, di mia nonna. Ricordo che il giorno dopo le ho fatto ascoltare la registrazione su YouTube, e quando ha sentito il suo nome è sobbalzata sulla sedia e si è emozionata. Mi ha abbracciato forte e mi ha detto che mi voleva bene. Lei era un faro nella mia vita, e ancora oggi la sua luce mi guida ovunque vada.”
D. “Se sei d’accordo, propongo di alleggerire di nuovo il momento e tornare al racconto: perché ambientare una storia nel passato e perché a Venezia?”
R. “A Venezia perché è la città dei sogni, almeno per me. A Los Angeles ci sono gli angeli, a Venezia i sogni che diventano realtà. Nel passato perché quasi tutto ciò che scrivo è ambientato o nel passato o nel futuro. Il passato mi ha sempre affascinato. Per me è intriso di nostalgia, di tutti quei momenti che scivolano come sabbia dalle dita e poi ti resta soltanto la malinconia a premere su ricordi ormai vaniti. Amo il presente, mi piace la tecnologia e ciò che permette, a cominciare proprio dalla facilità di tante piccole cose, ma… il passato è per me una fonte inesauribile d’ispirazione, il presente non è altrettanto.”
D. “E che cosa ti piace del passato?”
R. “Del passato più vicino, diciamo il ’900, adoro la letteratura, Fitzgerald innanzi tutto, e la musica; Cole Porter e le grandi big band come Glenn Miller o Benny Goodman. Senza dimenticare i cantati che hanno fatto la storia da Crosby a Dean Martin e Perry Como, fino a Elvis. Poi c’è il cinema, quello in bianco e nero, che mi evoca più nostalgia di quanto nemmeno l’immaginazione riesce a promuovere. I film di Cary Grant, di Bogart, di Stewart, Curtis e Lemmon. Mi piace moltissimo Billy Wilder, forse il più grande cineasta che il mondo abbia mai conosciuto. Ancora oggi il finale di “A qualcuno piace caldo” riesce a farmi ridere come pochi altri, e dire che conosco a memoria ogni battuta. Poi c’è il mio film preferito: Casablanca e la canzone che adoro per eccellenza “As time goes by”. Mi piace moltissimo Vittorio De Sica; l’ho conosciuto con la serie “Pane amore…” e così ho cominciato a guardare la sua intera filmografia con una particolare predilezione per “Grandi magazzini”. Vittorio da giovane aveva una grandissima classe e un modo di fare così elegante e gentile, davvero eccezionale.”
D. “È strano sentire un ragazzo della tua età parlare dei grandi maestri del passato con così tanta disinvoltura…”
R. “Il bello è che per me è come se fossero del presente! Parlo di loro o del loro “ultimo film” che ho visto, mi pare logico, come se lo avessero appena girato. È strano, lo so, e in molti me l’hanno fatto notare, ma non ci posso fare nulla. Ancora oggi scopro canzoni bellissime, peccato che le abbiano registrate più di cinquant’anni fa! Ho scritto un romanzo che ricalca le orme del cinema da quello muto fino al sonoro… spero di riuscire a pubblicarlo, prima o poi. È la mia dichiarazione d’amore al cinema del passato, a quello che ha fatto la storia e che adoro con tutto il cuore. Chaplin era un genio: comunicava senza l’ausilio delle parole, e la cosa più strana è che non gli servivano affatto.”
D. “Mi sa che abbiamo esulato dal discorso. Torniamo al racconto su Venezia?”
R. “Sono molto affezionato: è il primo racconto che è stato pubblicato, il primo che ha ricevuto opinioni positive e il primo che ho appena tradotto in inglese. Anche in questo racconto, nonostante sia ambientato nel presente, ci sono moltissime incursioni nel passato. Io adoro Venezia che si scorge dai dipinti del Canaletto, ma anche quella degli anni ’40, come nel racconto, era pervasa da non poca nostalgia, almeno per quanto ho potuto scorgere dalle foto.”
D. “E poi l’immancabile commozione finale…”
R. “Spero di sì. Il mio intento era soppesare romanticismo e illusione, aspettativa e speranza… emozioni che rievocano il passato dei protagonisti.”
