Sono trascorsi ormai 31 anni da quel 26 aprile del 1986, quando dal reattore 4 della centrale nucleare di Chernobyl fuoriuscì una nube, dopo una una violenta esplosione, che attraversò l’Europa. Di quella tragedia rimangono ancora tracce di Cesio 137 anche in Abruzzo come emerge dalle analisi effettuate dall’Arta, l’Agenzia regionale per la tutela dell’Ambiente, che le ha rilevate in particolare nei muschi del Gran Sasso e nei sedimenti del lago di Campotosto. Nella relazione curata dall’Arta Abruzzo sul “Controllo della radioattività ambientale in Abruzzo”, pubblicata oggi dal quotidiano “Il Centro”, è stato analizzato il periodo compreso tra il 2011 e il 2015 ed ha riguardato il particolato atmosferico, la ricaduta al suolo (fall-out), le acque superficiali, sedimenti marino- lacustri, prodotti di origine animale e vegetale, e l’acqua potabile.
Nell’articolo di Angela Baglioni si legge che “Complessivamente, in Abruzzo, la situazione non è drammatica, almeno sotto questo fronte. Dall’esito delle misure effettuate, come scrivono i ricercatori, è possibile affermare che i valori sono quasi sempre al di sotto della Minima attività rilevabile (Mar). Ma ci sono delle eccezioni. Alcuni campioni ambientali e alimentari dell’anno 2011 presentavano tracce della nube radioattiva di Fukushima (oltre al Cesio 137 era stato trovato anche lo Iodio 131, che ha un tempo di decadimento di soli 8 giorni). In altri campioni, caratterizzati da specifici processi di accumulo biologico come nel caso di muschio e dei sedimenti marino-lacustri, è stata rilevata per ogni annualità la presenza costante di Cesio 137, dovuta alle ricadute al suolo delle polveri contaminate dall’incidente di Chernobyl. In ogni caso le concentrazioni sono state di carattere non rilevante dal punto di vista radiologico. Il Cesio 137, uno dei radioisotopi che giunse in Italia con la nube radioattiva, ha un tempo di dimezzamento di circa trent’anni. I controlli effettuati nei muschi risalgono al 2013, per cui è lecito pensare che oggi, a 4 anni di distanza (e a 31 anni dalla nube radioattiva), la quantità sia inferiore rispetto a quella riportata nello studio. Comunque, nel 2013, il risultato evidenziò una attività del Cesio 137 di alcune decine di Becquerel (una delle unità di misura della radioattività, ndr) per metro quadrato, dovuta, presumibilmente, ai residui della ricaduta al suolo della nube radioattiva causata dall’incidente di Chernobyl negli anni ’80 del secolo scorso.Durante il 2014 e il 2015, su richiesta dei carabinieri del Noe, l’Arta ha analizzato campioni di sabbia prelevati in diversi punti e a diverse profondità presso la foce del fiume Alento, nel Comune di Città Sant’Angelo, a causa di sospetti interramenti di rifiuti radioattivi nella zona. Dalle misurazioni effettuate è possibile concludere che nei campioni di sedimenti sabbiosi analizzati, non si sono riscontrate concentrazioni di attività di radionuclidi artificiali al di sopra della minima attività rilevabile. Infine sia nel 2011, sia nel 2015, sono stati analizzati vari campioni di pellet per riscaldamento. I risultati hanno evidenziato trace di Cesio 137 in pellet proveniente dai Paesi dell’Est, contaminati probabilmente dall’incidente di Chernobyl, in particolar modo dalla combustione del pellet stesso. Anche in questo caso, le concentrazioni riscontrate non sono risultate rilevanti da un punto di vista radiologico”.
( Cicchetti Ivan)