* di Andrea Cilli
Allora, giorno 3. Metà mattina, saranno più o meno le dieci e mezza e siamo appena ripartiti da Komize: direzione nord.
Mentre ci allontaniamo osservo il suo porticciolo farsi sempre più piccolo. Mi ha fatto davvero riflettere molto questa isoletta: ci abbiamo trascorso si e no un’ora, giusto il tempo di fare una doccia nei bagni della marina e di fare un po’ di cambusa. Mentre ci passeggiavamo, riflettendo circa il fatto che quella fosse la prima volta che mettevo piede a terra (letteralmente) in Croazia, ho elaborato tante osservazioni sull’isola di Komize. Anzitutto dal mare sembra tanto piccola, ma in realtà vivendola un minimo noti che di spazio ce n’è proprio a sufficienza per poterci trovare tanto: banchetti per strada che vendono cibarie, ristoranti, bar, minimarket e tanti piccoli negozietti di articoli prettamente da mare. Li, ma come scoprirò praticamente su tutte le isole toccate dal nostro viaggio, lo spazio urbano è stato gestito a mio avviso molto stile cittadella salentina: le strade, principalmente in pietra, si mescolano con i cortili aperti delle case; e quindi girovagandoci dentro a zonzo oppure alla ricerca specifica di qualcosa, ti senti abbastanza una biscia che sguiscia qui e li: un po’ per la via un po’ quasi per i tinelli delle case delle persone. Sarà stato il clima di vacanza, ancora molto da sabato del villaggio o forse l’entusiasmo della scoperta, che a volte esalta le cose nuove anche maggiormente di come sono in realtà: però l’impronta stilistica di quella prima isola mi ha lasciato davvero inebriato. Ho cercato di rubare con gli occhi quanti più spunti e scorci ho potuto: mi sono immaginato di trascorrere le serate seduto sui muretti del porticciolo, sorseggiando rum, col profumo di pesce arrosto e quello scenario fatto di luci che solo le città marinare sanno regalare. Mi sono immaginato di vivere la quotidianità di un’isola come Komize, ma anche di molte altre: caratterizzate dalla frenesia che la stagione estiva turistica sprigiona e, dalla desolazione conseguente alla immobilità della stagione invernale; come ancora dalla ricca essenzialità della vita indigena di tutti i giorni, dove sono convinto che molti si pescano letteralmente il pranzo o la cena (il mare è davvero ricchissimo: ricci di mare ovunque, polpi, pesce di scoglio, persino tonni). E poi ho confrontato tutto ciò con la realtà urbana di tutti i giorni a cui sono abituato ed ai suoi luoghi: i grandi centri abitati, l’apparenza, il chiasso, lo smog, la ricerca della forma che spesso cela una sostanza finta ed industriale: quindi malata e distorta. Nulla a che vedere col prendere dal mare due ricci, mettere a bollire uno spaghetto e mescolare il tutto con un cucchiaio di bottarga. Quel pescatore che mentre lo osservavo, sbrigliava la sua rete guardando l’orizzonte offerto dal mar Adriatico, mi sembrava essere l’uomo più ricco che avessi mai visto, nel luogo di lavoro che mi sembrava il più bello e salubre al mondo. Forse noi, abituati alla nostra realtà ci sentiamo ricchi, svegli ed avanzati: e invece magari avveleniamo il nostro corpo e la nostra anima. Riflessione.
Ad ogni modo ChiaraF naviga, affrontando un’onda dopo l’altra, orgogliosamente a vela. La bora ci accompagna ancora, quindi il mare risulta ancora un filino “allegro”. Ma ovviamente nulla che potesse minimamente impensierire il capitano Paolo, il quale a cascata trasferiva la sua tranquillità a noi. Spostandoci da un isolotto ad un altro, l’equipaggio si divide tra chi si gode vento e sole sulla coperta e chi, come me e Michele, cerca la conversazione: soprattutto col capitano.
Le lunghe ed affatto pesanti mezz’ore, ore, ore e mezza, due ore dei trasferimenti le trovavo delle enormi opportunità per apprendere senza fatica: questa una delle prime cose di cui ho preso coscienza. Per esempio adesso, attraversando un gruppo di isole tra Komize e Vis (il porto di destinazione del giorno 3), Paolo inizia a farci notare delle colline ripidissime su alcune isolette tutte coltivate a vigna: un’immagine caratteristica e pittoresca. Ma non finisce qui. Proprio in mezzo a questo gruppo di isolotti,credo dove si trovi la penultima baia prima di arrivare a Vis, dopo un attimo di silenzio Paolo indicaa col dito una spiaggetta con quattro case contate e prende di nuovo la parola. “La vedi quella spiaggia? Adesso ti racconto una storia. Tu adesso vedi un gruppo di casette, ma tutto è partito da quella casa grigia sulla sinistra, la più vecchiotta. E’ stata costruita da mi sembra da un medico, che un giorno ha deciso di trasferirsi su quest’isola assieme alla moglie. La cosa davvero particolare è che, mi hanno raccontato, questo tizio possedeva una Mercedes: e tutto ebbe inizio quando un giorno lui gli smontò il motore per montarlo su una barca. E così iniziarono a vivere sull’isola, vivendo principalmente di pesca. Compra solo l’essenziale, come il gasolio e l’acqua dolce. Adesso pensa tu, hanno anche aperto un piccolo ristorante di pesce: una cosa molto semplice, qualche tavolo con sedie e servono praticamente quello che pescano”. Mentre passavamo davanti al luogo di questa storia, la mia mente era travolta da uno tsunami di bellezza, coinvolgimento e stupore.