D. “Per me è una scommessa che hai vinto. E, credo, ne hai avuto conferma: l’hai reso gratuito per qualche giorno…”
R. “Cinque giorni ed è arrivato al primo posto in due classifiche di Amazon. È stata una grande soddisfazione.”
D. “Passiamo al secondo racconto…”
R. “La ragazza di Ipanema. L’idea per questo racconto è stata semplice: adoro Sinatra e, ovviamente, mi piace la sua incisione di “The girl from Ipanema” e da qui il desiderio di adattare una storia sul testo, ma dacché era intriso delle emozioni dei suoi autori, ho pensato più semplicemente di descriverle. Ho provato a immaginare lo stato d’animo di entrambi sulle poche informazioni che ho reperito in rete. È un’opera di fantasia, indubbiamente, ma con qualche elemento reale e qualche citazione che ho ripreso fedelmente.”
D. “Tratteggi Ipanema e le sue spiagge come se ci fossi stato mille volte…”
R. “Andarci è il mio sogno.”
D. “Quindi non ci sei mai stato? Come sei riuscito a rendere così vivide le immagini?”
R. “Oggi è facile viaggiare grazie a internet… Guardo un video o qualche foto e il resto viene da solo. Molti dicono che bisogna scrivere di ciò che si conosce; con tutto il rispetto io non sono propriamente d’accordo: si può incorrere in qualche errore, non ci sono dubbi, bisogna fare non poche ricerche, però io adoro spaziare con la fantasia laddove il mio corpo e miei occhi non sono potuti andare. È un viaggio onirico, forse fittizio, ma non per questo meno bello. Nelle parole esiste tutta l’illusione di un luogo ameno, di una realtà sciolta dai dettami dell’ogni giorno e della relativa apatia che, in parte, si respira. Poi, è compito dello scrittore rendere reale anche ciò che non lo è.”
D. “Anche in questo racconto si respira una forte componente drammatica…”
R. “Più che altro è una vaga rassegnazione rivolta all’incedere del tempo.”
D. “Parliamo di filosofia?”
R. “Adoro la filosofia! Tuttavia le mie sono semplici considerazioni che ravvisano l’ovvio. Il preterire del tempo è sempre stato cagione di non poche questioni in me, fin da bambino. Penso molto al passato, sia al mio che a quello ben più indietro e che nemmeno i miei nonni hanno vissuto. Firenze nel ’400, Venezia nel ’700, Parigi nei primi anni ’10, New York negli anni ’20… sono tutti luoghi immaginifici che mi fanno sognare.”
D. “Vivi nel passato?”
R. “Vivo nel presente, e con non poca soddisfazione. Il mio cuore vive nel passato e la mente, invece, nel futuro. Così riesco a cogliere tutte le sfumature della vita.”
D. “Ancora una parola sul racconto?”
R. “La ragazza di Ipanema è il secondo racconto che ho scritto dopo più o meno cinque anni dal primo. Ho una grande difficolta a scrivere racconti brevi, io mi esplico maggiormente nei romanzi, e piuttosto lunghi… così lunghi che due di questi li ho dovuti suddividere in due parti. Pensavo che “Quel giorno a Venezia” fosse il primo e unico tentativo di racconto breve, ma Ipanema mi ha smentito.”
D. “E così passiamo al terzo, Hypnagogia, un vero e proprio esperimento…”
R. “Forse il racconto più difficile che abbia mai scritto. L’idea base era creare un racconto breve con la peculiarità che non finisse mai. Che l’inizio e la fine fossero invertiti e che il cerchio narrativo potesse riprendere in entrambi i sensi senza mai interrompersi, come in un loop continuo e infinito.”
D. “Più difficile a spiegarlo che a leggerlo…”
R. “Verissimo! L’idea è che nulla sia reale ma allo stesso tempo tutto possa esserlo. Dopotutto, è più reale ciò che viviamo fisicamente o quello che esiste nella propria mente? In entrambi i casi ci sono elementi che non sono tangibili.”
D. “Hypnagogia si distacca molto dai due precedenti racconti…”
R. “Non è nostalgico, è più oscuro e tetro, però anche questo è molto introspettivo. Oltre alla nostalgia, adoro i recessi della mente, le finzioni… tutto ciò che separa irreale e concreto, conscio e inconscio, veglia e sogno.”
D. “Hypnagogia è un viaggio nella mente del protagonista?”
R. “In quel momento che separa il sogno dalla veglia. Per l’appunto quando si genera lo stato ipnagogico, come insegnava Salvador Dalí.”
D. “Vuoi aggiungere ancora qualcosa a questo racconto?”
R. “Sto lavorando a una versione più lunga dal titolo Déjà-vu. Ovviamente il racconto resterà inalterato, questo andrebbe a comporre parti della storia che ho tralasciato per ragione di lunghezza. Mi piaceva l’idea che il Déjà-vu fosse la parte del lettore, dal momento che l’elemento chiave del racconto già lo dovrebbe conoscere, a patto che abbia letto Hypnagogia. Per il momento è solo un appunto di qualche riga sul cellulare, ma mi piacerebbe farlo diventare un romanzo.”
D. “Piani per il futuro?”
R. “Ho tantissimi desideri che sfociano nei sogni più insoliti. La biografia di Sylvia Pagni è una delle poche certezze che ho. Poi c’è un sogno, una promessa che ho fatto a mia nonna e che farò l’impossibile per realizzarla, sperando che da lassù possa essere fiera di me. È follia anche solo pensare di riuscire in un’impresa tanto audace, però mi sto muovendo in quella direzione.”
D. “Buona fortuna, allora…”
R. “Ne ho proprio bisogno!”
D. “Ultima domanda: scrivi con uno stile molto personale e non tratti mai il racconto come uno se lo aspetta. Qual è il tuo segreto?”
R. “Il modo di scrivere penso sia nato con me. So soltanto che scrivo una prima versione del testo poi, con le varie correzioni, apporto tutte quelle piccole aggiunte che strutturano il mio modo di scrivere. Il tutto è molto istintivo, a dire il vero. Per me ogni parola ha un suono ben preciso, e tutto ciò che scrivo si deve accordare a quella melodia che ho in mente. Non mi piacciono le rime, per questo gran parte delle correzioni che faccio sono mirate a togliere qualsiasi rima o assonanza. Ad esempio, ci deve essere almeno un paragrafo di distanza tra due verbi che finiscono con la “ò”. Per riuscirci mi servo di sinonimi, passaggi tra attivo e passivo, circonlocuzioni… qualunque espediente è importante.
D. “E per quanto riguarda la successione delle scene, come scegli cosa trattare e cosa no?”
La scelta penso sia dovuta al fatto che non vedo il romanzo come un romanzo in sé, ma come la trascrizione di un film al quale sto assistendo. Ogni pagina è una scena che mi si profila nella mente in modo del tutto inconscio, io la descrivo come se fossi dietro la telecamera. Questo mi porta a considerare anche ciò che succede fuori dal primo piano, per tanto capita che cominci a descrivere prima ciò che accade sullo sfondo per poi entrare nel vivo della scena solo dopo un po’. Con i dialoghi e i movimenti accade lo stesso: non faccio altro che limitarmi a trascrivere ciò che vedo o sento. Poi mi piace disseminare qua e là qualche dettaglio sulle microespressioni che a volte confermano e altre negano le parole dei protagonisti, come insegna il grande psicologo Paul Ekman. Per me ogni libro è un film che io descrivo, proprio perché ho sempre amato il cinema, fin da quando ne ho memoria.”
D. “Ti ringrazio per il tempo che ci hai dedicato.”
R. “Sono io che ti ringrazio per avermi donato lo spazio di queste righe. Significano tanto, soprattutto per uno scrittore come me che è appena all’inizio.”
D. “Sono felice di questo battesimo. Alla prossima pubblicazione, allora.”
R. “Sarà un piacere condividerla con voi.”
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Come dicevo, Mathias Buratto ha pubblicato su Amazon tre racconti e una silloge di poesie da lui scritte e presentate. Prima dell’intervista ho letto tutte e quattro le pubblicazioni disponibili e, poesie a parte che lo rappresentano più di quanto si possa essere portati a credere, posso solo aggiungere che tutti e tre i racconti ti conducono in universi molto distanti tra loro, eppure tutti uniti dalla fantasia di un grande e giovane autore. Quest’estate, magari sotto l’ombrellone, vi consiglio di concedere una possibilità ad almeno uno di questi racconti: vale la pena farlo. In ogni caso vi lascio il link che si collega alla sua pagina su Amazon dove i racconti sono reperibili.