Le barche, al contrario di tutti gli altri mezzi di trasporto, hanno un tempo tutto loro per spostarsi da un punto a ad un punto b: soprattutto le barche a vela. Così mentre si svolgeva questo attraversamento, c’è stata una naturale pausa di riflessione. Riflessione che poi è culminata con l’ultima osservazione del capitano in merito a quel racconto: “Prova a pensare allo stare soli sopra ad un isola come quella: è bello ma molto al limite già in estate, figurati in inverno. Pensa al rapporto davvero speciale che devono avere quel tizio e sua moglie: ecco, questo può dare l’idea di quanto sia importante per una coppia la condivisone. Secondo me la condivisione è tutto e loro condividono tutto: pescato, acqua dolce, sole e brutto tempo. Anche il silenzio. Si, penso che la condivisione sia fondamentale”. Le osservazioni che molti possono fare, ma che solo un capitano riesce a trasmetterti nell’anima, penso tra me e me.
La navigazione procede liscia senza intoppi, il vento si abbassa e la temperatura percepita sale vertiginosamente. Il giorno 3 di questa vacanza (il secondo in mare è anche quello del primo bagno. Gettiamo l’ancora in questa baietta nei pressi di Vis, circondata da isolotti rocciosi ed acqua incredibilmente trasparente. Il fondale era ben visibile ed altrettanto le sue flora e fauna marine. Tutto era così puro e sano, per il corpo come per la mente: e dopo aver fatto il bagno in queste acque ed asciugato la pelle al sole, potevi vedere che sulla tua pelle si era depositato un sottilissimo strato di sale.
Tra l’altro qui ho approfittato di Paolo e Gianluca, per imparare qualcosa. Nello specifico come si cala l’ancora: da li in poi, quello sarebbe diventato il mio compito. Certo una cosa semplice, ma calcolando il deserto di conoscenze in materia di barche e vela da cui partivo, per me è stato un piccolo grande traguardo. La bellezza dei piccoli compiti mi sembra una cosa che nella vita quotidiana sia diventata impossibile, oltre che considerata inutile: a volte penso che il mondo e chi lo popola, voglia chiederti solo l’impossibile; oppure passi l’idea che, se una cosa non ha un grado di astrazione mostruosamente complesso e se dietro non ci sia una strategia da NASA beh, quella cosa sia considerata come assolutamente inutile. E questo mi irrita molto, perché mi sembra che a volte le persone amino complicarsi e complicare la vita, renderla inutilmente ardua. A volte penso che il mondo di oggi esiga una curva di apprendimento (spesso senza nessuno che voglia, possa o sappia insegnarti..velo pietoso) davvero esagerata: col risultato che, alla fine della fiera, le cose o non vengono fatte oppure, se per caso si riesce a portarle più o meno a compimento, ci si trova davanti ad un risultato pietosamente scadente. Maledetta fretta, troppo spesso di guadagnare ed altrettanto spesso di correre dietro non si sa bene dietro cosa. In barca invece ogni operazione che deve essere compiuta, deve necessariamente essere fatta da chi semplicemente è capace di farla. Se non sei capace di fare un nodo gassa d’amante, non sai farlo punto: se vuoi puoi imparare, ma deve trattarsi di un apprendimento vero e sano. Quando durante la navigazione occorre una gassa d’amante per questa o quella ragione, non contano i certificati di formazione avvenuta: bensì solo saper fare quel nodo. Si inizia e si finisce in un lasso di tempo ragionevolmente breve e soprattutto c’è ben poco da opinionare: in barca ed in mare ogni cosa, direzione e manovra ha il proprio nome inequivocabile. C’è ben poco da concettualizzare. In barca ed in mare occorre esperienza e soprattutto il tempo giusto per fare le cose. La performance assume un ruolo assolutamente diverso dall’ordinario e del tutto particolare. Ma sto divagando.
Tutto questo per dire che quella baietta mi ha dato l’occasione di imparare a collaborare nella manovra di calata dell’ancora, di montaggio e smontaggio della scaletta a poppa e, di messa dentro e fuori dei parabordi. Di rendermi utile e soddisfatto di lavoretti ben fatti, per quanto apparentemente banali (ma necessari). Cose semplici, ma che ho imparato con buona creanza e divertendomi: soprattutto che ho appreso e che saprò sempre compiere. Ecco una della magia che avvengono in barca: imparare qualcosa di concreto, “analogico” e squisitamente pratico; di cui spesso in questo mondo troppo spesso di chiacchiere, concetti e strategia c’è enorme drammatica penuria. E per finire, particolare non da poco, in barca si può imparare gustandosi la vita!
Bagni e tuffi si susseguono tra tante risate. Poi un aperitivo ed un bel pranzo, preparati col piccolo contributo di tutti e soprattutto, gustati tutti assieme: quindi buonissimi. La siesta pomeridiana poi, ci ha permesso di goderci ogni particolare del meraviglioso scenario in cui ci trovavamo.
Poi intorno alle 17:30 abbiamo si riparte: direzione porto di Vis. Ci aspetta un copione niente male: ormeggio al corpo morto galleggiante e poi giù a terra con il tender per doccia in marina e passeggiata. Durante il tragitto siamo accompagnati dal vento ancora decisamente generoso e da mare ancora mosso: ma col capitano Paolo al timone, le condizioni allegre del mare ci hanno solo regalato altre emozioni positive.
Arriviamo quindi, tutto ok. Il capitano ci accompagna col gommone a terra, così da poterci lavare sulla terra ferma di Vis ma soprattutto visitarla (davvero molto bella: piena zeppa di turisti e barche che battevano bandiera di tanti paesi del mondo). A terra, Michele e Gianluca si sganciano da noi altri per andare in cerca di qualcosa di buono con cui cenare questa sera in barca: si parla di pasta alle vongole.
Tutto fila liscio ed all’orario prestabilito ci facciamo trovare nel posto concordato col capitano, per farci prelevare col tender ed essere riportati in barca, tranne Carlotta. La quale, dato che era ancora giorno nonché presto per cenare, chiede di poter gironzolare un altro po’ per l’isola: no problem. Né lei né noi potevamo saperlo, ma quel prolungamento di passeggiata avrebbe avviato una serie di fraintendimenti veramente da film: fraintendimenti che sarebbero culminati con noi tornati tutti in barca e li a chiederci dove fosse Carlotta e, Carlotta a non riuscire a mettersi in contatto con noi per tonare in barca. Ed in tutto ciò, il farsi progressivamente notte. Vi spiego: l’accordo era che lei facesse un fischio quando avrebbe voluto risalire in barca, in modo che Paolo la andasse a prelevare con tender: coprendo la cinquantina di metri che dividevano la barca in ormeggio dal punto “di presa” stabilito. Peccato che quando è stato il momento, Carlotta abbia si fischiato (anche più di una volta, come ci ha poi detto) senza però essere udita; ed i telefoni con segnale precario e comunque il non esserci scambiati tutti i nostri numeri (per puro caso), ha fatto si che alle 20: 30 circa non avessimo ancora notizie della nostra Carlotta. E dire che ce lo stavamo chiedendo, eccome! alla fine, grazie ad un messaggio arrivato con ritardo e visualizzato sul mio telefono, scopriamo che la nostra compagna da circa mezz’ora avesse chiesto di essere ripresa: e così via, Paolo parte col tender a riprenderla lasciando però sul tavolino della barca il suo cellulare. Il buio era già bello che calato. Ma colpo di scena, tempo due minuti ecco che vediamo arrivare Carlotta accompagnata da una famiglia di turisti russi, a cui aveva chiesto un passaggio (e diciamola tutta, per nulla allegra come una Pasqua: a ragione dal canto suo, ma del resto la serie di casi fortuiti sfortunati non ci aveva permesso di capire prima la sua richiesta!). Ma adesso il capitano chi avrebbe prelevato, dato che Carlotta era tornata? E poi, come dire al capitano che tutto il qui pro quo si era concluso, dato che aveva lasciato il cellulare in barca? Vabbè, alla fine vediamo tornare Paolo da lontano e gli urliamo che tutto è ok e che Carlotta è tornata: Paolo a quel punto ha pensato che si fosse trattato di uno scherzo, peraltro architettato da me! Una situazione davvero allucinante, tragicomica.
Però in un attimo la serie di sfortunati eventi si è chiarita, ci siamo fatti una bella risata e soprattutto abbiamo gustato dell’ottima pasta con le vongole, acquistate da Gianluca e Michele.
La barca è anche questo: casualità assurde che generano momentanee innocue situazioni di incomprensione. Ma nulla che del buon cibo, ottima compagnia, tante risate ed il nostro gin ribattezzato da noi “Lordons” (non era questo il suo vero nome: si trattava di uno sconosciuto gin di qualità quantomeno opinabile, acquistato per sbaglio causa averlo scambiato per un altro più prestigioso con l’etichetta simile: ma diventato presto la nostra mascotte, nonchè il carburante di tante tante nostre risate) non potessero risolvere! Anzi, rafforzando alla fine ancora di più il nostro legame di equipaggio, ma soprattutto di amici: come infatti è stato.
E la notte in rada, nel mio sacco a pelo e sotto uno sterminato soffitto nero puntellato di luci beh..non penso di dover aggiungere altre parole: back to life.